don Angelo Casati""Uscì di casa e si sedette in riva al mare"
la parola della domenica
Anno liturgico A
Is 55, 10-11
Sal 64
Rm 8, 18-23
Mt 13,1-23
"Uscì di casa e si sedette in riva al mare". La Parola di Dio -perché Gesù è la Parola vivente di Dio- entra nei luoghi della quotidianità: la casa e il luogo del lavoro; la casa e il mare, dove si lavora, per i pescatori. La Parola entra nei luoghi della casa e all'aperto, all'aria aperta, sul litorale del mare. Gesù parlava alla vita!
E raccontava. Raccontava parabole. Ecco, vorrei sostare con voi su questo modo di parlare di Gesù. Anche perché proprio questo suo modo di parlare crea problema, fa questione. "Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: Perché parli loro in parabole?". E vorrei innanzi tutto fermarmi sul verbo "parlare", "raccontare", perché nel passo parallelo il verbo usato è un altro, è il verbo "insegnare" (evdi,dasken). Matteo dice: parlò, raccontò (evla,lhsen). Perché il modo di parlare di Dio è un raccontare? Forse perché l'insegnamento può diventare -non dico che lo sia sempre- ma può diventare un parlare arido, astratto, fuori della vita, fuori della casa e fuori dal mare.
E perché la parabola? Perché privilegiare la parabola? E perché la chiesa oggi raramente parla con le parabole? Noi abbiamo la fortuna di avere un vescovo che parla con parabole, con le icone bibliche. Ci fu un altro vescovo, ora morto, Tonino Bello, che incantava con quel suo parlare in parabole. È raro! Purtroppo.
Purtroppo perché la parabola è il modo privilegiato di raccontare di Dio e della vita.
E qualcuno potrebbe pensare: certo, perché la parabola è come un esempio, che chiarisce, così tutto è chiaro.
E invece no. Quando uno parla in parabole, non definisce, non dice tutto: non dice "è", è così e basta. Ma dice semplicemente: è "come": è come un seminatore, il regno di Dio è come il grano di senapa, è come una perla, è come una rete gettata in mare.
Quasi dicesse: è così, ma è anche altro... altro che ancora rimane velato.
Pensate la diversità tra una chiesa, una chiesa categorica, che dice "è", "è così", e una chiesa delle parabole, che dice: "è come...".
C'è un abisso, l'abisso tra il definire gelido e il raccontare appassionato.
La differenza tra il dire: "Dio è, Dio è l'essere perfettissimo" e il dire: "Dio è come un padre che aveva due figli...".
Un brivido di luce, ma poi c'è tutto un mistero da attraversare, come un mare infinito da solcare.
"La Sacra Scrittura" -scrive l'Arcivescovo Martini nella lettera "Ripartiamo da Dio!"- "preferisce il velo del simbolo o della parabola; sa che di Dio non si può parlare che con tremore e per accenni, come di "Qualcuno" che in tutto ci supera. Gesù stesso non toglie questo velo. Lui che è il Figlio ci parla del Padre, ma "per enigmi", fino al giorno in cui svelatamente ci parlerà di Lui. Questo giorno non è ancora venuto, se non per anticipazioni, che lasciano ancora tante cose oscure e ci fanno camminare nella notte della fede".
Vi confesso che, quando sono un po' più lucido e un po' più appassionato, mi capita di pensare che è proprio una strana pretesa la nostra, di noi che abbiamo un Dio che parla in parabole, per accenni; dice: -"e come se"- e da parte nostra abbiamo la pretesa di dire "è, è così", la pretesa di parlare per definizioni.
Come ci farebbe bene -a tutti i livelli- pensare che le nostre certezze -anche quelle del Catechismo, dice l'Arcivescovo Martini- sono "come la lampada che brilla in un luogo oscuro finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei nostri cuori" (2 Pt. 1,19).
E cioè le nostre certezze "non ci dispensano dalla fatica di interrogarci, dal timore di illuderci, dal bisogno di esaminarci con umiltà su quanto diciamo e su quanto operiamo ogni giorno" (C.M.Martini, Ripartiamo da Dio! pp.26-27).
Un'ultima breve riflessione: ancora sul parlare in parabole, per dire che la parabola fa parlare la vita.
E dunque guardare la vita per parlare di Dio, non guardare chissà quali astruserie: Gesù guardava il seminatore e quel suo gesto senza misura e diceva a se stesso: c'è qualcosa di Dio in quel gesto smisurato.
Voi mi avete capito: la vita non è vuota, non è assenza: c'è qualcosa di Dio nella vita.
Se avessimo occhi, cuore per guardare la vita, se avessimo la profondità degli occhi di Gesù, penso che anche noi, di questa vita, comporremmo parabole. Racconteremmo di Dio con parabole e poesie, come faceva Gesù.
