don Giovanni Berti"Di fronte alla povertà: commossi o infastiditi?"
Vangelo: Mt 14,13-21
A tutti, credo, è capitato di incrociare, per strada o fermi al semaforo o alla porta di casa, una persona che chiede l'elemosina. Quando qualcuno mi avvicina per chiedere un po' di soldi, son sincero, il primo sentimento è quello di fastidio. Il povero non arriva mai con preavviso e si ha sempre la sensazione di dover dare o fare qualcosa in modo imposto e che disturba la nostra giusta tranquillità. E poi scattano sempre la domande "ma questo qui o questa qui ne ha
davvero bisogno?", oppure "è questo il modo corretto di aiutare i poveri?", e si arriva molto spesso alla conclusione che "i veri poveri sono altri, non questo qui che mi chiede e che sfrutta i miei sensi di colpa"...
Il dibattito sui poveri (soprattutto extracomunitari) che girano nelle nostre strade e che in vari modi ci avvicinano, non si spegne e non deve spegnersi. Non bastano 2 leggi per risolvere il problema e la soluzione non è togliere dalla nostra vista il problema, multando chi sta ai semafori o per strada.
Nel Vangelo di questa domenica colpiscono i due diversi atteggiamenti di fronte al problema concreto di quella folla che è nel deserto: quello di Gesù e quello dei suoi discepoli. I discepoli vogliono risolvere il problema della folla affamata nel deserto lasciando che siano le stesse persone ad arrangiarsi per procurarsi il cibo, o al limite che ci sia qualcun altro che lo risolva. Ma non è certo un compito che spetta a Gesù e a loro. Gesù invece si muove e fa quello che è in suo potere fare.
E nel racconto l'evangelista evidenzia bene anche cosa spinge interiormente Gesù ad agire: la compassione. Gesù ha lo stesso moto interiore di una madre che sente il figlio piangere perché ha fame, e anche se è notte fonda si alza e gli offre il latte dal suo stesso seno. Gesù si coinvolge e non delega. Semmai coinvolge altri, i discepoli, costruendo un lavoro di squadra nella carità.
Tra le righe si legge anche il sentimento dei discepoli che quando dicono "...congeda la folla perché vada a comprarsi da mangiare" e quando dicono "...non abbiamo altro che cinque pani e due pesci", lasciano trasparire quel fastidio che coglie quando la fame di qualcun altro ci disturba dai nostri progetti e ci obbliga a condividere quello che riteniamo solo nostro per diritto e guadagno.
Ecco allora che il Vangelo, ancora una volta, ci pone davanti due stili diversi di sentire e di vivere, quello di Gesù e quello dei discepoli. Questo insegnamento non vale solo per lo spinoso problema dei poveri che aprono le mani per chiedere l'elemosina lungo le nostre strade, ma vale anche per tutte quelle situazioni nelle quali qualcuno ci avvicina e ci manifesta la sua fame e la richiesta di aiuto. Potrebbe essere fame di amicizia, di consolazione, di sostegno e anche di perdono. Quale è la nostra reazione? Quella di Gesù che non rimane indifferente e si coinvolge oppure quella dei discepoli che infastiditi pensano che ognuno si debba in qualche modo arrangiare?
A tutti, credo, è capitato di incrociare, per strada o fermi al semaforo o alla porta di casa, una persona che chiede l'elemosina. Quando qualcuno mi avvicina per chiedere un po' di soldi, son sincero, il primo sentimento è quello di fastidio. Il povero non arriva mai con preavviso e si ha sempre la sensazione di dover dare o fare qualcosa in modo imposto e che disturba la nostra giusta tranquillità. E poi scattano sempre la domande "ma questo qui o questa qui ne ha
davvero bisogno?", oppure "è questo il modo corretto di aiutare i poveri?", e si arriva molto spesso alla conclusione che "i veri poveri sono altri, non questo qui che mi chiede e che sfrutta i miei sensi di colpa"...
Il dibattito sui poveri (soprattutto extracomunitari) che girano nelle nostre strade e che in vari modi ci avvicinano, non si spegne e non deve spegnersi. Non bastano 2 leggi per risolvere il problema e la soluzione non è togliere dalla nostra vista il problema, multando chi sta ai semafori o per strada.
Nel Vangelo di questa domenica colpiscono i due diversi atteggiamenti di fronte al problema concreto di quella folla che è nel deserto: quello di Gesù e quello dei suoi discepoli. I discepoli vogliono risolvere il problema della folla affamata nel deserto lasciando che siano le stesse persone ad arrangiarsi per procurarsi il cibo, o al limite che ci sia qualcun altro che lo risolva. Ma non è certo un compito che spetta a Gesù e a loro. Gesù invece si muove e fa quello che è in suo potere fare.
E nel racconto l'evangelista evidenzia bene anche cosa spinge interiormente Gesù ad agire: la compassione. Gesù ha lo stesso moto interiore di una madre che sente il figlio piangere perché ha fame, e anche se è notte fonda si alza e gli offre il latte dal suo stesso seno. Gesù si coinvolge e non delega. Semmai coinvolge altri, i discepoli, costruendo un lavoro di squadra nella carità.
Tra le righe si legge anche il sentimento dei discepoli che quando dicono "...congeda la folla perché vada a comprarsi da mangiare" e quando dicono "...non abbiamo altro che cinque pani e due pesci", lasciano trasparire quel fastidio che coglie quando la fame di qualcun altro ci disturba dai nostri progetti e ci obbliga a condividere quello che riteniamo solo nostro per diritto e guadagno.
Ecco allora che il Vangelo, ancora una volta, ci pone davanti due stili diversi di sentire e di vivere, quello di Gesù e quello dei discepoli. Questo insegnamento non vale solo per lo spinoso problema dei poveri che aprono le mani per chiedere l'elemosina lungo le nostre strade, ma vale anche per tutte quelle situazioni nelle quali qualcuno ci avvicina e ci manifesta la sua fame e la richiesta di aiuto. Potrebbe essere fame di amicizia, di consolazione, di sostegno e anche di perdono. Quale è la nostra reazione? Quella di Gesù che non rimane indifferente e si coinvolge oppure quella dei discepoli che infastiditi pensano che ognuno si debba in qualche modo arrangiare?
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