don Roberto Seregni " Dietro a me"

XXII Domenica del Tempo Ordinario
Vangelo: Mt 16,21-27
Con il dono della Spirito, Pietro aveva trovato in sé il coraggio e l’audacia per professare forte la sua fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Ma ora le parole del maestro lo disorientano. Andare a Gerusalemme e soffrire? Essere ucciso e risuscitare il terzo giorno? Ma che sta dicendo? Che sia impazzito?

Per la prima volta Gesù parla a viso scoperto del suo dono totale d’amore e i discepoli non capiscono. Nel loro cuore si è stampata la certezza granitica che Gesù è il Messia, ma ancora non hanno capito quale Messia è Gesù. E’ solamente davanti al cammino della Croce che i sogni patriottistici e trionfali che avevano affibbiato a Gesù iniziano a traballare. Già: si aspettavano un nuovo glorioso regno con capitale a Gerusalemme, una nuova libertà concessa al popolo oppresso dall’invasore romano, i loro nomi scritti a carattere cubitale accano a quello del maestro... Ma ad un certo punto tutto questo sogno è infranto. Gesù inizia a far intravedere che la gloria verso cui è incamminato non è quella del potere, ma quell’amore; non è quella della gloria, ma del dono totale della vita.
Pietro non accetta, non capisce e vuole dissuadere il maestro: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”. Il primo degl’apostoli si mette davanti a Gesù per condurlo dove vuole lui, secondo i suoi desideri e le sue aspettative. Ma il Signore lo rimette nella sua giusta posizione: “Dietro a me”. Questo è il discepolo: uno che cammina dietro al suo Signore, uno che segue leggero le sue orme senza la presunzione di dover aprire nuovi e più luminosi sentieri.
Gesù è molto chiaro nell’indicare la via del discepolo, il suo cammino e il suo futuro. In tutto e per tutto il discepolo si pone in riferimento a Gesù. Seguirlo è rinnegare se stessi e prendere la Croce. Quella che Gesù ci propone è una via di leggerezza e di abbandono, e non di masochismo come qualcuno continua a ripetere... Il cammino proposto dal rabbi di Nazareth è una lotta contro la chiusura dell’autoaffermazione, è una terapia contro la tossina più inquinante che esista: l’egoismo. Rinnegare se stessi e prendere la Croce, significa smettere di pensarci come gli unici architetti della propria esistenza e provare ad affidare tutto nelle mani di Dio.
Buona settimana
Don Roberto

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