Anno liturgico A
Is 55, 10-11
Sal 64
Rm 8, 18-23
Mt 13,1-23
"Uscì di casa e si sedette in riva al mare". La Parola di Dio -perché Gesù è la Parola vivente di Dio- entra nei luoghi della quotidianità: la casa e il luogo del lavoro; la casa e il mare, dove si lavora, per i pescatori. La Parola entra nei luoghi della casa e all'aperto, all'aria aperta, sul litorale del mare. Gesù parlava alla vita!
E raccontava. Raccontava parabole. Ecco, vorrei sostare con voi su questo modo di parlare di Gesù. Anche perché proprio questo suo modo di parlare crea problema, fa questione. "Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: Perché parli loro in parabole?". E vorrei innanzi tutto fermarmi sul verbo "parlare", "raccontare", perché nel passo parallelo il verbo usato è un altro, è il verbo "insegnare" (evdi,dasken). Matteo dice: parlò, raccontò (evla,lhsen). Perché il modo di parlare di Dio è un raccontare? Forse perché l'insegnamento può diventare -non dico che lo sia sempre- ma può diventare un parlare arido, astratto, fuori della vita, fuori della casa e fuori dal mare.
E perché la parabola? Perché privilegiare la parabola? E perché la chiesa oggi raramente parla con le parabole? Noi abbiamo la fortuna di avere un vescovo che parla con parabole, con le icone bibliche. Ci fu un altro vescovo, ora morto, Tonino Bello, che incantava con quel suo parlare in parabole. È raro! Purtroppo.
Purtroppo perché la parabola è il modo privilegiato di raccontare di Dio e della vita.
E qualcuno potrebbe pensare: certo, perché la parabola è come un esempio, che chiarisce, così tutto è chiaro.
E invece no. Quando uno parla in parabole, non definisce, non dice tutto: non dice "è", è così e basta. Ma dice semplicemente: è "come": è come un seminatore, il regno di Dio è come il grano di senapa, è come una perla, è come una rete gettata in mare.
Quasi dicesse: è così, ma è anche altro... altro che ancora rimane velato.
Pensate la diversità tra una chiesa, una chiesa categorica, che dice "è", "è così", e una chiesa delle parabole, che dice: "è come...".
C'è un abisso, l'abisso tra il definire gelido e il raccontare appassionato.
La differenza tra il dire: "Dio è, Dio è l'essere perfettissimo" e il dire: "Dio è come un padre che aveva due figli...".
Un brivido di luce, ma poi c'è tutto un mistero da attraversare, come un mare infinito da solcare.
"La Sacra Scrittura" -scrive l'Arcivescovo Martini nella lettera "Ripartiamo da Dio!"- "preferisce il velo del simbolo o della parabola; sa che di Dio non si può parlare che con tremore e per accenni, come di "Qualcuno" che in tutto ci supera. Gesù stesso non toglie questo velo. Lui che è il Figlio ci parla del Padre, ma "per enigmi", fino al giorno in cui svelatamente ci parlerà di Lui. Questo giorno non è ancora venuto, se non per anticipazioni, che lasciano ancora tante cose oscure e ci fanno camminare nella notte della fede".
Vi confesso che, quando sono un po' più lucido e un po' più appassionato, mi capita di pensare che è proprio una strana pretesa la nostra, di noi che abbiamo un Dio che parla in parabole, per accenni; dice: -"e come se"- e da parte nostra abbiamo la pretesa di dire "è, è così", la pretesa di parlare per definizioni.
Come ci farebbe bene -a tutti i livelli- pensare che le nostre certezze -anche quelle del Catechismo, dice l'Arcivescovo Martini- sono "come la lampada che brilla in un luogo oscuro finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei nostri cuori" (2 Pt. 1,19).
E cioè le nostre certezze "non ci dispensano dalla fatica di interrogarci, dal timore di illuderci, dal bisogno di esaminarci con umiltà su quanto diciamo e su quanto operiamo ogni giorno" (C.M.Martini, Ripartiamo da Dio! pp.26-27).
Un'ultima breve riflessione: ancora sul parlare in parabole, per dire che la parabola fa parlare la vita.
E dunque guardare la vita per parlare di Dio, non guardare chissà quali astruserie: Gesù guardava il seminatore e quel suo gesto senza misura e diceva a se stesso: c'è qualcosa di Dio in quel gesto smisurato.
Voi mi avete capito: la vita non è vuota, non è assenza: c'è qualcosa di Dio nella vita.
Se avessimo occhi, cuore per guardare la vita, se avessimo la profondità degli occhi di Gesù, penso che anche noi, di questa vita, comporremmo parabole. Racconteremmo di Dio con parabole e poesie, come faceva Gesù.
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