Mons.Antonio Riboldi "Sete di speranza oggi"
Omelia del giorno 3 Agosto 2014
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Fa davvero impressione la troppa gente che si abbandona alla disperazione, per i più vari motivi: dalle vere tragedie, che sembrano togliere ogni
ragione di vita, o guardando a come è difficile che si faccia strada la giustizia nel nostro mondo o per le più diverse delusioni umane, che sembrano voler spegnere il gusto della vita.
Sono tantissime, insomma, le ragioni che portano a disperarsi.
Tante volte il motivo dipende dall’impostazione della vita, che ci si è data, affidandosi a ‘sogni’ umani, che possono illudere o fare contenti per un istante, ma non garantiscono la vera speranza, che dà un senso ‘oltre’, anche quando le cose vanno male.
Nella domenica, Giorno del Signore, Gesù ci parla, per aiutarci a cogliere il vero senso della vita:
“In quel tempo – racconta Matteo – avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: ‘Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare’. Ma Gesù disse loro: ‘Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare’. Gli risposero: ‘Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!’. Ed egli disse: ‘Portatemeli qui’. E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste pene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini”. (Mt. 14, 13-21)
Certamente una semplice lettura del Vangelo ci può lasciare sconcertati. Anzitutto colpisce certamente il grande dolore di Gesù nell’apprendere della morte di Giovanni Battista, il cugino che ‘aveva sobbalzato nel seno’ della mamma, all’arrivo di Maria, che portava nel suo grembo verginale Gesù, il Figlio di Dio, ma anche il suo precursore, primo testimone della Sua divinità. Alla notizia, come a voler cercare ‘un senso’ a quanto stava accadendo, Gesù sceglie la via della solitudine. Forse noi ci saremmo disperati o avremmo implorato vendetta o, quantomeno, giustizia. Ma non è nello stile di Dio, e quindi di Gesù, questo atteggiamento di ritorsione.
C’è un perché in tutto e di tutto, anche per noi: un perché scritto nel cuore di Dio e che può essere colto solo se si è capaci di ritirarsi, come fece Gesù, in disparte, nel silenzio, – quasi a prendere le distanze da reazioni ‘troppo umane’ – per trovare la forza di affidarsi ai disegni del Padre e, così, prepararsi ad incontrare di nuovo i fratelli sulla scia dell’amore, per poter far nascere la speranza.
Ed infatti Gesù – racconta il Vangelo – viene raggiunto dalla folla, quella silenziosa folla che sempre cerca Uno che sia la sua voce, il compimento dei suoi inespressi desideri.
In pratica Gesù era diventato punto di riferimento, come diremmo noi oggi: uno da cui, forse, ci si aspettava tanto, non sapendo neppure che cosa sarebbe stato questo ‘tanto’.
Gesù era allora – e dovrebbe essere anche oggi – la grande e sola speranza della vita.
Era la speranza per chi chiedeva di tornare alla salute, per chi sognava la libertà e non ne aveva mai sperimentato il significato, per chi forse voleva ritrovare se stesso, il senso della propria vita, frustrato dalle tante contraddizioni che sono, sembra, ciò che offre il mondo. Ognuno in quella folla avvertiva il Suo incredibile amore: un amore che fa sentire al sicuro.
E Gesù ricambia, dimenticando il suo stesso dolore per la morte di Giovanni.
Scende dalla barca, si fa vicino, si fa partecipe della ‘passione’ che agita la folla e interpreta la loro speranza con due segni, guarendo gli ammalati e moltiplicando i pani.
Si ha l’impressione che gli uomini di oggi assomiglino tanto a quella folla, assetata di speranza.
“Avvertiamo – diceva Paolo VI – nell’umanità, un bisogno doloroso e, in un certo senso, profetico di speranza, come del respiro per la vita. Senza speranza non si vive … L’uomo ha bisogno di una finalità, di incoraggiamento, di pregustamento della gioia futura. L’entusiasmo, che è la molla dell’azione e del rischio, non può sorgere che da una speranza forte e serena. L’uomo ha bisogno di ottimismo sincero non illusorio .... La vera speranza, che deve sorreggere il cammino dell’uomo, si fonda sulla fede, la quale è, nel linguaggio biblico, ‘fondamento delle cose sperate’ e, nella realtà storica, è Gesù risorto” (11 aprile 1971)
E Papa Francesco lo ribadisce spesso: ‘Per un cristiano, speranza non è quella di chi di solito guarda al ‘bicchiere mezzo pieno’: quello è semplicemente ottimismo, un atteggiamento umano che dipende da tante cose. La speranza è un’altra cosa, è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: ‘Mai delude’. Ma Paolo ci dice anche che la speranza ha un nome: è Gesù. Se tu non dici: ‘Ho speranza in Gesù, in Gesù Cristo, Persona viva, che adesso viene nell’Eucarestia, che è presente nella sua Parola’, la tua non è speranza. È buon umore, ottimismo, ma la speranza vera è Gesù in persona, è la sua forza di liberare e rifare nuova ogni vita”.
Chiediamo dunque a Dio l’umiltà e la fiducia di ‘inseguire Gesù’, nostra vera e sola speranza, anche oggi.
