don Alberto Brignoli" Al nostro posto, dietro di lui"

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2014)
Vangelo: Mt 16,21-27
Soffrire non è bello; di certo, non piace a nessuno. È umano, è normale, oserei dire che è anche giusto cercare di evitare in tutti i modi la sofferenza. Siamo nati per essere felici, per stare bene, per sentirci bene, in armonia con noi stessi, con gli altri, con il mondo intero e con la natura. E quando non stiamo bene, quando ci troviamo in qualsiasi situazione di sofferenza,
quest'armonia viene meno, e con essa viene meno la ragione per la quale ci troviamo in questo mondo, la nostra felicità.
Ma la sofferenza, che a noi piaccia o no, c'è, eccome! E fuggire dalla sofferenza, per quanto possa essere giusto e nobile, con altrettanta sicurezza possiamo definirlo impossibile. Gli elementi che denotano la limitatezza della nostra esperienza umana sono innumerevoli, e a volte si susseguono in maniera tanto rapida e temporalmente ravvicinata da non lasciarci nemmeno il tempo di assimilarli, e quindi neppure il tempo di comprenderli, di affrontarli, di risolverli. Dolori, malattie, ansie, preoccupazioni, contrasti, litigi, incomprensioni, fallimenti...chi può ne ha, più ne metta: messi insiemi, o presi singolarmente, tutti questi elementi servono solo a farci capire che - nonostante ci piacerebbe - non possiamo arrivare dappertutto, non siamo onnipotenti, non siamo onnipresenti e, soprattutto, non siamo eterni: abbiamo un limite fondamentale, quello del tempo, scandito minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, fino a quando nulla più lo scandirà, e resterà solo il Nulla.
Siamo così, e c'è ben poco da fare. O ti adegui, e stai sereno, oppure ti disperi. Altrimenti, vai alla ricerca di un senso e dai un motivo alla tua limitatezza. Se hai delle credenze, se hai delle speranze, se guardi più in là delle cose di ogni giorno, "se hai fede" - diremmo noi da "buoni" cristiani - ti "affidi", riponi la tua "fiducia" in un Altro che ti faccia andare oltre il buio della notte e del Nulla e ti apra alla speranza, che dà un po' di senso all'affanno e al soffrire di ogni giorno. "Se non avessi la fede...": quante volte lo sentiamo dire da tanta gente, e magari quante volte noi stessi lo diciamo, e lo sentiamo davvero come un motivo di forza per andare avanti.
E fin qui...
Ma quando è la fede, il motivo del nostro soffrire? Quando quello "sguardo un po' più in là" pare annebbiarsi? Quando la fiducia che ti porta oltre il buio della notte viene meno proprio a causa di Colui del quale ti fidi? Quando quel Dio, di cui ti sei fidato perché la tua felicità fosse senza fine, è proprio lui a mettere alla prova la tua felicità? Quando Dio ti dice: "Sei una roccia, tu ed io siamo invincibili, nulla prevarrà contro di noi e contro le nostre opere, se tu ti fidi di me", e qualche istante dopo ti dice: "È arrivato anche per noi il momento di crollare, è finita, dobbiamo soffrire e morire"? Come la mettiamo? Non sarà che per caso Dio si è sbagliato? Non è che magari abbiamo ascoltato una voce che non è quella di Dio? Dio ci ama, ci vuole bene, vuole il nostro bene, non può volere il nostro male, e quindi, come ci può prospettare sofferenze, dolore e morte? Eh no...così non va, non eravamo d'accordo così, con Dio: siccome ci vogliamo bene e nella preghiera ci diciamo tutto, con molta correttezza e fraternità, a Dio va detto quello che gli va detto!
"Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai!". La sofferenza riguarderà qualcun altro, forse; magari colpirà quelli che non hanno fede e che non pregano, ma a noi che siamo familiari di Dio, questo non accadrà mai! Men che meno al Figlio di Dio! E che, scherziamo? A chi ci attacchiamo, se pure il Messia, il Figlio di Dio, si lascia attaccare dalla sofferenza, dal limite e dalla morte?
Beh, povero Pietro, in fondo va capito: si sentiva talmente forte per essere stato insignito del Primato, per aver ricevuto le chiavi del Regno dei Cieli, e per essere stato proclamato "Roccia" e fondamento della Chiesa, che non poteva non rimproverare il Maestro che si metteva a fare discorsi assurdi e incomprensibili sulla sua morte! Con molta discrezione, come poche altre volte nel Vangelo, lo prende in disparte (per non farsi sentire dagli altri) e lo rimprovera dolcemente: "No, Signore, così no!". Come a dire: "Se tu sei veramente il Figlio di Dio, su quella croce non ci devi salire, e se ti trovi, devi scendere". Infatti, ci sarà qualcuno che glielo griderà, questo, sul Calvario, e in maniera poco amichevole. Come a dire: "Se sei il Figlio di Dio, affronta la sofferenza e gettati in un burrone, perché non ti capiterà nulla, Dio manderà i suoi angeli a salvarti". Qualcuno glielo aveva già detto, all'inizio, dopo quaranta giorni di deserto. Qualcuno glielo ripete, ora, e pur essendo discepolo, apostolo, anzi, capo degli apostoli, roccia e fondamento della Chiesa, è lo stesso del deserto: satana, avversario, uno che non pensa secondo Dio. Addirittura, uno che scandalizza e delude il Maestro, quel Maestro che dice di amare tanto da essere pronto di andare sulla croce con lui e per lui. Arriveranno anche quei giorni, ma non è ancora il momento: ora, Pietro, per cortesia, torna al tuo posto, "dietro a me" - dice il Maestro - come ogni buon discepolo, ad ascoltare e imparare la lezione, quella più vera, quella che a te pare scandalosa, ma che non lo è, perché lo scandalo della croce è tale solo per chi non lo capisce.
"Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà": la prospettiva sulla vita del Dio di Gesù Cristo è completamente ribaltata. Non sei tu a liberarlo dalle situazioni difficili. Non sei tu a negargli la sofferenza. Non sei tu a salvarlo dalla morte: è lui che salva te. E - la cosa più strana - non ti salva dalla morte, ti salva "nella" morte. Non ti libera "dalla" sofferenza, ti libera "nella" sofferenza. Non ti dà la gioia a prescindere dal dolore, ti fa felice "dentro", "attraverso" il dolore.
Un Dio sadico? Un Dio masochista? No, affatto: è un Dio profondamente realista. Chi mai può dare, realisticamente parlando, qualsiasi cosa in cambio della propria vita? Chi può ritenersi talmente onnipotente da salvarsi dal dolore e dalla morte? Nessuno: salvo che si metta dietro di lui, rinneghi il suo modo di pensare e di vedere le cose della vita, si carichi della sua inevitabile croce e lo segua.
Dio non si è sbagliato, quando ha deciso di soffrire come noi: forse, era davvero l'unico modo per salvarci.

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