don Luca Garbinetto "Farsi pane 24 ore al giorno"
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/08/2014)
Vangelo: Mt 14,13-21
É certamente un dolore grande quello che ha colpito Gesù alla notizia della morte di Giovanni Battista, il cugino. É senza dubbio una grande domanda quella che attraversa il suo cuore, perché Giovanni Battista,
oltre che segnato da vincoli di sangue con il Messia, è anche e soprattutto il precursore della nuova alleanza nello Spirito. Gesù, il Figlio, ha bisogno di ritirarsi, ‘in un luogo deserto, in disparte', perché un'inquietudine attraversa il suo animo: ‘Perché, o Padre? Che cosa significa questa morte? Qual è il cammino, se la verità e la giustizia della tua legge fanno questa fine?'. Gesù cerca la voce di Dio nel silenzio e nella memoria dell'Esodo, e sembra invocare un segno, una indicazione: ‘Per dove camminare, Signore?'.
Lo sentiamo prossimo a noi, il nostro amato Maestro, ferito dalla sofferenza di una perdita così dura da digerire... Sentiamo urlare nel suo silenzio le nostre invocazioni, smarrite e intimorite: ‘Perché, o Padre? Cosa significa tanta ingiustizia e tanta violenza che ci sono nel mondo? Che cosa dobbiamo fare?'.
E il Padre risponde, fedele alla Storia di Salvezza che ha intrecciato con Israele e che ora vuole definitivamente imprimere nel cuore della Chiesa. Gesù, infatti, incontra le folle, primizia di quella comunità errante e senza pastore che da ogni parte della terra cerca consolazione e speranza, implora sostegno e guida. Gesù, nel momento in cui anela la solitudine, alza gli occhi e incontra i volti delle pecorelle smarrite. ‘Sentì compassione per loro e guarì i loro malati'. Perché loro sono la risposta di Dio all'interrogativo di Gesù.
La voce del Padre risuona tenera ed esigente, nell'agire della storia, nelle pieghe dell'umanità, nel dolore della folla. Gesù comprende: deve farsi pane! Prima di spezzare il pane, deve farsi lui pane! Deve farsi nutrimento, deve lasciarsi mangiare, deve darsi totalmente perché la grande folla abbia vita, vita in abbondanza. E diventi popolo, non più errante e smarrito, ma pellegrinante nuovamente verso la Terra Promessa.
Così, alla solitudine fisica si sostituisce per Gesù una faticosa giornata di lavoro. L'appello silenzioso del Padre attraverso la presenza silenziosamente implorante della folla diviene per lui esplicito messaggio, orientamento per la propria missione di salvezza. Il Messia è colui che si dona instancabilmente per il bene del suo gregge, affamato di parole e gesti di speranza.
Arriva la sera, e forse i più vicini a Gesù non hanno ancora compreso molto del mistero del suo lavorare. Vorrebbero garantirgli e garantirsi un angolino di autonomia e di riservatezza autoreferenziale. Quasi a volersi carezzare a vicenda, sotto lo sguardo compiaciuto di Gesù, le fatiche di una lunga giornata di lavoro. E invece no. Il Maestro ha un'altra opinione. Proprio lui, così capace di amicizia e di tempi gratuiti come a Betania, così premuroso nel riservare momenti di intimità con i dodici per spiegare le parabole, così attento a riservarsi spazi a tu per tu con il Padre, stavolta intravede una micidiale tentazione: quella di lavarsi le mani del dolore altrui, nascondendosi dietro la facciata di un apparente successo.
Non è questa la logica del Regno. Gesù ha capito: l'esodo è offerta di sé, il cammino verso la Terra Promessa è costante donazione. Altrimenti non è. Chi si ritira nella propria comodità, ferma il ‘santo viaggio'... il proprio, ma forse anche quello del popolo. Così Gesù, che si è fatto pane di carità e si farà pane eucaristico, coinvolge nella propria missione anche i suoi, i più intimi, coloro che Egli ha chiamato a sé. ‘Voi stessi date loro da mangiare'. Cioè date da mangiare a loro voi stessi... diventate pane per gli affamati! Nutrite il popolo con l'offerta della vostra vita! Fatevi mangiare per amore!