Antonio Riboldi – Vescovo –
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Fa davvero impressione la troppa gente che si abbandona alla disperazione, per i più vari motivi: dalle vere tragedie, che sembrano togliere ogni
ragione di vita, o guardando a come è difficile che si faccia strada la giustizia nel nostro mondo o per le più diverse delusioni umane, che sembrano voler spegnere il gusto della vita.
Sono tantissime, insomma, le ragioni che portano a disperarsi.
Tante volte il motivo dipende dall’impostazione della vita, che ci si è data, affidandosi a ‘sogni’ umani, che possono illudere o fare contenti per un istante, ma non garantiscono la vera speranza, che dà un senso ‘oltre’, anche quando le cose vanno male.
Nella domenica, Giorno del Signore, Gesù ci parla, per aiutarci a cogliere il vero senso della vita:
“In quel tempo – racconta Matteo – avendo udito della morte di Giovanni Battista, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: ‘Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare’. Ma Gesù disse loro: ‘Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare’. Gli risposero: ‘Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!’. Ed egli disse: ‘Portatemeli qui’. E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste pene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini”. (Mt. 14, 13-21)
Certamente una semplice lettura del Vangelo ci può lasciare sconcertati. Anzitutto colpisce certamente il grande dolore di Gesù nell’apprendere della morte di Giovanni Battista, il cugino che ‘aveva sobbalzato nel seno’ della mamma, all’arrivo di Maria, che portava nel suo grembo verginale Gesù, il Figlio di Dio, ma anche il suo precursore, primo testimone della Sua divinità. Alla notizia, come a voler cercare ‘un senso’ a quanto stava accadendo, Gesù sceglie la via della solitudine. Forse noi ci saremmo disperati o avremmo implorato vendetta o, quantomeno, giustizia. Ma non è nello stile di Dio, e quindi di Gesù, questo atteggiamento di ritorsione.
C’è un perché in tutto e di tutto, anche per noi: un perché scritto nel cuore di Dio e che può essere colto solo se si è capaci di ritirarsi, come fece Gesù, in disparte, nel silenzio, – quasi a prendere le distanze da reazioni ‘troppo umane’ – per trovare la forza di affidarsi ai disegni del Padre e, così, prepararsi ad incontrare di nuovo i fratelli sulla scia dell’amore, per poter far nascere la speranza.
Ed infatti Gesù – racconta il Vangelo – viene raggiunto dalla folla, quella silenziosa folla che sempre cerca Uno che sia la sua voce, il compimento dei suoi inespressi desideri.
In pratica Gesù era diventato punto di riferimento, come diremmo noi oggi: uno da cui, forse, ci si aspettava tanto, non sapendo neppure che cosa sarebbe stato questo ‘tanto’.
Gesù era allora – e dovrebbe essere anche oggi – la grande e sola speranza della vita.
Era la speranza per chi chiedeva di tornare alla salute, per chi sognava la libertà e non ne aveva mai sperimentato il significato, per chi forse voleva ritrovare se stesso, il senso della propria vita, frustrato dalle tante contraddizioni che sono, sembra, ciò che offre il mondo. Ognuno in quella folla avvertiva il Suo incredibile amore: un amore che fa sentire al sicuro.
E Gesù ricambia, dimenticando il suo stesso dolore per la morte di Giovanni.
Scende dalla barca, si fa vicino, si fa partecipe della ‘passione’ che agita la folla e interpreta la loro speranza con due segni, guarendo gli ammalati e moltiplicando i pani.
Si ha l’impressione che gli uomini di oggi assomiglino tanto a quella folla, assetata di speranza.
“Avvertiamo – diceva Paolo VI – nell’umanità, un bisogno doloroso e, in un certo senso, profetico di speranza, come del respiro per la vita. Senza speranza non si vive … L’uomo ha bisogno di una finalità, di incoraggiamento, di pregustamento della gioia futura. L’entusiasmo, che è la molla dell’azione e del rischio, non può sorgere che da una speranza forte e serena. L’uomo ha bisogno di ottimismo sincero non illusorio .... La vera speranza, che deve sorreggere il cammino dell’uomo, si fonda sulla fede, la quale è, nel linguaggio biblico, ‘fondamento delle cose sperate’ e, nella realtà storica, è Gesù risorto” (11 aprile 1971)
E Papa Francesco lo ribadisce spesso: ‘Per un cristiano, speranza non è quella di chi di solito guarda al ‘bicchiere mezzo pieno’: quello è semplicemente ottimismo, un atteggiamento umano che dipende da tante cose. La speranza è un’altra cosa, è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: ‘Mai delude’. Ma Paolo ci dice anche che la speranza ha un nome: è Gesù. Se tu non dici: ‘Ho speranza in Gesù, in Gesù Cristo, Persona viva, che adesso viene nell’Eucarestia, che è presente nella sua Parola’, la tua non è speranza. È buon umore, ottimismo, ma la speranza vera è Gesù in persona, è la sua forza di liberare e rifare nuova ogni vita”.
Chiediamo dunque a Dio l’umiltà e la fiducia di ‘inseguire Gesù’, nostra vera e sola speranza, anche oggi.
Antonio Riboldi – Vescovo –
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