don Luca Garbinetto "Vincere il male con il bene"
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/07/2014)
Vangelo: Mt 13,24-43
Il male esiste. Chiunque, guardandosi intorno con sincerità, percepisce il dramma dell'esistenza del male. A meno che non si sia nascosto dentro fantasie
e illusioni fasulle, che mascherano l'esistenza di pericoloso romanticismo. Anche nelle favole dei bambini esiste il male, ed è bene che sia così. Perché le favole educano alla vita, e sono spesso più reali dei racconti manovrati di tanti programmi televisivi per adulti.
E il male fa male. Ma forse fa ancora più male l'esperienza di non poter fare nulla contro il male. Forse è ancora più doloroso, quando si constata che nel campo della vita sono germogliati semi di zizzania, sperimentare la propria impotenza di fronte a una simile tragedia. Forse è motivo di maggiore sofferenza l'incapacità di fare giustizia, perché la giustizia è vincere il male e far crescere il bene.
Nelle favole dei bambini, quelle più belle, il male viene sconfitto. É il bene a trionfare. E forse i discepoli di Gesù, nell'ascoltare le sue parabole, avevano negli orecchi e nel cuore i racconti dei nonni, impastati di Parola di Dio, ma per certi versi molto simili alle favole che fanno crescere. Conoscevano un Dio vincitore, più forte di ogni malvagità, un Dio potente che fa' giustizia e che promette di cancellare definitivamente il male dalla faccia della terra. E da Gesù, probabilmente, si aspettavano la conferma di questo Dio, di questa giustizia, di questa attesa: il bene deve trionfare debellando senza mezze misure il male fin dalle sue radici.
‘E vissero tutti felici e contenti': a volte, di fronte all'esperienza del male, nel nostro cuore riaffiora la speranza di questo finale idilliaco, come nelle favole. Chissà sia questo l'unico vero limite delle favole: l'idea che quanto è raccontato ai bambini si realizzi già, qui e ora, nella sua totalità. I bambini, in realtà, sanno cogliere quella dimensione simbolica che rimanda a un poi, che alimenta l'attesa più che l'immediato, che suscita speranza più che delusione.
Ecco allora che il campo della vita, il campo del mondo, che poi è anche il campo di ogni cuore, ha diritto, proprio per questioni di giustizia, di sperimentare tutto il paradosso di una convivenza inaspettata. Il male convive con il bene. É mistero racchiuso fin dalle origini nella storia dell'uomo. Qualcuno, che non ha sopportato il tanto amore di Dio nei suoi confronti, ha preteso di svincolarsene facendosi seminatore anche lui al pari del Creatore. Ha sbagliato semente cattiva, purtroppo. Ma Dio, che di agricoltura se ne intende, sa che non si può buttare tutto per un errore di selezione dei semi: il rischio è di ‘gettare il bambino con l'acqua sporca' - oggi la sapienza del popolo fa da sostegno alla luce del Vangelo.
La giustizia, allora, si rivela in una luce nuova. Ha caratteristiche in realtà profondamente umane: è pazienza, perseveranza, attesa, prudenza. ‘Il tempo è gentiluomo', mi ha confortato l'altro giorno un amico, di fronte alle mie inquietudini sulla vita. E Dio è...un buon Uomo! In Lui non ha casa il male. La radice uscita da Dio è solamente buona, il seme da Lui sparso è unicamente buono. E il tempo lo ha creato Dio, per cui la capacità di attendere e accompagnare significa fidarsi della bontà di Dio.
La parabola del grano e della zizzania ci parla di questa premurosa giustizia di Dio, che penetra ogni ambiente di uno spirito nuovo. O meglio, dei doni dello Spirito (cfr. Gal 5, 22): sono i componenti di un prodotto innovativo, capace di sperare anche nella conversione del peccatore (cfr. Sap 12, 19). Ma la parabola va letta in sinfonia con le altre due: il granello di senape e il lievito. Sono immagini di ordinaria amministrazione, che garantiscono l'antidoto al rischio della rassegnazione. L'attesa, nella logica di Dio, non è passiva remissività. Non si sta a guardare il male attendendo semplicemente che i giorni e le stagioni facciano il proprio corso. La nostra non è la religione naturale e cosmica, che alimenta fatalistiche illusioni secondo i chiari di luna.
