padre Raniero Cantalamessa"Le cose nascoste ai sapienti e rivelate ai piccoli"
Vangelo: Mt 11,25-30
Il vangelo di questa domenica, tra le pagine più intense e profonde del vangelo, è composto di tre parti: una preghiera ("Ti benedico, Padre..."), una dichiarazione su di sé ("Tutto mi è stato dato dal Padre mio...") e un invito ("Venite a me voi tutti che siete affaticati..."). Mi limito a commentare il primo elemento, la preghiera, perché essa contiene una rivelazione di straordinaria importanza: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te".
E' iniziato da poco l'anno paolino e il miglior commento a questa parola di Gesù è ciò che dice Paolo in 1 Corinzi: "Non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono,
perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor 1, 26-29).
Le parole di Cristo e di Paolo gettano una luce singolare sul mondo di oggi. E' una situazione che si ripete. I sapienti e gli intelligenti si tengono lontani dalla fede, guardano spesso con commiserazione la folla dei credenti che prega, che crede nei miracoli che si affolla intorno a Padre Pio. Non tutti i dotti, a dire il vero, e forse neppure la maggioranza di essi, ma certo la parte più influente, che ha a disposizione i microfoni più potenti, la chatting society, come si dice in inglese, la società che ha accesso ai grandi mezzi di comunicazione.
Molti di loro sono persone oneste e intelligentissime e la loro posizione è frutto più di formazione, dell'ambiente, di esperienze vi vita, che di resistenza alla verità. Quindi nessun giudizio sulle persone singole. Ne conosco anch'io alcune e ne ho grande stima. Ma questo non deve impedirci di mettere in luce il nocciolo del problema. La chiusura a ogni rivelazione dall'alto e quindi alla fede, non è causata dall'intelligenza, ma dall'orgoglio. Un orgoglio speciale che consiste nel rifiuto di ogni dipendenza e nella rivendicazione di una autonomia assoluta da parte del pensatore.
Ci si trincera dietro la parola magica "ragione", ma in realtà non è la famosa "ragion pura" che lo esige, né una ragione "sovrana", ma una ragione schiava, dalle ali tarpate. Filosofi che non si possono certo accusare di mancanza d'intelligenza e di capacità dialettica hanno scritto: "L'atto supremo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano" (Pascal) e ancora: " Finora si è sempre parlato così: 'Il dire che non si può capire questa o quella cosa, non soddisfa la scienza che vuol capire'. Ecco lo sbaglio. Si deve dire il contrario: qualora la scienza umana non voglia riconoscere che vi è qualcosa che essa non può capire, o -in modo ancor più preciso- qualcosa di cui essa con chiarezza può 'capire che non può capire', allora tutto è sconvolto. È pertanto un compito della conoscenza umana capire che vi sono e quali sono le cose che essa non può capire" (Kierkegaard). Pone perciò un limite alla ragione e la umilia chi non le riconosce questa capacità di trascendersi, non il credente che gliela riconosce.
Quello che ho detto spiega perché il pensiero moderno, dietro Nietzsche, ha sostituito al valore della verità, quello ricerca della verità e quindi della sincerità. Si scambia a volte questo atteggiamento per umiltà (contentarsi di un "pensiero debole"!) e l'atteggiamento di chi crede in verità assolute per presunzione, ma è un giudizio molto superficiale. Finché la persona è in ricerca è lei la protagonista, lei che conduce il gioco. Una volta trovata la verità, è la verità che sale sul trono e il ricercatore deve inchinarsi davanti a lei e questo, quando si tratta della Verità trascendente, costa il "sacrificio dell'intelletto".
Su questo panorama culturale cade come una provocazione ciò che Gesù dice nel vangelo di Giovanni "Io sono la verità" e anche ciò che dice nel seguito del brano evangelico: "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me...Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi ristorerò". Ma è un invito, non un rimprovero ed è rivolto anche agli stanchi di cercare senza mai trovare, a quelli che hanno passato la vita a tormentarsi cozzando ogni volta contro la roccia impenetrabile del mistero. Lo psicologo C.G. Jung, in un suo libro, dice che tutti i pazienti di una certa età che si erano rivolti a lui, soffrivano per qualcosa che si poteva chiamare "assenza di umiltà" e non guarivano finché non acquistavano un atteggiamento di rispetto nei confronti di una realtà più grande di loro, cioè un atteggiamento di umiltà.
Gesù ripete anche ai tanti intelligenti e sapienti onesti che ci sono nel mondo d'oggi il suo invito pieno di amore: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi darò quel sollievo e quella pace che invano cercate nei vostri tormentosi ragionamenti.
