mons. Gianfranco Poma "Forse tu sei invidioso perché io sono buono?"
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2014)
Vangelo: Mt 20,1-16
L'espressione evangelica "il Regno dei cieli" con cui inizia Matt.20,1-16, il brano che leggiamo nella domenica XXV del tempo ordinario, non significa uno spazio geografico o una realtà politica, ma l'irruzione di Dio nella storia accaduto nell'evento di Gesù di Nazareth e che continua nella vita di chi ascolta ed accoglie la sua parola. E' una irruzione che produce il cambiamento di comprensione di sé e degli altri, uno sguardo nuovo sull'esistenza del mondo, una logica radicalmente nuova da quella del mondo. Per annunciare il Regno dei cieli, Gesù parla in parabole: il linguaggio si fa "simbolico", la concretezza
delle cose che vediamo e tocchiamo si apre, e cominciamo a vedere, a gustare e a vivere la vita di Dio. È la novità della fede cristiana: "la Parola si è fatta carne...e noi vediamo la gloria", "vedere Dio" che con Gesù entra nella opacità della storia e la riempie di senso.
"La parabola degli operai dell'ultima ora", incentrata sull'affermazione della sconvolgente bontà senza limite di Dio, è collocata da Matteo nel contesto del cammino che Gesù fa percorrere ai suoi discepoli, perché imparino ad andare dietro a lui, con lo sguardo libero da invidie e gelosie, non condizionato dai limiti segnati dalla dottrina farisaica, in una comunità nella quale il più grande è il più piccolo di tutti e colui che si fa servo di tutti, gustando e condividendo la gioia dell'Amore del Padre.
"Il Regno dei cieli è simile a un padrone di casa...": la parabola descrive una scena normale per la Palestina di quei tempi, segnata da una crisi economica fortissima, soprattutto per i piccoli proprietari caduti in rovina. L'attenzione degli ascoltatori è immediatamente catturata da Gesù che parla di cose concrete: un padrone che esce di casa all'alba per assumere giornalieri. Non impone, si accorda con loro sul salario e li manda nella vigna. Dopo tre ore esce di nuovo e promette loro ciò che è "giusto". La scena si ripete alla sesta e alla nona ora: il padrone invita, promette ciò che è giusto, sulla fiducia, e gli operai vanno. Poi, verso la fine della giornata, di nuovo il padrone esce (è interessante questa insistenza sull' "uscire" del padrone) e trova altri che sono fermi, inerti, vuoti. Con loro inizia un dialogo: questo padrone è interessato a loro, alla situazione di solitudine e di abbandono che ha provocato il vuoto della loro vita. Tutto è così concretamente vero: non possono non essere affascinati gli ascoltatori di Gesù (noi, oggi) sentendo parlare di un padrone che esce, cerca, promette, ridona la speranza, la vita... Ma egli parla del Regno dei cieli... utopia o realtà?
La sera è il momento della verifica, della verità, della gioia. Ma l'ordine di versare il salario cominciando dagli ultimi e di dare a questi la stessa somma convenuta con i primi sconvolge tutto. È giusto che chi ha sudato tutto il giorno riceva quanto quelli che hanno lavorato soltanto un'ora? "È giusto...?": proprio su questo si era impegnato il padrone chiamando gli operai... I primi si ritengono trattati ingiustamente, e cominciano a "mormorare": ritorna frequentemente questo verbo nel N.T. (riprendendo le mormorazioni del popolo di Israele nel deserto) per descrivere la reazione di coloro che criticano il comportamento di misericordia di Gesù nei confronti dei "peccatori", ritenendolo ingiusto verso di loro, osservanti fedeli della legge. "È giusto?": il problema è proprio questo, che cosa è giusto? Tutto il Vangelo di Matteo è incentrato sulla novità della "giustizia" che l'evento di Gesù ha portato nella relazione con Dio e con gli altri: c'è una giustizia secondo la Legge, retributiva, razionale e c'è il suo "compimento", la sua "pienezza" che è l'Amore che solo il Figlio che vive dell'Amore del Padre conosce. I primi operai hanno ricevuto il salario convenuto: ma rimane la libertà dell'Amore di donare oltre ogni schema perché l'altro viva. Ai suoi discepoli, alla sua comunità, Gesù chiede di seguire lui, per condividere la sua esperienza filiale dell'Amore paterno di Dio, da cui deriva una conoscenza nuova di sé e degli altri e un cuore capace di un Amore prima impensabile. "È giusto?": Gesù parla della giustizia del Regno dei cieli che solo chi incontra lui vive: non è una dottrina, un sistema sociale o politico (rivoluzionario, liberale, riformista), è un'esperienza. Non è un'utopia: è l'esperienza della bontà di Dio che fa irruzione nella vita di chi credendo l'Amore ha la forza di liberarsi dalla paura, dall'invidia, dalla gelosia, per aprire spazi di Amore nella durezza della storia dell'uomo.
