fr. Massimo Rossi Commento su Matteo 18,15-20 XXIII Domenica
(07/09/2014)
Vangelo: Mt 18,15-20
Dopo aver capito che amare Dio non serve ad altro che ad amare Dio - si ama per amare - la Parola di oggi ci aiuta a capire che tra amore per Dio e amore per il prossimo non c'è soluzione di continuità; al contrario, manifestare l'amore per Dio e manifestarlo insieme con altri che condividono la stessa fede, vale assai più che facendolo più semplicemente da soli. La preghiera comune è più efficace di quella
individuale. Non ho detto che quella individuale non serve; quella comunitaria, o, per usare un termine tecnico, la preghiera liturgica è più preziosa agli occhi di Dio. Non c'è da stupirsi; del resto, ogni opera (dell'uomo) acquista un valore aggiunto ulteriore se è frutto dell'azione congiunta di più soggetti; e questo valore aggiunto è dato proprio dal fatto della collaborazione, della messa in comune degli intenti, delle idee, delle energie, della fantasia... Sappiamo quanto sia difficile lavorare insieme: "chi fa da sé fa per tre"! Mettere d'accordo tre, quattro, dieci teste non è facile, e più il numero aumenta, più è complicato raggiungere una soluzione che vada bene per tutti.
Il Vangelo vuole ricordarci che l'unità realizzata nei fatti e non solo a parole fa di noi un'immagine ancor più fedele ed eloquente di Dio: il Padre e il Figlio operano sempre insieme, ciascuno con un compito ben preciso; non c'è confusione, né di persone, né di competenze; lo dice il nome stesso dei soggetti che compongono la Trinità: il Padre non può sostituirsi al Figlio e il Figlio non può decidere autonomamente dal Padre.
Come bene ha rilevato il teologo H.U.von Balthasar, affinché si potesse compiere il disegno di salvezza per tutti gli uomini, era necessario Qualcuno che concepisse il progetto - il Padre -; Qualcuno che obbedisse, offrendosi di realizzarlo, nel mistero dell'incarnazione - il Figlio -; Qualcuno infine che confermasse e sostenesse il Figlio di Dio, in questa missione e che, infine, restasse nel mondo a confermare e sostenere, con la stessa forza, i testimoni del Vangelo - lo Spirito Santo -.
Infine, la dichiarazione di Gesù: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" ci insegna che la comunità non è soltanto il modo migliore di realizzare la Volontà di Dio, ma costituisce essa stessa - comunità - un segno di reale presenza di Dio. Per dirla in termini eucaristici, Dio è presente e riconoscibile nel segno del pane spezzato, ma anche nella comunità riunita per ascoltare insieme la Parola del Signore e per spezzare insieme il pane del suo corpo.
In nome di questo principio sacrosanto della fede cristiana, la comunità è il soggetto - o, almeno, lo dovrebbe essere -, al quale fare riferimento nei momenti cruciali della vita, nella buona e nella cattiva salute.
La delicata questione della comunità cristiana va vista nei due sensi: rispettivamente, con gli occhi del soggetto che ha il diritto e il dovere di far parte di una comunità reale, ritenuta non solo come interlocutore che gli sta di fronte, ma soprattutto come un corpo, all'interno della quale sentirsi membro vivo; dal punto di vista della comunità, è necessario che questa assuma concretamente la vocazione ad essere madre dei credenti, casa accogliente per i credenti, in prospettiva di offrirsi come una proposta interessante, attraente anche per coloro che sono in ricerca della fede e non appartengono ancora ufficialmente ad alcuna confessione religiosa.
Soltanto se la comunità tornerà ad essere il contesto naturale nel quale vivere e celebrare la fede, anche ai sacramenti sarà riconosciuto nuovamente il valore che Cristo ha dato loro, istituendoli.
Mi permetto di sottolineare il legame inscindibile tra sacramenti e comunità: sono molti i fedeli che, in occasione delle scelte determinanti, come ad esempio il matrimonio, dimenticano, o ignorano addirittura di far parte di una comunità geograficamente connotata, e scelgono la sede delle nozze prescindendo completamente dalla parrocchia: non si tratta soltanto di formalità burocratiche, quasi che la parrocchia fosse analoga ad una circoscrizione comunale, alla quale un cittadino deve tassativamente rivolgersi... Il problema consiste nella mancata percezione di appartenere ad una comunità: quando non ci si sente parte integrante, è chiaro che nel cammino di discernimento, la parrocchia non compare tra i parametri in base ai quali giudicare secondo coscienza. La situazione è ancora più grave, considerando il fatto che, nella maggior parte dei casi non si tratta di rapporto polemico del soggetto, della coppia con la parrocchia, quanto piuttosto di un non-rapporto del fedele, dei fedeli con una parrocchia, con nessuna parrocchia!