Non è semplice capire, per noi abituati a sbarazzarci del bisogno altrui con compiti ben fatti e servizi ben ordinati. Ad orario, secondo il ruolo, dentro le regole: non sia mai che non conserviamo i nostri ambiti di recupero e di ristoro. C'è a volte una sorta di terrore al born out per amore. Come se una donazione 24 ore su 24 rischiasse di divenire il peggior contratto a tempo indeterminato della storia. Si cade in una specie di lassismo dell'amore, e il pane rimane scotto o diviene subito duro e immangiabile. Non è una questione di cose da fare: si tratta dello spirito con cui si fanno! La materia prima, poi, la mette ancora una volta la folla, che sta diventando popolo, ed ha dunque da parte una piccola dose di pani e di pesci disponibile a essere distribuita e poi di nuovo raccolta, tesoro custodito nel cuore della Chiesa.
Non siamo noi i salvatori del mondo. Ma siamo noi, discepoli di Cristo, che possiamo far vedere al mondo qual è la direzione per lasciarsi salvare. Siamo noi chiamati a vedere senza stancarci l'invocazione accorata di parole e di gesti d'amore che sussulta nei cuori della gente. Siamo noi che abbiamo ricevuto in dono il Pane che ci rende sentinelle dell'offerta gratuita, acuti nel discernere le tentazione del mercato religioso e spirituale. Nessun inganno: il deserto ci fa sobri e attenti, come Gesù, a non confondere l'aroma e il profumo del pane buono, Pane vero disceso dal Cielo, con i surrogati egocentrici, dolci al palato ma estremamente amari alla sera della vita.
É proprio la vera vita, abbondante e traboccante, come misura pigiata nel grembo di una donna contadina, quella che si spande al nutrirsi di Gesù. La si riceve, quale caparra del banchetto finale, e la si restituisce, non al Panettiere celeste, ma agli altri commensali che seguono a piedi con noi, affamati di vita vera. L'Eucaristia, dunque, diviene fornace di cottura del cibo più ricco: quello della gratuita offerta di sé, nelle consuete vicende dell'esistenza, anche quando la giornata chiede 24 ore di instancabile lavoro.
Vangelo: Mt 14,13-21
É certamente un dolore grande quello che ha colpito Gesù alla notizia della morte di Giovanni Battista, il cugino. É senza dubbio una grande domanda quella che attraversa il suo cuore, perché Giovanni Battista,
oltre che segnato da vincoli di sangue con il Messia, è anche e soprattutto il precursore della nuova alleanza nello Spirito. Gesù, il Figlio, ha bisogno di ritirarsi, ‘in un luogo deserto, in disparte', perché un'inquietudine attraversa il suo animo: ‘Perché, o Padre? Che cosa significa questa morte? Qual è il cammino, se la verità e la giustizia della tua legge fanno questa fine?'. Gesù cerca la voce di Dio nel silenzio e nella memoria dell'Esodo, e sembra invocare un segno, una indicazione: ‘Per dove camminare, Signore?'.
Lo sentiamo prossimo a noi, il nostro amato Maestro, ferito dalla sofferenza di una perdita così dura da digerire... Sentiamo urlare nel suo silenzio le nostre invocazioni, smarrite e intimorite: ‘Perché, o Padre? Cosa significa tanta ingiustizia e tanta violenza che ci sono nel mondo? Che cosa dobbiamo fare?'.
E il Padre risponde, fedele alla Storia di Salvezza che ha intrecciato con Israele e che ora vuole definitivamente imprimere nel cuore della Chiesa. Gesù, infatti, incontra le folle, primizia di quella comunità errante e senza pastore che da ogni parte della terra cerca consolazione e speranza, implora sostegno e guida. Gesù, nel momento in cui anela la solitudine, alza gli occhi e incontra i volti delle pecorelle smarrite. ‘Sentì compassione per loro e guarì i loro malati'. Perché loro sono la risposta di Dio all'interrogativo di Gesù.
La voce del Padre risuona tenera ed esigente, nell'agire della storia, nelle pieghe dell'umanità, nel dolore della folla. Gesù comprende: deve farsi pane! Prima di spezzare il pane, deve farsi lui pane! Deve farsi nutrimento, deve lasciarsi mangiare, deve darsi totalmente perché la grande folla abbia vita, vita in abbondanza. E diventi popolo, non più errante e smarrito, ma pellegrinante nuovamente verso la Terra Promessa.