Il vangelo di questa domenica, tra le pagine più intense e profonde del vangelo, è composto di tre parti: una preghiera ("Ti benedico, Padre..."), una dichiarazione su di sé ("Tutto mi è stato dato dal Padre mio...") e un invito ("Venite a me voi tutti che siete affaticati..."). Mi limito a commentare il primo elemento, la preghiera, perché essa contiene una rivelazione di straordinaria importanza: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te".
E' iniziato da poco l'anno paolino e il miglior commento a questa parola di Gesù è ciò che dice Paolo in 1 Corinzi: "Non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono,
perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor 1, 26-29).
Le parole di Cristo e di Paolo gettano una luce singolare sul mondo di oggi. E' una situazione che si ripete. I sapienti e gli intelligenti si tengono lontani dalla fede, guardano spesso con commiserazione la folla dei credenti che prega, che crede nei miracoli che si affolla intorno a Padre Pio. Non tutti i dotti, a dire il vero, e forse neppure la maggioranza di essi, ma certo la parte più influente, che ha a disposizione i microfoni più potenti, la chatting society, come si dice in inglese, la società che ha accesso ai grandi mezzi di comunicazione.
Molti di loro sono persone oneste e intelligentissime e la loro posizione è frutto più di formazione, dell'ambiente, di esperienze vi vita, che di resistenza alla verità. Quindi nessun giudizio sulle persone singole. Ne conosco anch'io alcune e ne ho grande stima. Ma questo non deve impedirci di mettere in luce il nocciolo del problema. La chiusura a ogni rivelazione dall'alto e quindi alla fede, non è causata dall'intelligenza, ma dall'orgoglio. Un orgoglio speciale che consiste nel rifiuto di ogni dipendenza e nella rivendicazione di una autonomia assoluta da parte del pensatore.
Ci si trincera dietro la parola magica "ragione", ma in realtà non è la famosa "ragion pura" che lo esige, né una ragione "sovrana", ma una ragione schiava, dalle ali tarpate. Filosofi che non si possono certo accusare di mancanza d'intelligenza e di capacità dialettica hanno scritto: "L'atto supremo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano" (Pascal) e ancora: " Finora si è sempre parlato così: 'Il dire che non si può capire questa o quella cosa, non soddisfa la scienza che vuol capire'. Ecco lo sbaglio. Si deve dire il contrario: qualora la scienza umana non voglia riconoscere che vi è qualcosa che essa non può capire, o -in modo ancor più preciso- qualcosa di cui essa con chiarezza può 'capire che non può capire', allora tutto è sconvolto. È pertanto un compito della conoscenza umana capire che vi sono e quali sono le cose che essa non può capire" (Kierkegaard). Pone perciò un limite alla ragione e la umilia chi non le riconosce questa capacità di trascendersi, non il credente che gliela riconosce.
Quello che ho detto spiega perché il pensiero moderno, dietro Nietzsche, ha sostituito al valore della verità, quello ricerca della verità e quindi della sincerità. Si scambia a volte questo atteggiamento per umiltà (contentarsi di un "pensiero debole"!) e l'atteggiamento di chi crede in verità assolute per presunzione, ma è un giudizio molto superficiale. Finché la persona è in ricerca è lei la protagonista, lei che conduce il gioco. Una volta trovata la verità, è la verità che sale sul trono e il ricercatore deve inchinarsi davanti a lei e questo, quando si tratta della Verità trascendente, costa il "sacrificio dell'intelletto".
Su questo panorama culturale cade come una provocazione ciò che Gesù dice nel vangelo di Giovanni "Io sono la verità" e anche ciò che dice nel seguito del brano evangelico: "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me...Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi ristorerò". Ma è un invito, non un rimprovero ed è rivolto anche agli stanchi di cercare senza mai trovare, a quelli che hanno passato la vita a tormentarsi cozzando ogni volta contro la roccia impenetrabile del mistero. Lo psicologo C.G. Jung, in un suo libro, dice che tutti i pazienti di una certa età che si erano rivolti a lui, soffrivano per qualcosa che si poteva chiamare "assenza di umiltà" e non guarivano finché non acquistavano un atteggiamento di rispetto nei confronti di una realtà più grande di loro, cioè un atteggiamento di umiltà.
Gesù ripete anche ai tanti intelligenti e sapienti onesti che ci sono nel mondo d'oggi il suo invito pieno di amore: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi darò quel sollievo e quella pace che invano cercate nei vostri tormentosi ragionamenti.
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