don Luca Garbinetto " Lo scandalo della croce"
XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2014)
Vangelo: Mt 16,21-27
C'è sempre, nel cammino della vita, un momento in cui salta per aria qualcosa. Una bella relazione entra in un momento di crisi, una allegra compagnia vive un tempo di incomprensioni e smarrimento, un impiego redditizio non garantisce più la sussistenza... È il passaggio amaro e duro del limite, della fatica, della delusione, di cui la nostra esistenza umana non può fare a meno.
A volte - o forse spesso - è un passaggio segnato dall'odio e dalla violenza. Lo sanno bene i nostri fratelli del Medio Oriente, la cui esistenza è appesa a un filo, se non è già stata spezzata. Non è un gioco la tragedia della sofferenza.
Anche nell'itinerario di Gesù, Maestro di Israele, nel suo rapporto con i suoi discepoli e con le folle che lo seguono entusiaste, comincia il tempo della crisi, dell'incomprensione, dello scandalo. Scandalo significa inciampo, sasso che ostacola il passo. È un fastidio nel cammino, rischia di fare cadere chi sta sulla strada.
Oggi Gesù ci mette di fronte alla logica della Croce, ‘scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani' (1 Cor 1, 23). E scardina la logica del mondo, manifestata con la consueta passionalità da Pietro, che è di scandalo, invece, al pellegrinaggio terreno del Figlio di Dio.
Per chi sogna un futuro di successi, un avvento glorioso del Messia che sistemerà le cose e sopprimerà ogni ingiustizia e sopruso; per chi si prospetta la venuta di un regno di pace che passa attraverso la vittoria altisonante dell'esercito del cielo sui combattenti del male; per chi semplicemente immagina che ci sia una esistenza su questa terra privata dell'esperienza terribile e corroborante del dolore... la Croce è davvero scandalo atroce!
Piacerebbe un po' a tutti noi che le faccende della vita si sistemassero senza troppi conflitti. E d'altro canto, non è la Parola stessa che prospetta ‘nuovi cieli e terra nuova' (Is 65, 17), in cui non ci sarà più né lutto né pena alcuna e la giustizia e la pace si baceranno, la verità e la misericordia si incontreranno (cfr. Sal 84, 11)?
Il sentiero per giungere alla meta del regno, però, non contempla l'annullamento di ogni tensione e di ogni contraddizione. Non qui, almeno; non ora. Anzi: il germoglio fragile del regno è spesso vittima di orrenda persecuzione. Non possiamo chiudere gli occhi sulla tragedia, né illuderci che passi presto il dramma dell'oppressione sull'innocente.
E questo perché eliminare la tensione e le contraddizioni significherebbe eliminare di sana pianta noi stessi, ogni uomo. Esse, infatti, abitano dentro di noi. Basti vedere Pietro stesso: poco prima si è lasciato condurre da un autentico afflato dello Spirito, riconoscendo in Gesù il Figlio del Dio vivente (cfr Mt 16,16); e subito dopo ritorna a indossare le vesti del ‘controllore di volo', per decidere lui quello che al Figlio tocca fare, permettendosi persino di rimproverarlo in un trasporto di condottiero per la pace.
La guerra sta dentro di noi! Ecco perché non ci deve sorprendere troppo come Gesù possa fin d'ora annunciare la sua sorte finale. Egli, che conosce il cuore dell'uomo, sa che la sua proposta di una vita donata, perduta, offerta in ogni istante e in ogni relazione, in ogni quotidiana attività, per farne un ‘culto spirituale gradito a Dio' (cfr Rm 12, 1), non è esattamente consona alla tentazione di egoismo che sibila costantemente in noi. Siamo continuamente sull'orlo di uno scivolo che ci fa desiderare un possesso, una sicurezza, una garanzia da controllare e da poter rivenderci per affermarci sugli altri.
Gesù, invece, prospetta il cammino della totale donazione per amore, dell'abbandono fra le braccia dell'altro, della perdita di sé. Questo è scandaloso. Non è necessario ricorrere a moralistiche considerazioni sulla cultura dell'esibizionismo e del consumo che ci attornia. È dentro di noi che si insinua, come gli spifferi dalle finestre, la paura di non sentirci più nostri. Con l'illusione che possedermi significhi essere vivo. Quando invece chi più si tiene stretto, più rimane solo, isolato, privo di relazioni... e quindi muore!
