don Michele Cerutti "Ti rendo lode o Padre perché hai nascosto queste cose ai dotti e le hai rivelate ai piccoli"
XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/07/2014)
Vangelo: Mt 11,25-30
Deve esserci stato stupore tra quei discepoli di Gesù, che lo hanno conosciuto perché davanti ai loro occhi sono stati compiuti da Lui stesso dei grandi miracoli, quando dalla bocca del Maestro stesso vi è stata l'esaltazione dei piccoli degli esclusi da sempre in ogni società e in ogni era.
Quel Maestro era l'uomo giusto per compiere il grande miracolo sperato mandare via i romani da quella terra e riprendersela forse con l'ausilio dei Principati del cielo e invece cambia prospettiva: "Ti rendo lode o Padre perché hai nascosto queste cose ai dotti e le hai rivelate ai piccoli".
Una logica di Dio ancora una volta stravolta. Alla logica dell'onnipotenza di Dio si oppone la semplicità di Dio stesso che preferisce ai dotti e ai sapienti parlare al cuore dei piccoli. I piccoli sono i poveri, coloro che non hanno sovrastrutture, ma cuori semplici, cuori aperti alla novità del Vangelo.
Gesù esprime queste espressioni di esaltazione dei piccoli di fronte a un contesto di farisei e scribi che cerca subito il passo falso per farlo fuori.
Davanti alla resistenza farisaica le folle invece ne esaltavano la figura e vi è stata la volta di chi esagerando lo voleva incoronare Re
Meditando questo brano di Vangelo ho pensato alle tante figure che hanno caratterizzato la mia vita e la mia vita di fede.
Ho potuto costatare con mano quanto è vera questa espressione del Vangelo.
Ho avuto la fortuna perfino di completare gli studi teologici a Roma, dove sono presente i più grandi nomi della teologia che prestano lavori perfino alla Congregazione della Fede tracciando sempre bene i confini di quella disciplina.
Tuttavia, la mia fede non è aumentata perché ho approfondito gli studi teologici.
Mi sono venuti in mente dei fatti semplici di vita concreta che mi hanno fatto comprendere che il Signore parla con il cuore dei piccoli.
Mi sono ricordato quando in Seminario dove è presente la Madonna del Cuore d'Oro un bambino chiese perché la Madonna fosse rappresentata con gli occhi chiusi e davanti a dei balbettamenti di chi conduceva l'incontro un altro bambino rispose perché la Madonna guarda con gli occhi del Cuore.
L'esperienza di tanti nonni e nonne che cercano di trasmettere la fede e dei valori collegati ad essa, nonni e nonne che molto spesso non hanno avuto studi particolari.
Un esercizio che ci fa bene fare quello di passare in rassegna la nostra vita e verificare come la fede è cresciuta grazie alla semplicità di uomini e donne insignificanti agli occhi della società.
Mi piace pensare a Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, in odore di santità che racconta come Lui stesso ha compreso il dono del povero nel crescere nella fede. E' una storia bella, ma che ci fa capire quali vie semplici ci offre Dio per crescere nel rapporto con Lui.