Vangelo: Mt 20,1-16
L'espressione evangelica "il Regno dei cieli" con cui inizia Matt.20,1-16, il brano che leggiamo nella domenica XXV del tempo ordinario, non significa uno spazio geografico o una realtà politica, ma l'irruzione di Dio nella storia accaduto nell'evento di Gesù di Nazareth e che continua nella vita di chi ascolta ed accoglie la sua parola. E' una irruzione che produce il cambiamento di comprensione di sé e degli altri, uno sguardo nuovo sull'esistenza del mondo, una logica radicalmente nuova da quella del mondo. Per annunciare il Regno dei cieli, Gesù parla in parabole: il linguaggio si fa "simbolico", la concretezza
delle cose che vediamo e tocchiamo si apre, e cominciamo a vedere, a gustare e a vivere la vita di Dio. È la novità della fede cristiana: "la Parola si è fatta carne...e noi vediamo la gloria", "vedere Dio" che con Gesù entra nella opacità della storia e la riempie di senso.
"La parabola degli operai dell'ultima ora", incentrata sull'affermazione della sconvolgente bontà senza limite di Dio, è collocata da Matteo nel contesto del cammino che Gesù fa percorrere ai suoi discepoli, perché imparino ad andare dietro a lui, con lo sguardo libero da invidie e gelosie, non condizionato dai limiti segnati dalla dottrina farisaica, in una comunità nella quale il più grande è il più piccolo di tutti e colui che si fa servo di tutti, gustando e condividendo la gioia dell'Amore del Padre.
"Il Regno dei cieli è simile a un padrone di casa...": la parabola descrive una scena normale per la Palestina di quei tempi, segnata da una crisi economica fortissima, soprattutto per i piccoli proprietari caduti in rovina. L'attenzione degli ascoltatori è immediatamente catturata da Gesù che parla di cose concrete: un padrone che esce di casa all'alba per assumere giornalieri. Non impone, si accorda con loro sul salario e li manda nella vigna. Dopo tre ore esce di nuovo e promette loro ciò che è "giusto". La scena si ripete alla sesta e alla nona ora: il padrone invita, promette ciò che è giusto, sulla fiducia, e gli operai vanno. Poi, verso la fine della giornata, di nuovo il padrone esce (è interessante questa insistenza sull' "uscire" del padrone) e trova altri che sono fermi, inerti, vuoti. Con loro inizia un dialogo: questo padrone è interessato a loro, alla situazione di solitudine e di abbandono che ha provocato il vuoto della loro vita. Tutto è così concretamente vero: non possono non essere affascinati gli ascoltatori di Gesù (noi, oggi) sentendo parlare di un padrone che esce, cerca, promette, ridona la speranza, la vita... Ma egli parla del Regno dei cieli... utopia o realtà?
La sera è il momento della verifica, della verità, della gioia. Ma l'ordine di versare il salario cominciando dagli ultimi e di dare a questi la stessa somma convenuta con i primi sconvolge tutto. È giusto che chi ha sudato tutto il giorno riceva quanto quelli che hanno lavorato soltanto un'ora? "È giusto...?": proprio su questo si era impegnato il padrone chiamando gli operai... I primi si ritengono trattati ingiustamente, e cominciano a "mormorare": ritorna frequentemente questo verbo nel N.T. (riprendendo le mormorazioni del popolo di Israele nel deserto) per descrivere la reazione di coloro che criticano il comportamento di misericordia di Gesù nei confronti dei "peccatori", ritenendolo ingiusto verso di loro, osservanti fedeli della legge. "È giusto?": il problema è proprio questo, che cosa è giusto? Tutto il Vangelo di Matteo è incentrato sulla novità della "giustizia" che l'evento di Gesù ha portato nella relazione con Dio e con gli altri: c'è una giustizia secondo la Legge, retributiva, razionale e c'è il suo "compimento", la sua "pienezza" che è l'Amore che solo il Figlio che vive dell'Amore del Padre conosce. I primi operai hanno ricevuto il salario convenuto: ma rimane la libertà dell'Amore di donare oltre ogni schema perché l'altro viva. Ai suoi discepoli, alla sua comunità, Gesù chiede di seguire lui, per condividere la sua esperienza filiale dell'Amore paterno di Dio, da cui deriva una conoscenza nuova di sé e degli altri e un cuore capace di un Amore prima impensabile. "È giusto?": Gesù parla della giustizia del Regno dei cieli che solo chi incontra lui vive: non è una dottrina, un sistema sociale o politico (rivoluzionario, liberale, riformista), è un'esperienza. Non è un'utopia: è l'esperienza della bontà di Dio che fa irruzione nella vita di chi credendo l'Amore ha la forza di liberarsi dalla paura, dall'invidia, dalla gelosia, per aprire spazi di Amore nella durezza della storia dell'uomo.
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