Al giorno d'oggi, la parrocchia non è, o non è più avvertita come la propria comunità, e per più di un motivo: la società sempre più globalizzata, interculturale e interreligiosa, è ridotta ad essere un mero contenitore di uomini e donne che non hanno più radici, o meglio, se hanno radici, le hanno altrove e stentano a radicarsi là dove la fortuna, o la necessità li hanno portati. Anche coloro che sono nativi del posto, scelgono di fare riferimento ad altri soggetti collettivi; sono i cosiddetti credenti-non-appartenenti. Fatto sta che la partecipazione alla vita della parrocchia è in calo e i motivi che inducono persone e famiglie ad avvicinarsi ad una comunità parrocchiale sono spesso di ordine aggregativo, più che religioso in senso proprio. La domanda non incontra l'offerta, o, se la incontra, è perché sacerdoti e collaboratori parrocchiali devono loro malgrado assumere comportamenti, e dare risposte che non hanno molto a che fare con l'opzione di fede e sempre più a che vedere con necessità altre, rispetto ai contenuti tipici della fede...
Di conseguenza, si perde anche il senso comunitario della preghiera e, per preghiera, si intende - almeno quando c'è -, un vago colloquio individuale con Dio, un po' come avviene tra amici...
Per le giovani generazioni, le formule tradizionali sono usate sempre meno, un genere in via di estinzione, potremmo chiamarlo. Nessuno si chiede perché il Padre Nostro è coniugato alla prima persona plurale; qualcuno ha persino cambiato il "Padre Nostro" in "Padre mio"...
Il Vangelo di oggi resta una delle pagine più importanti di tutta la Rivelazione neotestamentaria; paradossalmente è tra le (pagine) meno comprese e meno apprezzate: chi, per una forma di istintiva repulsione, per avere affrontato conflitti, o subito soprusi, non crede nel valore della comunità, come potrà arrivare a convertirsi ad essa? dovremmo anche porre la domanda cambiando l'ordine dei termini: come può una comunità convertirsi ad un soggetto, il quale reca in sé una sofferenza profonda, oppure manifesta indifferenza nei confronti della stessa? In tutte e due i sensi, si tratta di vera e propria conversione! e per convertirsi bisognerebbe essere tutti un po' più umili.
Vangelo: Mt 18,15-20
Dopo aver capito che amare Dio non serve ad altro che ad amare Dio - si ama per amare - la Parola di oggi ci aiuta a capire che tra amore per Dio e amore per il prossimo non c'è soluzione di continuità; al contrario, manifestare l'amore per Dio e manifestarlo insieme con altri che condividono la stessa fede, vale assai più che facendolo più semplicemente da soli. La preghiera comune è più efficace di quella
individuale. Non ho detto che quella individuale non serve; quella comunitaria, o, per usare un termine tecnico, la preghiera liturgica è più preziosa agli occhi di Dio. Non c'è da stupirsi; del resto, ogni opera (dell'uomo) acquista un valore aggiunto ulteriore se è frutto dell'azione congiunta di più soggetti; e questo valore aggiunto è dato proprio dal fatto della collaborazione, della messa in comune degli intenti, delle idee, delle energie, della fantasia... Sappiamo quanto sia difficile lavorare insieme: "chi fa da sé fa per tre"! Mettere d'accordo tre, quattro, dieci teste non è facile, e più il numero aumenta, più è complicato raggiungere una soluzione che vada bene per tutti.
Il Vangelo vuole ricordarci che l'unità realizzata nei fatti e non solo a parole fa di noi un'immagine ancor più fedele ed eloquente di Dio: il Padre e il Figlio operano sempre insieme, ciascuno con un compito ben preciso; non c'è confusione, né di persone, né di competenze; lo dice il nome stesso dei soggetti che compongono la Trinità: il Padre non può sostituirsi al Figlio e il Figlio non può decidere autonomamente dal Padre.
Come bene ha rilevato il teologo H.U.von Balthasar, affinché si potesse compiere il disegno di salvezza per tutti gli uomini, era necessario Qualcuno che concepisse il progetto - il Padre -; Qualcuno che obbedisse, offrendosi di realizzarlo, nel mistero dell'incarnazione - il Figlio -; Qualcuno infine che confermasse e sostenesse il Figlio di Dio, in questa missione e che, infine, restasse nel mondo a confermare e sostenere, con la stessa forza, i testimoni del Vangelo - lo Spirito Santo -.