E' morto l'altr'anno. Pace all'anima sua. Ma ogni volta che nella recita del breviario mi imbatto in quel versetto del salmo 8 che dice: L'hai fatto poco meno degli, angeli, non posso fare a meno di ricordarmi di lui. Povero Giuseppe! Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva trentasei anni, e metà dell'esistenza l'aveva consumata nel carcere. La mala sorte un po' se l'era voluta da solo, per quella dissennata anarchia che gli covava nell'anima e lo rendeva irriducibile ai nostri canoni di persone perbene. Ma una buona porzione di sventura gliela procuravamo a rate tutti quanti. A partire da me che, avendolo accolto in casa, gli facevo pagare l'ospitalità con le mie prediche... per finire ai giovanotti dei bar vicino alla stazione, che gli pagavano la bottiglia di whisky per godersi lo spettacolo di vederlo ubriaco. La, sera, quando tornava in episcopio più tardi del solito e non gli andava di cenare, mi guardava con le pupille stralunate che si ritiravano all'insù lasciando vedere tutto il bianco degli occhi, e biascicava parole senza costrutto dalle quali, però, mi sembrava di capire: «Lo so, sono un verme, cacciami via, se vuoi: me lo merito». Quell'anno, alla fine di aprile, il santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di basilica minore. La città ora in festa, e per il singolare avvenimento giunse da Roma un cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel santuario. Parlò con trasporto di Maria suscitando un vivo entusiasmo. Poi, prima di mandare tutti a dormire, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa. Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di basilica minore. Gli risposi dicendo che «basilíca» è una parola che deriva dal greco e significa «casa del re», e conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l'altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente:«Lo so che cosa vuoi dire basilica. Ma perché basilica minore?». Dovetti, mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto ~ chiare in proposito. Solo più tardi mi sarei fatto una cultura e avrei capito che basiliche maggiori sono quelle di Roma, e basiliche minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un'assemblea che mi interpellava, e davanti al cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull'argomento. Mi venne, però, un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, basilica minore è quella fatta di pietre, basilica maggiore è quella fatta di carne. L'uomo, insomma. Basilica maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!». Il cardinale annuiva benevolmente col capo, Forse mi assolveva per quel. guizzo di genio. La veglia finì che era passata la mezzanotte. Fui l'ultimo a lasciare il santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada, commentammo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi. Ma ecco che, giunti davanti al portone dell'episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c'era lui: Giuseppe. Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. Ci fermammo muti a contemplare con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, basilica maggiore o basilica minore?». «Basilica maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire. All'alba, volli, andare a vedere se si fosse svegliato. Avevo intenzione di cantargliene quattro. Giuseppe riposava, sereno. Un respiro placido gli sollevava il petto nudo. Sotto le palpebre socchiuse luccicavano due pupille nerissime, e la barba dava al suo volto un tocco di eleganza,,, Forse stava sognando. Mi venne spontaneo rivolgermi al Signore a ripetere coi salmo: Lo hai fatto poco meno degli angeli. Mi attardai per vedere se avesse le ali. Forse le aveva nascoste sotto il guanciale.
Chiediamo un cuore semplice che sappia aprire alla novità del Vangelo come i figli abbandonati ad un Padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Vangelo: Mt 11,25-30
Deve esserci stato stupore tra quei discepoli di Gesù, che lo hanno conosciuto perché davanti ai loro occhi sono stati compiuti da Lui stesso dei grandi miracoli, quando dalla bocca del Maestro stesso vi è stata l'esaltazione dei piccoli degli esclusi da sempre in ogni società e in ogni era.
Quel Maestro era l'uomo giusto per compiere il grande miracolo sperato mandare via i romani da quella terra e riprendersela forse con l'ausilio dei Principati del cielo e invece cambia prospettiva: "Ti rendo lode o Padre perché hai nascosto queste cose ai dotti e le hai rivelate ai piccoli".
Una logica di Dio ancora una volta stravolta. Alla logica dell'onnipotenza di Dio si oppone la semplicità di Dio stesso che preferisce ai dotti e ai sapienti parlare al cuore dei piccoli. I piccoli sono i poveri, coloro che non hanno sovrastrutture, ma cuori semplici, cuori aperti alla novità del Vangelo.
Gesù esprime queste espressioni di esaltazione dei piccoli di fronte a un contesto di farisei e scribi che cerca subito il passo falso per farlo fuori.
Davanti alla resistenza farisaica le folle invece ne esaltavano la figura e vi è stata la volta di chi esagerando lo voleva incoronare Re
Meditando questo brano di Vangelo ho pensato alle tante figure che hanno caratterizzato la mia vita e la mia vita di fede.
Ho potuto costatare con mano quanto è vera questa espressione del Vangelo.
Ho avuto la fortuna perfino di completare gli studi teologici a Roma, dove sono presente i più grandi nomi della teologia che prestano lavori perfino alla Congregazione della Fede tracciando sempre bene i confini di quella disciplina.
Tuttavia, la mia fede non è aumentata perché ho approfondito gli studi teologici.
Mi sono venuti in mente dei fatti semplici di vita concreta che mi hanno fatto comprendere che il Signore parla con il cuore dei piccoli.