C'è invece da immettere la vitalità del lievito nella massa. C'è da innescare processi di crescita nella piccolezza del grano di senape. Si tratta, come auspica papa Francesco, di ‘occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci' (cfr. Evangelii Gaudium, n. 223).
C'è insomma da occuparsi più di semina che di mietitura. Se infatti agli angeli di Dio, nel giorno della giustizia definitiva, spetterà di tirare le somme del corso del tempo, a noi, come piccoli semi contagiosi di bene, tocca... spargere il seme! Seminare bontà, ‘vincere il male con il bene'. L'efficacia dell'agire di Dio, di cui l'uomo, sua creatura ‘molto buona', è continuatore e custode, sta nell'instancabile semina, nell'innesto coraggioso di batteri di bontà anche laddove un contadino di corte vedute potrebbe immaginare al massimo un rogo distruttivo.
Dove c'è il male, insomma, a noi spetta seminare germi di bene. Con un infinito atto di fede nell'intima bellezza di ogni creatura, che è al mondo non per merito del Nemico contadino, ma per grazia gratis data da parte dell'unico Agricoltore. In ogni uomo c'è uno spicchio di bene, una possibilità di conversione, uno spazio libero per il pentimento. Chissà che, investendo le nostre energie nella giustizia d'amore, non generiamo sorprese, toccando le vene di chi, fino a quel momento, si è considerato soltanto a immagine e somiglianza del Maligno?
Questo vale per ogni campo della vita. Anche per le grandi questioni della pace nel mondo. Ciò che uccide definitivamente la giustizia, più ancora che le bombe, è l'indifferenza e la rassegnazione dei popoli verso il possibile cambiamento della storia. ‘Chi ha orecchi, ascolti!'.
Vangelo: Mt 13,24-43
Il male esiste. Chiunque, guardandosi intorno con sincerità, percepisce il dramma dell'esistenza del male. A meno che non si sia nascosto dentro fantasie
e illusioni fasulle, che mascherano l'esistenza di pericoloso romanticismo. Anche nelle favole dei bambini esiste il male, ed è bene che sia così. Perché le favole educano alla vita, e sono spesso più reali dei racconti manovrati di tanti programmi televisivi per adulti.
E il male fa male. Ma forse fa ancora più male l'esperienza di non poter fare nulla contro il male. Forse è ancora più doloroso, quando si constata che nel campo della vita sono germogliati semi di zizzania, sperimentare la propria impotenza di fronte a una simile tragedia. Forse è motivo di maggiore sofferenza l'incapacità di fare giustizia, perché la giustizia è vincere il male e far crescere il bene.
Nelle favole dei bambini, quelle più belle, il male viene sconfitto. É il bene a trionfare. E forse i discepoli di Gesù, nell'ascoltare le sue parabole, avevano negli orecchi e nel cuore i racconti dei nonni, impastati di Parola di Dio, ma per certi versi molto simili alle favole che fanno crescere. Conoscevano un Dio vincitore, più forte di ogni malvagità, un Dio potente che fa' giustizia e che promette di cancellare definitivamente il male dalla faccia della terra. E da Gesù, probabilmente, si aspettavano la conferma di questo Dio, di questa giustizia, di questa attesa: il bene deve trionfare debellando senza mezze misure il male fin dalle sue radici.
‘E vissero tutti felici e contenti': a volte, di fronte all'esperienza del male, nel nostro cuore riaffiora la speranza di questo finale idilliaco, come nelle favole. Chissà sia questo l'unico vero limite delle favole: l'idea che quanto è raccontato ai bambini si realizzi già, qui e ora, nella sua totalità. I bambini, in realtà, sanno cogliere quella dimensione simbolica che rimanda a un poi, che alimenta l'attesa più che l'immediato, che suscita speranza più che delusione.
