mons. Gianfranco Poma "Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli"

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (31/08/2014)
Vangelo: Mt 16,21-27
Matt.16,21-27 ci conduce nel cuore dell'esperienza cristiana: Gesù comincia a"mostrare" la sua esistenza come il distendersi concreto della sua relazione personale con Dio e con estrema chiarezza annuncia la condizione essenziale per essere suoi discepoli, seguire lui e trovare il senso della propria vita.
"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", aveva proclamato Pietro (Matt.16,16), con l'entusiasmo e la gioia del figlio di Israele che, come tutti gli uomini, pensa che Dio sia colui che interviene per risolvere i problemi della storia, per trasformare la vita in un paradiso, per liberare l'uomo dalla propria fragilità.

"Da quel momento, Gesù Cristo cominciò a mostrare ai suoi discepoli che bisogna che egli vada a Gerusalemme..." Tutto, in questo brano, è intenso e pieno di significato: tutto coinvolge il lettore (noi, oggi), personalmente. "Da quel momento", da quando Pietro ha pronunciato la sua confessione di fede, "comincia" un cammino mai concluso nella storia, nel quale Gesù continua a "mostrare" la sua esperienza di Dio: bisogna che Pietro si liberi dall'idea e dalla pretesa sempre risorgente di un Messia potente e vittorioso e comprenda che il suo grido: "Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio", ha un significato nuovo, impensabile per la mente umana.
"Gesù cominciò a mostrare che bisogna che vada a Gerusalemme...": da questo momento ogni gesto, ogni scelta di Gesù mostra che egli vive in relazione con il Padre. Vive una vita filiale rimanendo totalmente dentro l'esistenza umana, lasciando che gli spazi della sua umanità siano riempiti solo dall'Amore del Padre e tutto di Lui sia una risposta libera alla sua Parola. Gesù è il Cristo, il Messia, proprio come Figlio che apre la sua umanità all'accoglienza della vita del Padre: "bisogna" che egli vada a Gerusalemme, non è un suo bisogno psicologico, religioso, o una decisione che nasce dal progetto della sua volontà, ma la sua risposta alla volontà accolta del Padre.
Gesù è il Messia umile che percorre fin in fondo l'esperienza umana lasciando che essa sia lo spazio in cui l'infinito di Dio si incarna: la sua potenza sta nella debolezza in cui Dio può operare.
"Bisogna che egli vada a Gerusalemme... soffrire molto...e il terzo giorno risorgere". Quando Matteo scrive, intende insegnarci a vedere il compiersi del disegno di Dio in ciò che Gesù ha "mostrato": nella fedeltà personale a Colui che gli chiedeva tutto, condividendo la povertà umana, rinunciando ad ogni potere, egli è il vertice e il centro della realizzazione dell'uomo e del mondo.
La reazione (sempre attuale) di Pietro è l'espressione normale della razionalità umana: vorrebbe la gloria, la riuscita, la vittoria, senza passare attraverso la fragilità, la povertà e la morte.
La forza con cui Gesù gli risponde, sottolinea l' importanza di quanto vuole che Pietro comprenda: la novità radicale della sua esperienza di Dio che dà senso alla sua esistenza e al mondo intero. Bisogna che Pietro che ha confessato Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio vivente, lo "segua", gli vada dietro, non pretenda di guidarlo: volendo che Gesù sfugga alla morte, cioè alla condizione umana, Pietro si trasforma in tentatore ("Satana"), e non è più discepolo ma "scandalo", ostacolo alla sua missione. In Gesù si rivela la novità del pensiero di Dio, l'opposto di quello umano: bisogna che Pietro cambi radicalmente il suo modo di pensare.
La sapienza e la potenza di Dio si manifesta nella carne fragile di Cristo (1Cor.1,22-24): chi vuole andare dietro a Gesù deve vivere la stessa sua dimensione di esistenza (non porre la fiducia nel proprio io), "prendere la sua croce e seguirlo (rimanere dentro la propria fragilità per sperimentare la forza di Dio)". Non si può seguire lui, continuando a contare su di sé, sulle proprie forze e sulle proprie certezze. Voler costruirsi da sé è una velleità votata al fallimento. Seguire Gesù senza rinunciare alla immagine che si ha di se stessi, significa correre in perdita. Perdere la propria vita a causa di Cristo, non rimanere chiusi nella ricerca spasmodica di sé per aprirsi agli orizzonti infiniti di una vita di libertà e di amore quale è quella del Figlio di Dio, significa ricevere la vita vera. Un uomo può guadagnare il mondo intero, falsificando e non trovando il senso della propria esistenza: quello che conta è vivere in pienezza la propria vita che, seguendo lui, qualunque essa sia, diventa una goccia dell'infinito oceano dell'Amore che è Dio.

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