Infine, la dichiarazione di Gesù: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" ci insegna che la comunità non è soltanto il modo migliore di realizzare la Volontà di Dio, ma costituisce essa stessa - comunità - un segno di reale presenza di Dio. Per dirla in termini eucaristici, Dio è presente e riconoscibile nel segno del pane spezzato, ma anche nella comunità riunita per ascoltare insieme la Parola del Signore e per spezzare insieme il pane del suo corpo.
In nome di questo principio sacrosanto della fede cristiana, la comunità è il soggetto - o, almeno, lo dovrebbe essere -, al quale fare riferimento nei momenti cruciali della vita, nella buona e nella cattiva salute.
La delicata questione della comunità cristiana va vista nei due sensi: rispettivamente, con gli occhi del soggetto che ha il diritto e il dovere di far parte di una comunità reale, ritenuta non solo come interlocutore che gli sta di fronte, ma soprattutto come un corpo, all'interno della quale sentirsi membro vivo; dal punto di vista della comunità, è necessario che questa assuma concretamente la vocazione ad essere madre dei credenti, casa accogliente per i credenti, in prospettiva di offrirsi come una proposta interessante, attraente anche per coloro che sono in ricerca della fede e non appartengono ancora ufficialmente ad alcuna confessione religiosa.
Soltanto se la comunità tornerà ad essere il contesto naturale nel quale vivere e celebrare la fede, anche ai sacramenti sarà riconosciuto nuovamente il valore che Cristo ha dato loro, istituendoli.
Mi permetto di sottolineare il legame inscindibile tra sacramenti e comunità: sono molti i fedeli che, in occasione delle scelte determinanti, come ad esempio il matrimonio, dimenticano, o ignorano addirittura di far parte di una comunità geograficamente connotata, e scelgono la sede delle nozze prescindendo completamente dalla parrocchia: non si tratta soltanto di formalità burocratiche, quasi che la parrocchia fosse analoga ad una circoscrizione comunale, alla quale un cittadino deve tassativamente rivolgersi... Il problema consiste nella mancata percezione di appartenere ad una comunità: quando non ci si sente parte integrante, è chiaro che nel cammino di discernimento, la parrocchia non compare tra i parametri in base ai quali giudicare secondo coscienza. La situazione è ancora più grave, considerando il fatto che, nella maggior parte dei casi non si tratta di rapporto polemico del soggetto, della coppia con la parrocchia, quanto piuttosto di un non-rapporto del fedele, dei fedeli con una parrocchia, con nessuna parrocchia!
Al giorno d'oggi, la parrocchia non è, o non è più avvertita come la propria comunità, e per più di un motivo: la società sempre più globalizzata, interculturale e interreligiosa, è ridotta ad essere un mero contenitore di uomini e donne che non hanno più radici, o meglio, se hanno radici, le hanno altrove e stentano a radicarsi là dove la fortuna, o la necessità li hanno portati. Anche coloro che sono nativi del posto, scelgono di fare riferimento ad altri soggetti collettivi; sono i cosiddetti credenti-non-appartenenti. Fatto sta che la partecipazione alla vita della parrocchia è in calo e i motivi che inducono persone e famiglie ad avvicinarsi ad una comunità parrocchiale sono spesso di ordine aggregativo, più che religioso in senso proprio. La domanda non incontra l'offerta, o, se la incontra, è perché sacerdoti e collaboratori parrocchiali devono loro malgrado assumere comportamenti, e dare risposte che non hanno molto a che fare con l'opzione di fede e sempre più a che vedere con necessità altre, rispetto ai contenuti tipici della fede...
Di conseguenza, si perde anche il senso comunitario della preghiera e, per preghiera, si intende - almeno quando c'è -, un vago colloquio individuale con Dio, un po' come avviene tra amici...
Per le giovani generazioni, le formule tradizionali sono usate sempre meno, un genere in via di estinzione, potremmo chiamarlo. Nessuno si chiede perché il Padre Nostro è coniugato alla prima persona plurale; qualcuno ha persino cambiato il "Padre Nostro" in "Padre mio"...
Il Vangelo di oggi resta una delle pagine più importanti di tutta la Rivelazione neotestamentaria; paradossalmente è tra le (pagine) meno comprese e meno apprezzate: chi, per una forma di istintiva repulsione, per avere affrontato conflitti, o subito soprusi, non crede nel valore della comunità, come potrà arrivare a convertirsi ad essa? dovremmo anche porre la domanda cambiando l'ordine dei termini: come può una comunità convertirsi ad un soggetto, il quale reca in sé una sofferenza profonda, oppure manifesta indifferenza nei confronti della stessa? In tutte e due i sensi, si tratta di vera e propria conversione! e per convertirsi bisognerebbe essere tutti un po' più umili.
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