Paolo Curtaz"Il miracolo della condivisione"
Diciottesima domenica durante l’anno
Is 55,1-3/Rm 8,35-39/ Mt 14,13-21
Abbiamo fame, tanta.
Non la fame di cibo. Quella, almeno in occidente, è lasciata al passato.
Fame di significato, di senso, di pienezza, di felicità, di pace.
Fame che colmi i cuori, i nostri cuori,
ogni cuore.
Possiamo interpretare la nostra vita come una ricerca di sazietà: affetti, soddisfazioni, gioie… tutto
quello che facciamo, a pensarci bene, serve a colmare quella fame profonda, assoluta, che alberga nei
nostri cuori.
Gesù vede la nostra fame profonda. Sa che non abbiamo in noi stessi la risposta alle grandi domande.
Sa che corriamo il rischio, come i deportati in Babilonia della prima lettura, di accontentarci dell’oggi,
senza avere più sogni, senza desiderare più nulla.
Per sei volte gli evangelisti parlano della moltiplicazione dei pani. È un miracolo fondamentale, non
tanto per la potenza del gesto, quanto per l’intensità del suo significato.
Gesù prova compassione per la folla, patisce insieme.
È un atteggiamento profondo, il termine greco soggiacente ha a che fare con le viscere, un sentimento
di profonda condivisione.
Bene – pensiamo – allora è fatta!
Se Dio prova compassione per noi certamente risolverà il problema!
Macché.
In esilio
Isaia promette al popolo in esilio un pane gratis che sfamerà ogni cuore.
In realtà il popolo, in esilio da ormai cinquant’anni, ha la pancia piena. Si è integrato, ha comperato
case in Babilonia, nessuno pensa più seriamente di tornare ad una terra che non ha mai visto.
Pochi torneranno, dopo l’editto di liberazione e non troveranno pane e miele, ma difficoltà e odio.
Ma anche il vero volto di Dio.
Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di
avere capito e fatto tutto perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno.
Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si
accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre!
Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio felicità profonda che portiamo
nel cuore.
Folle
Molta gente si raduna attorno a Gesù.
Ha compassione, il Signore, ama il popolo, sa di cosa abbiamo bisogno. Non è distratto il nostro Dio,
non se ne sta sulle nuvole a governare le formichine. Eppure, davanti alla folla, il Signore non agisce,
ma chiede ai suoi di agire.
Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono di ignorare il problema: ognuno si arrangi.
Non è forse il messaggio che il mondo ci riporta ogni giorno?
I problemi sono tuoi, affrontali meglio che riesci.
Gesù non ci sta: la fame si può saziare, quella fisica e quella interiore, ma ad una sola condizione:
mettersi in gioco.
Pani e pesci
Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel
cuore. Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che sono, anche se ciò che
sono è poco.
La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce
disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di
porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un’ora a settimana: giochiamo,
parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù. Poi escono, e per un’intera settimana
sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo.
Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d’ufficio ne approfittano e mi fregano.
Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all’altra e la gente pensa che
io sia una specie di funzionario del Vaticano.
Occorre arrendersi?
No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l’opera di Dio, è segno profetico che imita l’ampio gesto
del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.
L’altro pane
Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù, allude chiaramente all’eucarestia della comunità.
Troviamo la forza per metterci in gioco, per condividere quel poco che siamo solo e a condizione di
attingere al gesto straordinario di Gesù che, lui per primo diventa cibo.
L’eucarestia diventa forza e modello del nostro agire.
Anche noi, come Cristo, possiamo diventare pane spezzato per gli altri!
Is 55,1-3/Rm 8,35-39/ Mt 14,13-21
Abbiamo fame, tanta.
Non la fame di cibo. Quella, almeno in occidente, è lasciata al passato.
Fame di significato, di senso, di pienezza, di felicità, di pace.
Fame che colmi i cuori, i nostri cuori,
ogni cuore.
Possiamo interpretare la nostra vita come una ricerca di sazietà: affetti, soddisfazioni, gioie… tutto
quello che facciamo, a pensarci bene, serve a colmare quella fame profonda, assoluta, che alberga nei
nostri cuori.
Gesù vede la nostra fame profonda. Sa che non abbiamo in noi stessi la risposta alle grandi domande.
Sa che corriamo il rischio, come i deportati in Babilonia della prima lettura, di accontentarci dell’oggi,
senza avere più sogni, senza desiderare più nulla.
Per sei volte gli evangelisti parlano della moltiplicazione dei pani. È un miracolo fondamentale, non
tanto per la potenza del gesto, quanto per l’intensità del suo significato.
Gesù prova compassione per la folla, patisce insieme.
È un atteggiamento profondo, il termine greco soggiacente ha a che fare con le viscere, un sentimento
di profonda condivisione.
Bene – pensiamo – allora è fatta!
Se Dio prova compassione per noi certamente risolverà il problema!
Macché.
In esilio
Isaia promette al popolo in esilio un pane gratis che sfamerà ogni cuore.
In realtà il popolo, in esilio da ormai cinquant’anni, ha la pancia piena. Si è integrato, ha comperato
case in Babilonia, nessuno pensa più seriamente di tornare ad una terra che non ha mai visto.
Pochi torneranno, dopo l’editto di liberazione e non troveranno pane e miele, ma difficoltà e odio.
Ma anche il vero volto di Dio.
Anche noi, a volte, ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di
avere capito e fatto tutto perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno.
Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si
accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre!
Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio felicità profonda che portiamo
nel cuore.
Folle
Molta gente si raduna attorno a Gesù.
Ha compassione, il Signore, ama il popolo, sa di cosa abbiamo bisogno. Non è distratto il nostro Dio,
non se ne sta sulle nuvole a governare le formichine. Eppure, davanti alla folla, il Signore non agisce,
ma chiede ai suoi di agire.
Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono di ignorare il problema: ognuno si arrangi.
Non è forse il messaggio che il mondo ci riporta ogni giorno?
I problemi sono tuoi, affrontali meglio che riesci.
Gesù non ci sta: la fame si può saziare, quella fisica e quella interiore, ma ad una sola condizione:
mettersi in gioco.
Pani e pesci
Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel
cuore. Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che sono, anche se ciò che
sono è poco.
La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce
disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di
porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un’ora a settimana: giochiamo,
parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù. Poi escono, e per un’intera settimana
sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo.
Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d’ufficio ne approfittano e mi fregano.
Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all’altra e la gente pensa che
io sia una specie di funzionario del Vaticano.
Occorre arrendersi?
No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l’opera di Dio, è segno profetico che imita l’ampio gesto
del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.
L’altro pane
Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù, allude chiaramente all’eucarestia della comunità.
Troviamo la forza per metterci in gioco, per condividere quel poco che siamo solo e a condizione di
attingere al gesto straordinario di Gesù che, lui per primo diventa cibo.
L’eucarestia diventa forza e modello del nostro agire.
Anche noi, come Cristo, possiamo diventare pane spezzato per gli altri!
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