don Luciano Cantini "Signore, salvami!"

XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (10/08/2014)
Vangelo: Mt 14,22-33
Costrinse i discepoli
Il verbo costringere sembra non essere confacente all'immagine falsamente irenica del Signore, ricco di compassione e che ha reso possibile alla folla di sfamarsi. Come capire il senso di questa costrizione: i discepoli non vogliono lasciare Gesù solo o piuttosto non vogliono essere lasciati soli? Gesù prima manda via i discepoli, poi congeda la folla per rimanere solo. Due sono le
separazioni a cui sono costretti i discepoli che Matteo acuisce con un subito: dalla folla e da Gesù; ognuno deve assumere la responsabilità e il senso dell'esperienza del pane condiviso senza perdere tempo in considerazioni o commenti inutili, ognuno da solo per la propria strada: la folla alla sua vita, Gesù sul monte e i discepoli sulla barca verso l'altra riva. Per i discepoli quel viaggio è particolarmente complicato e faticoso, agitato dalle onde, col vento contrario e orfani del Maestro. Gesù li aveva costretti a quella esperienza di fatica e solitudine.
Tutto questo può avere il semplice significato di un fatto così come è avvenuto ma anche valenza simbolica che ritroviamo nella fatica della quotidianità della vita che sperimenta l'incertezza dell'andare e la separazione dal Signore che sembra dormire (Cfr. Mt 8,24) o essere sul monte mentre il mare della storia è agitato. La vita vissuta con fede non garantisce il vento favorevole o la tranquillità delle acque, anzi è proprio la dimensione della fede che riconosce dubbi e incertezze, mantiene agitato il senso stesso della vita, rimette ogni cosa in discussione, favorisce ogni dilemma, stimola la responsabilità di se stessi e la relazione con quelli che sono sulla stessa barca.
Camminando sul mare
L'immagine di Gesù che va verso la barca dei discepoli camminando sull'acqua, è un avvenimento che non appartiene alle regole della natura ed è al di fuori di ogni normalità. Dunque la lettura di questo fatto deve avere necessariamente valore simbolico. Non si dice che i discepoli erano preoccupati per le avverse condizioni (come in Mt 8,25) ma il mare agitato offre sicuramente l'immagine della morte: Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti infernali (Sal 18,5).
Gesù è il Signore della vita, il vincitore sulla morte, l'abisso, non ha più potere su di lui.
Sul mare la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque (Sal 77,20). Il camminare sul mare dice la potenza divina dell'amore, la forza della sua compassione, della comunione, apre alla speranza della novità.
Più importante, però, il fatto che Gesù è colui che va verso, si fa incontro all'uomo, non è un Dio immobile e irraggiungibile... non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini (Fil 2,6-7).
Più che il mare agitato dalle forze del vento i discepoli sono spaventati alla vista di colui che si sta facendo loro incontro e gridarono dalla paura. Fino a quel momento avevano avuto il coraggio di andare avanti e combattere le forze del vento. Il coraggio fa sperare, fa combattere le situazioni, arriva ad osare, proprio come la Fede che si fida della potenza di Dio; è il contrario della paura, che si fida delle potenzialità dell'uomo e ne scopre i limiti. Gesù invita al coraggio!
Signore, se sei tu
L'invito ad avere coraggio da parte di Gesù, è preso alla lettera da Pietro: temerarietà, manifestazione di dubbio, richiesta di una prova?
Il se sei tu che Pietro mette avanti alla sua richiesta esprime dubbio e certezza. L'idea che l'uomo va a fondo e che Dio libera dalla morte sono annodate insieme nell'animo di Pietro in maniera così forte che solo la Parola del Maestro può sciogliere e permette a Pietro di scegliere e fare il passo necessario. Uno slancio di generosità che non fa i conti con i limiti della propria fede. La fede è sempre rischiosa perché trova la sua certezza nella profondità del dubbio, e ancora, fa emergere i dubbi da ogni certezza che sembra acquisita.
Pietro cammina e affonda. Cammina perché guarda al Cristo, alla vita che vince la morte, e affonda perché guarda alla fragilità del suo essere. L'uomo che guarda verso Dio, ascolta la sua Parola, è in grado di realizzare le promesse, ma dipende dalla sua fede: deve buttarsi in mare! In quel gesto Pietro scioglie ogni dubbio, ma non si libera della sua fragilità e s'impaurì.
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi (2Cor 4,7).
Con la paura il grido: «Signore, salvami!». Non siamo capaci di portare con leggerezza il peso della fede, non manca la gioia e lo slancio, ma neppure la paura e la distrazione dello sguardo che sa guardare al Signore ma contemporaneamente alla fatica, ai limiti, alle povertà e le incongruenze della storia. La fede non è una certezza, uno stato permanente, acquisito una volta per tutte.
Allora diventa di ogni uomo, nella povertà delle fede, nella sensazione di essere afferrato dalla morte e trascinato nell'abisso, il grido: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò.

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