riflessione sul Vangelo di ENZO BIANCHI" domenica della Zizzania"
20 luglio 2014
Gesù continua a parlare attraverso parabole, ama parlare attraverso parabole, perché in questo modo non rinchiude il messaggio in formule, non deve ricorrere ad affermazioni apodittiche, non consegna verità munite di uno splendore che abbaglia chi le ascolta… Le parabole sono frutto di un attento vedere da parte di Gesù, di un profondo pensare, di
un puntuale discernimento, di un vero esercizio di intelligenza delle realtà più umili, semplici e quotidiane. Solo una grande attenzione alle cose e ai fatti forniva a Gesù la sapienza delle parabole.
Per questo chi le ascolta giunge a discernere realtà che gli sono abitualmente nascoste, le quali causano in lui una semplice constatazione: ciò che Gesù dice è così umano, così terreno, eppure io non ci avevo mai pensato! Ma se questa comprensione delle parabole da parte dell’ascoltatore è così facile, ascoltando Gesù è altrettanto facile, forse per la semplicità intrinseca alle parabole, lasciar cadere le sue parole e non tenerne conto. Ne è un caso esemplare la parabola più lunga tra quelle contenute nel brano evangelico odierno, una parabola che conosciamo a memoria e che facilmente smentiamo con il nostro comportamento. Accade per il regno dei cieli come per un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ora, mentre egli stesso e tutti dormivano, “venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania”. Terribile sorpresa: se era stato seminato del buon grano, come mai accanto agli steli del grano ci sono quelli della zizzania, un’erba malefica infestante che sottrae alimento al grano, rischia di farlo deperire e rende il raccolto non puro? Forse bisogna passare nel campo e strapparla via, in modo che il grano possa crescere meglio: questo è il ragionevole pensiero dei servi, che lo manifestano al padrone. Quest’ultimo, però, la pensa diversamente.
Dice loro di lasciare che grano e zizzania crescano insieme, “perché non accada che, raccogliendo la zizzania, con essa si sradichi anche il grano”. Sì, è accaduto così, il male ormai è stato fatto, ma non si deve causare un male peggiore. Verrà l’ora della mietitura, e allora si farà la cernita: da una parte la zizzania, per essere bruciata; dall’altra il grano, per essere deposto nei granai. Che cosa comprendiamo come ascoltatori? Che c’è un contadino, Gesù, che semina la sua parola, il buon seme, ma che c’è contemporaneamente l’avversario, il nemico, il diavolo, che di nascosto, quando regnano le tenebre, semina il male. Quel campo è ognuno di noi, è il nostro cuore; quel campo è la comunità cristiana; quel campo è la chiesa…
Se i cristiani sono stati chiamati e distinti dal mondo (cf. 1Pt 1,15-16; Lv 19,2), com’è possibile che annoverino in loro e tra di loro la zizzania? La presenza della zizzania significa debilitazione del grano, significa scandalo per chi guarda il campo, significa insidia per chi fatica a vivere nella perseveranza, cercando di dare frutto buono. E poi la chiesa non è forse minacciata nella sua vita da questa presenza, a volte così folta che non si sa più se il campo è un campo di grano o di erba infestante? Ne va di mezzo la vita il futuro della comunità cristiana, sovente già fragile di per sé… Questi ragionamenti sono tutti razionali e umani, ma non sono i ragionamenti, i pensieri di Dio (cf. Is 55,8-9).
Il Signore non fa di ogni erba un fascio: vede e giudica che la zizzania è zizzania e che il grano è buon grano, e lo stesso devono fare i credenti in lui. Ma il giudizio appartiene a Dio, perché qui sulla terra il male e il bene si intrecciano in un modo tale che solo Dio, nell’ultimo giorno, potrà districare e distinguere. La separazione tra giusti e ingiusti, tra credenti e non credenti esiste, ma è visibile solo agli occhi di Dio, non ai nostri occhi. Solo “il Signore conosce i suoi” (2Tm 2,19; Nm 16,5), solo lui può operare il giudizio. Dunque Gesù ci chiede pazienza, virtù che è attesa e che impedisce di operare prima ciò che deve avvenire dopo; virtù che non permette che siamo noi a operare ciò che spetta a Dio.
Purtroppo tutta la storia delle chiese e della comunità cristiane è costellata di proclami da parte di concili, papi, vescovi che si sentono in dovere di strappare la zizzania che minaccia le chiese stesse: quale fraintendimento delle parole di Gesù! Occorre certamente criticare, denunciare, anche minacciare – come hanno fatto i profeti – di fronte al crescere della zizzania, e tacere è vigliaccheria, comodo, irresponsabilità: ma poi si lasci a Dio e a lui solo il giudizio! Troppa gente ha amato più la teologia e le idee che le persone, ma oggi troppa gente non ama né la fede né le persone: ama il quieto vivere. È così che la barca della chiesa se ne va per mari diversi e attraverso stagioni differenti…
Gesù continua a parlare attraverso parabole, ama parlare attraverso parabole, perché in questo modo non rinchiude il messaggio in formule, non deve ricorrere ad affermazioni apodittiche, non consegna verità munite di uno splendore che abbaglia chi le ascolta… Le parabole sono frutto di un attento vedere da parte di Gesù, di un profondo pensare, di
un puntuale discernimento, di un vero esercizio di intelligenza delle realtà più umili, semplici e quotidiane. Solo una grande attenzione alle cose e ai fatti forniva a Gesù la sapienza delle parabole.