Così, alla solitudine fisica si sostituisce per Gesù una faticosa giornata di lavoro. L'appello silenzioso del Padre attraverso la presenza silenziosamente implorante della folla diviene per lui esplicito messaggio, orientamento per la propria missione di salvezza. Il Messia è colui che si dona instancabilmente per il bene del suo gregge, affamato di parole e gesti di speranza.
Arriva la sera, e forse i più vicini a Gesù non hanno ancora compreso molto del mistero del suo lavorare. Vorrebbero garantirgli e garantirsi un angolino di autonomia e di riservatezza autoreferenziale. Quasi a volersi carezzare a vicenda, sotto lo sguardo compiaciuto di Gesù, le fatiche di una lunga giornata di lavoro. E invece no. Il Maestro ha un'altra opinione. Proprio lui, così capace di amicizia e di tempi gratuiti come a Betania, così premuroso nel riservare momenti di intimità con i dodici per spiegare le parabole, così attento a riservarsi spazi a tu per tu con il Padre, stavolta intravede una micidiale tentazione: quella di lavarsi le mani del dolore altrui, nascondendosi dietro la facciata di un apparente successo.
Non è questa la logica del Regno. Gesù ha capito: l'esodo è offerta di sé, il cammino verso la Terra Promessa è costante donazione. Altrimenti non è. Chi si ritira nella propria comodità, ferma il ‘santo viaggio'... il proprio, ma forse anche quello del popolo. Così Gesù, che si è fatto pane di carità e si farà pane eucaristico, coinvolge nella propria missione anche i suoi, i più intimi, coloro che Egli ha chiamato a sé. ‘Voi stessi date loro da mangiare'. Cioè date da mangiare a loro voi stessi... diventate pane per gli affamati! Nutrite il popolo con l'offerta della vostra vita! Fatevi mangiare per amore!
Non è semplice capire, per noi abituati a sbarazzarci del bisogno altrui con compiti ben fatti e servizi ben ordinati. Ad orario, secondo il ruolo, dentro le regole: non sia mai che non conserviamo i nostri ambiti di recupero e di ristoro. C'è a volte una sorta di terrore al born out per amore. Come se una donazione 24 ore su 24 rischiasse di divenire il peggior contratto a tempo indeterminato della storia. Si cade in una specie di lassismo dell'amore, e il pane rimane scotto o diviene subito duro e immangiabile. Non è una questione di cose da fare: si tratta dello spirito con cui si fanno! La materia prima, poi, la mette ancora una volta la folla, che sta diventando popolo, ed ha dunque da parte una piccola dose di pani e di pesci disponibile a essere distribuita e poi di nuovo raccolta, tesoro custodito nel cuore della Chiesa.
Non siamo noi i salvatori del mondo. Ma siamo noi, discepoli di Cristo, che possiamo far vedere al mondo qual è la direzione per lasciarsi salvare. Siamo noi chiamati a vedere senza stancarci l'invocazione accorata di parole e di gesti d'amore che sussulta nei cuori della gente. Siamo noi che abbiamo ricevuto in dono il Pane che ci rende sentinelle dell'offerta gratuita, acuti nel discernere le tentazione del mercato religioso e spirituale. Nessun inganno: il deserto ci fa sobri e attenti, come Gesù, a non confondere l'aroma e il profumo del pane buono, Pane vero disceso dal Cielo, con i surrogati egocentrici, dolci al palato ma estremamente amari alla sera della vita.
É proprio la vera vita, abbondante e traboccante, come misura pigiata nel grembo di una donna contadina, quella che si spande al nutrirsi di Gesù. La si riceve, quale caparra del banchetto finale, e la si restituisce, non al Panettiere celeste, ma agli altri commensali che seguono a piedi con noi, affamati di vita vera. L'Eucaristia, dunque, diviene fornace di cottura del cibo più ricco: quello della gratuita offerta di sé, nelle consuete vicende dell'esistenza, anche quando la giornata chiede 24 ore di instancabile lavoro.
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