Ecco allora che il campo della vita, il campo del mondo, che poi è anche il campo di ogni cuore, ha diritto, proprio per questioni di giustizia, di sperimentare tutto il paradosso di una convivenza inaspettata. Il male convive con il bene. É mistero racchiuso fin dalle origini nella storia dell'uomo. Qualcuno, che non ha sopportato il tanto amore di Dio nei suoi confronti, ha preteso di svincolarsene facendosi seminatore anche lui al pari del Creatore. Ha sbagliato semente cattiva, purtroppo. Ma Dio, che di agricoltura se ne intende, sa che non si può buttare tutto per un errore di selezione dei semi: il rischio è di ‘gettare il bambino con l'acqua sporca' - oggi la sapienza del popolo fa da sostegno alla luce del Vangelo.
La giustizia, allora, si rivela in una luce nuova. Ha caratteristiche in realtà profondamente umane: è pazienza, perseveranza, attesa, prudenza. ‘Il tempo è gentiluomo', mi ha confortato l'altro giorno un amico, di fronte alle mie inquietudini sulla vita. E Dio è...un buon Uomo! In Lui non ha casa il male. La radice uscita da Dio è solamente buona, il seme da Lui sparso è unicamente buono. E il tempo lo ha creato Dio, per cui la capacità di attendere e accompagnare significa fidarsi della bontà di Dio.
La parabola del grano e della zizzania ci parla di questa premurosa giustizia di Dio, che penetra ogni ambiente di uno spirito nuovo. O meglio, dei doni dello Spirito (cfr. Gal 5, 22): sono i componenti di un prodotto innovativo, capace di sperare anche nella conversione del peccatore (cfr. Sap 12, 19). Ma la parabola va letta in sinfonia con le altre due: il granello di senape e il lievito. Sono immagini di ordinaria amministrazione, che garantiscono l'antidoto al rischio della rassegnazione. L'attesa, nella logica di Dio, non è passiva remissività. Non si sta a guardare il male attendendo semplicemente che i giorni e le stagioni facciano il proprio corso. La nostra non è la religione naturale e cosmica, che alimenta fatalistiche illusioni secondo i chiari di luna.
C'è invece da immettere la vitalità del lievito nella massa. C'è da innescare processi di crescita nella piccolezza del grano di senape. Si tratta, come auspica papa Francesco, di ‘occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci' (cfr. Evangelii Gaudium, n. 223).
C'è insomma da occuparsi più di semina che di mietitura. Se infatti agli angeli di Dio, nel giorno della giustizia definitiva, spetterà di tirare le somme del corso del tempo, a noi, come piccoli semi contagiosi di bene, tocca... spargere il seme! Seminare bontà, ‘vincere il male con il bene'. L'efficacia dell'agire di Dio, di cui l'uomo, sua creatura ‘molto buona', è continuatore e custode, sta nell'instancabile semina, nell'innesto coraggioso di batteri di bontà anche laddove un contadino di corte vedute potrebbe immaginare al massimo un rogo distruttivo.
Dove c'è il male, insomma, a noi spetta seminare germi di bene. Con un infinito atto di fede nell'intima bellezza di ogni creatura, che è al mondo non per merito del Nemico contadino, ma per grazia gratis data da parte dell'unico Agricoltore. In ogni uomo c'è uno spicchio di bene, una possibilità di conversione, uno spazio libero per il pentimento. Chissà che, investendo le nostre energie nella giustizia d'amore, non generiamo sorprese, toccando le vene di chi, fino a quel momento, si è considerato soltanto a immagine e somiglianza del Maligno?
Questo vale per ogni campo della vita. Anche per le grandi questioni della pace nel mondo. Ciò che uccide definitivamente la giustizia, più ancora che le bombe, è l'indifferenza e la rassegnazione dei popoli verso il possibile cambiamento della storia. ‘Chi ha orecchi, ascolti!'.
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