Si insinua la voce di Satana, che vuole mettere davanti le nostre scuse, le nostre giustificazioni, le nostre garanzie. In fondo, perché sposarsi tanto giovani, se non si ha un lavoro sicuro? E come si può avere figli oggi, quando non c'è uno stipendio assicurato? E perché dovremmo aiutare chi viene da altri Paesi, se vengono fondamentalmente a rubarci impiego e denaro? Perché non lasciare che i popoli lontani se la sbrighino da soli? La logica di Satana, che è logica del mondo - nel linguaggio paolino - e logica dell'uomo svincolato da Dio, è razionale e apparentemente impeccabile. Ma porta al peccato più grave: la chiusura alla relazione, e quindi alla vita.
Per vivere è necessario accettare la sfida della relazione, che non è minaccia. E poiché l'altro non è mai totalmente a mio uso e consumo, relazione significa perdita. La diversità dell'altro mi proietta fuori da me stesso, mi scaraventa su terreni inesplorati, mi sollecita a viaggi inimmaginabili. Questo fa paura. Ma la prospettiva che mi attende ha orizzonti infiniti. Molto più grandi di quelli di cui potrei godere anche se salissi sull'Himalaya e potessi vedere tutto il mondo come un mio possesso. Il viaggio fuori di me, infatti, verso l'altro mi riporta a scoprire l'abisso e l'altura della mia interiorità.
È lì che accolgo l'incontro con il volto di chi mi sta davanti. Specialmente se è il volto di Gesù, che è l'Altro per eccellenza. Che dolore deve avere provato Pietro quando il Maestro si volta e gli toglie lo sguardo, e non ne vede più gli occhi! Ma d'altro canto, poter posare il nostro sguardo sul suo significa accettare di percorrerne prima la via, calpestando le sue stesse impronte. È Lui che insegna la strada, non io. È Lui che da il ritmo, non io. È Lui che si dona per primo a me, non io.
La Croce di Gesù diviene così il culmine di uno stile di vita, che mi viene offerto come incalcolabile opportunità di ricchezza. Difficile comprendere qualcosa senza prima provarne il passo. Si comincia dalle piccole scelte quotidiane, dall'assumere le ordinarie contraddizioni della vita con spirito nuovo. Non rifiutandole, non evitandole, non rinnegandole, ma spalancando attraverso di esse la finestra per guardare l'altro e guardare dentro di me. Per interessarmi dell'altro e lasciare che si interessi di me. Per portare il mondo dentro il mio cuore, affinché la mia guerra trovi pace nell'incontro.
L'unico modo per sconfiggere gli spifferi dalle fessure, infatti, se non si vuol tappare e morire, è aprire del tutto.
Vangelo: Mt 16,21-27
C'è sempre, nel cammino della vita, un momento in cui salta per aria qualcosa. Una bella relazione entra in un momento di crisi, una allegra compagnia vive un tempo di incomprensioni e smarrimento, un impiego redditizio non garantisce più la sussistenza... È il passaggio amaro e duro del limite, della fatica, della delusione, di cui la nostra esistenza umana non può fare a meno.
A volte - o forse spesso - è un passaggio segnato dall'odio e dalla violenza. Lo sanno bene i nostri fratelli del Medio Oriente, la cui esistenza è appesa a un filo, se non è già stata spezzata. Non è un gioco la tragedia della sofferenza.
Anche nell'itinerario di Gesù, Maestro di Israele, nel suo rapporto con i suoi discepoli e con le folle che lo seguono entusiaste, comincia il tempo della crisi, dell'incomprensione, dello scandalo. Scandalo significa inciampo, sasso che ostacola il passo. È un fastidio nel cammino, rischia di fare cadere chi sta sulla strada.
Oggi Gesù ci mette di fronte alla logica della Croce, ‘scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani' (1 Cor 1, 23). E scardina la logica del mondo, manifestata con la consueta passionalità da Pietro, che è di scandalo, invece, al pellegrinaggio terreno del Figlio di Dio.
Per chi sogna un futuro di successi, un avvento glorioso del Messia che sistemerà le cose e sopprimerà ogni ingiustizia e sopruso; per chi si prospetta la venuta di un regno di pace che passa attraverso la vittoria altisonante dell'esercito del cielo sui combattenti del male; per chi semplicemente immagina che ci sia una esistenza su questa terra privata dell'esperienza terribile e corroborante del dolore... la Croce è davvero scandalo atroce!
Piacerebbe un po' a tutti noi che le faccende della vita si sistemassero senza troppi conflitti. E d'altro canto, non è la Parola stessa che prospetta ‘nuovi cieli e terra nuova' (Is 65, 17), in cui non ci sarà più né lutto né pena alcuna e la giustizia e la pace si baceranno, la verità e la misericordia si incontreranno (cfr. Sal 84, 11)?
