don Alberto Brignoli " È tutto da rifare!"

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2014)
Vangelo: Mt 20,1-16 
Che Dio non sia giusto, non lo si può certo dire...almeno lui! Già non ci possiamo fidare della giustizia umana, lenta e inefficace, e spesso pure corrotta; la giustizia di Dio perlomeno, anche se molto più lenta della giustizia umana, non pecca certo di inefficacia, e soprattutto è incorrotta e incorruttibile, a volte pure
inappellabile. Per cui, stiamo pur certi che Dio è giusto, e su quello non ci piove.
Il fatto è che sui criteri della giustizia di Dio qualcosa da osservare ce l'avremmo, da un punto di vista umano, o quanto meno di procedura legale. Sì, perché la giustizia efficace, incorrotta e inappellabile di Dio non si basa su un insieme di leggi o su un codice che ne è riferimento, ma su qualcosa che - umanamente parlando - pare essere proprio la negazione stessa della giustizia e della legalità, ovvero la bontà, la misericordia. Dio, in pratica, non giudica gli uomini in base a delle leggi e delle norme, ma in base alla sua bontà e grandezza d'animo. Di conseguenza, il suo desiderio più grande è che gli uomini non vengano giudicati in base alla legittimità delle loro opere, ma in base alla loro bontà d'animo, cioè - in parole povere - alla loro capacità di amare, alla loro misericordia.
Intendiamoci: Dio in questo modo non approva e nemmeno autorizza l'uomo ad agire nell'illegalità "purché sia buono d'animo", altrimenti qualsiasi di noi, furbescamente, di fronte a Dio potrebbe giustificare le proprie pessime azioni nascondendosi dietro laconiche affermazioni del tipo: "Beh, io in fondo ho agito con bontà e semplicità d'animo, poi però la limitatezza della natura umana mi ha portato a compiere azioni sbagliate di cui però non mi sento totalmente responsabile". No, non si tratta di questo: Dio sa bene (e lo sa meglio di noi) dove sta il bene e dove sta il male, e proprio per questo odia il male e ama il bene. Ma il metro con cui egli giudica il bene e il male non è un codice fatto di norme e di leggi da rispettare (come poteva essere per i farisei legalisti), ma è la bontà del cuore e delle intenzioni che da esso scaturiscono, insieme alle quali, nella stragrande maggioranza dei casi, scaturiscono anche le opere buone. Quando l'uomo compie il bene, di certo il giudizio di Dio è positivo, perché il bene compiuto non può assolutamente provenire da una radice di male. Ma a volte, neppure il male proviene necessariamente da intenzioni cattive: Paolo ce lo insegna bene nella lettera ai Romani. Il problema è che l'uomo questo non lo sa cogliere, perché prima ancora di fare emergere l'intenzionalità delle sue azioni, si preoccupa di giudicare le opere e i fatti solamente secondo criteri di legalità; e di fronte a un Dio che ancor prima di essere giusto è buono, mormora e mostra tutta la sua invidia.
Come gli operai della prima ora, che se la prendono con Dio, in apparenza perché secondo loro non è giusto, ma in realtà perché - e pure questo lo sanno bene - egli è buono, e agisce con criteri di bontà. Sembra strano dirlo, ma un Dio che agisce così, all'uomo fa male... Fa male, sì, perché preferirebbe un Dio che dia a ognuno secondo le sue opere, che retribuisca ed elargisca a larghe mani tutti i suoi benefici per chi da sempre lo serve e fa il bene, e che di conseguenza condanni chi compie il male, o comunque non tratti gli ultimi arrivati nella vita di fede alla stessa stregua di chi lo serve fedelmente da anni.
Beh, ma...se preferiamo un Dio così, non dobbiamo fare altro che dirlo: lui ci accontenta subito. "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene". Vuoi un Dio giusto retribuitore che ti paghi per quello che fai? Eccoti accontentato: con lui avevi fissato sin dall'inizio che questo sarebbe stato il suo modo di agire, e così egli fa. L'hai voluto tu. Ma non puoi pretendere che Dio sia anche con gli altri così come è con te; e soprattutto, non puoi pretendere che lui faccia delle sue cose ciò che vuoi tu. Ancor peggio: non puoi chiedere a Dio di essere giusto con te, e di conseguenza con gli altri di non essere misericordioso e buono, perché la sua giustizia - che a te piaccia o no - coincide con la sua bontà, e se con te è giusto, lo deve essere anche con gli altri. Ma con chi - come te - pretende di concordare con lui come dev'essere il vostro rapporto di fiducia, la sua giustizia si manifesta con un atteggiamento di retribuzione; con chi invece non avanza pretese con Dio, ma lo accoglie per quello che egli è, nella semplicità, così come si manifesta, a qualunque ora e in qualunque fase della vita ciò avvenga, la sua giustizia si manifesta per ciò che veramente e profondamente è, ovvero bontà e misericordia.
La parabola di quest'oggi, allora, non è la denuncia di un atteggiamento antisindacale di Gesù Cristo che non dà ai lavoratori il salario che spetta loro; è un vero e proprio trattato di teologia, perché pone la questione fondamentale sull'essenza di Dio.
Chi è Dio? E chi è Dio per me, soprattutto? Dio è un giudice giusto o è un Padre misericordioso? Dio condanna il male e premia il bene, oppure ha criteri diversi nell'esercitare la sua funzione di giudice? Dio ci salva secondo i nostri schemi di legalità (o meglio, di legalismo) o secondo "pensieri e vie che non sono le nostre vie"?
E la risposta a questa domanda fondamentale su Dio ha delle implicazioni pratiche, comportamentali e pastorali che sono sotto gli occhi di tutti, ogni giorno, nella quotidianità del nostro impegno ecclesiale e del nostro discepolato "della prima ora". Sì, perché Gesù non dice questa parabola alle folle o ai farisei legalisti, ma ai suoi discepoli, a quelli che da sempre erano con lui, agli addetti ai lavori, ai parrocchiani fedeli - potremmo dire oggi - che spesso rischiano di sentirsi talmente arrivati e assodati nella fede da farsi "padroni" di Dio, da volerlo comandare al punto da insegnargli come deve essere: un retribuitore giusto.
Quando critichiamo quelli che in chiesa vanno poco o ci vanno solo nelle grandi occasioni e ci dà fastidio che il parroco parli con loro e perda tempo con loro; quando siamo diffidenti nei confronti di quelli che solo occasionalmente danno una mano nelle attività della parrocchia; quando giudichiamo gli altri per il percorso di fede poco lineare che denotano di avere, mentre noi da sempre siamo andati all'oratorio, e al catechismo, e a messa... stiamo mormorando con Dio alla stessa stregua degli operai della prima ora, perché a noi un Dio che tratta tutti alla stessa maniera proprio non va giù. Un Dio così non è giusto.
Ma il problema non è un Dio ingiusto...il problema è che la sua giustizia si basa sulla sua bontà, e a noi, questo, purtroppo, fa male. Pensavamo di aver capito tutto, di Dio, di essere avanti, di essere i primi nella fede: invece no, i primi saranno ultimi... è tutto da rifare!

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