Per questo chi le ascolta giunge a discernere realtà che gli sono abitualmente nascoste, le quali causano in lui una semplice constatazione: ciò che Gesù dice è così umano, così terreno, eppure io non ci avevo mai pensato! Ma se questa comprensione delle parabole da parte dell’ascoltatore è così facile, ascoltando Gesù è altrettanto facile, forse per la semplicità intrinseca alle parabole, lasciar cadere le sue parole e non tenerne conto. Ne è un caso esemplare la parabola più lunga tra quelle contenute nel brano evangelico odierno, una parabola che conosciamo a memoria e che facilmente smentiamo con il nostro comportamento. Accade per il regno dei cieli come per un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ora, mentre egli stesso e tutti dormivano, “venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania”. Terribile sorpresa: se era stato seminato del buon grano, come mai accanto agli steli del grano ci sono quelli della zizzania, un’erba malefica infestante che sottrae alimento al grano, rischia di farlo deperire e rende il raccolto non puro? Forse bisogna passare nel campo e strapparla via, in modo che il grano possa crescere meglio: questo è il ragionevole pensiero dei servi, che lo manifestano al padrone. Quest’ultimo, però, la pensa diversamente.
Dice loro di lasciare che grano e zizzania crescano insieme, “perché non accada che, raccogliendo la zizzania, con essa si sradichi anche il grano”. Sì, è accaduto così, il male ormai è stato fatto, ma non si deve causare un male peggiore. Verrà l’ora della mietitura, e allora si farà la cernita: da una parte la zizzania, per essere bruciata; dall’altra il grano, per essere deposto nei granai. Che cosa comprendiamo come ascoltatori? Che c’è un contadino, Gesù, che semina la sua parola, il buon seme, ma che c’è contemporaneamente l’avversario, il nemico, il diavolo, che di nascosto, quando regnano le tenebre, semina il male. Quel campo è ognuno di noi, è il nostro cuore; quel campo è la comunità cristiana; quel campo è la chiesa…
Se i cristiani sono stati chiamati e distinti dal mondo (cf. 1Pt 1,15-16; Lv 19,2), com’è possibile che annoverino in loro e tra di loro la zizzania? La presenza della zizzania significa debilitazione del grano, significa scandalo per chi guarda il campo, significa insidia per chi fatica a vivere nella perseveranza, cercando di dare frutto buono. E poi la chiesa non è forse minacciata nella sua vita da questa presenza, a volte così folta che non si sa più se il campo è un campo di grano o di erba infestante? Ne va di mezzo la vita il futuro della comunità cristiana, sovente già fragile di per sé… Questi ragionamenti sono tutti razionali e umani, ma non sono i ragionamenti, i pensieri di Dio (cf. Is 55,8-9).
Il Signore non fa di ogni erba un fascio: vede e giudica che la zizzania è zizzania e che il grano è buon grano, e lo stesso devono fare i credenti in lui. Ma il giudizio appartiene a Dio, perché qui sulla terra il male e il bene si intrecciano in un modo tale che solo Dio, nell’ultimo giorno, potrà districare e distinguere. La separazione tra giusti e ingiusti, tra credenti e non credenti esiste, ma è visibile solo agli occhi di Dio, non ai nostri occhi. Solo “il Signore conosce i suoi” (2Tm 2,19; Nm 16,5), solo lui può operare il giudizio. Dunque Gesù ci chiede pazienza, virtù che è attesa e che impedisce di operare prima ciò che deve avvenire dopo; virtù che non permette che siamo noi a operare ciò che spetta a Dio.
Purtroppo tutta la storia delle chiese e della comunità cristiane è costellata di proclami da parte di concili, papi, vescovi che si sentono in dovere di strappare la zizzania che minaccia le chiese stesse: quale fraintendimento delle parole di Gesù! Occorre certamente criticare, denunciare, anche minacciare – come hanno fatto i profeti – di fronte al crescere della zizzania, e tacere è vigliaccheria, comodo, irresponsabilità: ma poi si lasci a Dio e a lui solo il giudizio! Troppa gente ha amato più la teologia e le idee che le persone, ma oggi troppa gente non ama né la fede né le persone: ama il quieto vivere. È così che la barca della chiesa se ne va per mari diversi e attraverso stagioni differenti…
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