Il sentiero per giungere alla meta del regno, però, non contempla l'annullamento di ogni tensione e di ogni contraddizione. Non qui, almeno; non ora. Anzi: il germoglio fragile del regno è spesso vittima di orrenda persecuzione. Non possiamo chiudere gli occhi sulla tragedia, né illuderci che passi presto il dramma dell'oppressione sull'innocente.
E questo perché eliminare la tensione e le contraddizioni significherebbe eliminare di sana pianta noi stessi, ogni uomo. Esse, infatti, abitano dentro di noi. Basti vedere Pietro stesso: poco prima si è lasciato condurre da un autentico afflato dello Spirito, riconoscendo in Gesù il Figlio del Dio vivente (cfr Mt 16,16); e subito dopo ritorna a indossare le vesti del ‘controllore di volo', per decidere lui quello che al Figlio tocca fare, permettendosi persino di rimproverarlo in un trasporto di condottiero per la pace.
La guerra sta dentro di noi! Ecco perché non ci deve sorprendere troppo come Gesù possa fin d'ora annunciare la sua sorte finale. Egli, che conosce il cuore dell'uomo, sa che la sua proposta di una vita donata, perduta, offerta in ogni istante e in ogni relazione, in ogni quotidiana attività, per farne un ‘culto spirituale gradito a Dio' (cfr Rm 12, 1), non è esattamente consona alla tentazione di egoismo che sibila costantemente in noi. Siamo continuamente sull'orlo di uno scivolo che ci fa desiderare un possesso, una sicurezza, una garanzia da controllare e da poter rivenderci per affermarci sugli altri.
Gesù, invece, prospetta il cammino della totale donazione per amore, dell'abbandono fra le braccia dell'altro, della perdita di sé. Questo è scandaloso. Non è necessario ricorrere a moralistiche considerazioni sulla cultura dell'esibizionismo e del consumo che ci attornia. È dentro di noi che si insinua, come gli spifferi dalle finestre, la paura di non sentirci più nostri. Con l'illusione che possedermi significhi essere vivo. Quando invece chi più si tiene stretto, più rimane solo, isolato, privo di relazioni... e quindi muore!
Si insinua la voce di Satana, che vuole mettere davanti le nostre scuse, le nostre giustificazioni, le nostre garanzie. In fondo, perché sposarsi tanto giovani, se non si ha un lavoro sicuro? E come si può avere figli oggi, quando non c'è uno stipendio assicurato? E perché dovremmo aiutare chi viene da altri Paesi, se vengono fondamentalmente a rubarci impiego e denaro? Perché non lasciare che i popoli lontani se la sbrighino da soli? La logica di Satana, che è logica del mondo - nel linguaggio paolino - e logica dell'uomo svincolato da Dio, è razionale e apparentemente impeccabile. Ma porta al peccato più grave: la chiusura alla relazione, e quindi alla vita.
Per vivere è necessario accettare la sfida della relazione, che non è minaccia. E poiché l'altro non è mai totalmente a mio uso e consumo, relazione significa perdita. La diversità dell'altro mi proietta fuori da me stesso, mi scaraventa su terreni inesplorati, mi sollecita a viaggi inimmaginabili. Questo fa paura. Ma la prospettiva che mi attende ha orizzonti infiniti. Molto più grandi di quelli di cui potrei godere anche se salissi sull'Himalaya e potessi vedere tutto il mondo come un mio possesso. Il viaggio fuori di me, infatti, verso l'altro mi riporta a scoprire l'abisso e l'altura della mia interiorità.
È lì che accolgo l'incontro con il volto di chi mi sta davanti. Specialmente se è il volto di Gesù, che è l'Altro per eccellenza. Che dolore deve avere provato Pietro quando il Maestro si volta e gli toglie lo sguardo, e non ne vede più gli occhi! Ma d'altro canto, poter posare il nostro sguardo sul suo significa accettare di percorrerne prima la via, calpestando le sue stesse impronte. È Lui che insegna la strada, non io. È Lui che da il ritmo, non io. È Lui che si dona per primo a me, non io.
La Croce di Gesù diviene così il culmine di uno stile di vita, che mi viene offerto come incalcolabile opportunità di ricchezza. Difficile comprendere qualcosa senza prima provarne il passo. Si comincia dalle piccole scelte quotidiane, dall'assumere le ordinarie contraddizioni della vita con spirito nuovo. Non rifiutandole, non evitandole, non rinnegandole, ma spalancando attraverso di esse la finestra per guardare l'altro e guardare dentro di me. Per interessarmi dell'altro e lasciare che si interessi di me. Per portare il mondo dentro il mio cuore, affinché la mia guerra trovi pace nell'incontro.
L'unico modo per sconfiggere gli spifferi dalle fessure, infatti, se non si vuol tappare e morire, è aprire del tutto.
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