Mi sono ricordato quando in Seminario dove è presente la Madonna del Cuore d'Oro un bambino chiese perché la Madonna fosse rappresentata con gli occhi chiusi e davanti a dei balbettamenti di chi conduceva l'incontro un altro bambino rispose perché la Madonna guarda con gli occhi del Cuore.
L'esperienza di tanti nonni e nonne che cercano di trasmettere la fede e dei valori collegati ad essa, nonni e nonne che molto spesso non hanno avuto studi particolari.
Un esercizio che ci fa bene fare quello di passare in rassegna la nostra vita e verificare come la fede è cresciuta grazie alla semplicità di uomini e donne insignificanti agli occhi della società.
Mi piace pensare a Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, in odore di santità che racconta come Lui stesso ha compreso il dono del povero nel crescere nella fede. E' una storia bella, ma che ci fa capire quali vie semplici ci offre Dio per crescere nel rapporto con Lui.
E' morto l'altr'anno. Pace all'anima sua. Ma ogni volta che nella recita del breviario mi imbatto in quel versetto del salmo 8 che dice: L'hai fatto poco meno degli, angeli, non posso fare a meno di ricordarmi di lui. Povero Giuseppe! Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva trentasei anni, e metà dell'esistenza l'aveva consumata nel carcere. La mala sorte un po' se l'era voluta da solo, per quella dissennata anarchia che gli covava nell'anima e lo rendeva irriducibile ai nostri canoni di persone perbene. Ma una buona porzione di sventura gliela procuravamo a rate tutti quanti. A partire da me che, avendolo accolto in casa, gli facevo pagare l'ospitalità con le mie prediche... per finire ai giovanotti dei bar vicino alla stazione, che gli pagavano la bottiglia di whisky per godersi lo spettacolo di vederlo ubriaco. La, sera, quando tornava in episcopio più tardi del solito e non gli andava di cenare, mi guardava con le pupille stralunate che si ritiravano all'insù lasciando vedere tutto il bianco degli occhi, e biascicava parole senza costrutto dalle quali, però, mi sembrava di capire: «Lo so, sono un verme, cacciami via, se vuoi: me lo merito». Quell'anno, alla fine di aprile, il santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di basilica minore. La città ora in festa, e per il singolare avvenimento giunse da Roma un cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel santuario. Parlò con trasporto di Maria suscitando un vivo entusiasmo. Poi, prima di mandare tutti a dormire, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa. Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di basilica minore. Gli risposi dicendo che «basilíca» è una parola che deriva dal greco e significa «casa del re», e conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l'altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente:«Lo so che cosa vuoi dire basilica. Ma perché basilica minore?». Dovetti, mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto ~ chiare in proposito. Solo più tardi mi sarei fatto una cultura e avrei capito che basiliche maggiori sono quelle di Roma, e basiliche minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un'assemblea che mi interpellava, e davanti al cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull'argomento. Mi venne, però, un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, basilica minore è quella fatta di pietre, basilica maggiore è quella fatta di carne. L'uomo, insomma. Basilica maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!». Il cardinale annuiva benevolmente col capo, Forse mi assolveva per quel. guizzo di genio. La veglia finì che era passata la mezzanotte. Fui l'ultimo a lasciare il santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada, commentammo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi. Ma ecco che, giunti davanti al portone dell'episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c'era lui: Giuseppe. Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. Ci fermammo muti a contemplare con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, basilica maggiore o basilica minore?». «Basilica maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire. All'alba, volli, andare a vedere se si fosse svegliato. Avevo intenzione di cantargliene quattro. Giuseppe riposava, sereno. Un respiro placido gli sollevava il petto nudo. Sotto le palpebre socchiuse luccicavano due pupille nerissime, e la barba dava al suo volto un tocco di eleganza,,, Forse stava sognando. Mi venne spontaneo rivolgermi al Signore a ripetere coi salmo: Lo hai fatto poco meno degli angeli. Mi attardai per vedere se avesse le ali. Forse le aveva nascoste sotto il guanciale.
Chiediamo un cuore semplice che sappia aprire alla novità del Vangelo come i figli abbandonati ad un Padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Commenti
Posta un commento