mons. Roberto Brunelli "Occorre guardare oltre la stretta giustizia"

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/09/2014)
Vangelo: Mt 20,1-16 
Nel giorno in cui ricorre la festa annuale di San Matteo, l'apostolo al quale è attribuito il vangelo che si legge di norma nelle domeniche di quest'anno, appunto dal suo scritto (20,1-16) ci è proposta una parabola sul tema della giustizia di Dio. Ne è illuminante premessa la prima lettura (Isaia 55,6-9), in cui parlando a nome del Signore il profeta dichiara: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie".

Tante volte la Bibbia presenta uomini che non capiscono l'agire di Dio, e in base a calcoli umani lo contestano. Lo fa Giona, il quale non vorrebbe che Dio perdonasse agli abitanti di Ninive; lo fa il fratello maggiore del figlio prodigo, il quale trova ingiusto che il padre riaccolga e festeggi lo scapestrato pentito; lo fa Pietro - l'abbiamo sentito qualche domenica fa - alla prospettiva del suo Maestro messo a morte. Lo fanno, per continuare con gli esempi, alcuni personaggi del vangelo odierno.
E' la parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna. Con i primi, ingaggiati all'alba, il padrone concorda la paga di un denaro per il lavoro della giornata; ne chiama poi altri nelle ore successive, sino alle cinque del pomeriggio, impegnandosi a dare loro il giusto compenso. Alle sei, finita la giornata, dà ordine al fattore di dare a tutti la paga, cominciando dagli ultimi. Tutti ricevono un denaro, e i primi si lamentano: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo!" Il padrone allora spiega a uno di loro: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Se voglio dare altrettanto agli altri, non posso disporre del mio come voglio? Sei forse invidioso perché io sono buono?
Nel padrone della parabola è facile riconoscere Dio, e negli operai gli uomini, chiamati da lui a "lavorare" per lui, a vivere in sintonia con lui. I primi chiamati furono gli appartenenti al popolo eletto, i discendenti di Abramo, i quali al tempo di Gesù si meravigliavano delle sue aperture agli "indegni" (i pubblici peccatori e gli appartenenti ad altri popoli) cui offriva le stesse prospettive. Anche oggi qualcuno considera ingiusto che una persona vissuta a combinarne d'ogni colore, se magari all'ultimo momento si converte, possa andare in paradiso al pari di chi per tutta la vita si è mantenuto fedele. A quanti, allora come oggi, trovano ingiusto il suo comportamento, Gesù vuole far comprendere che quella della giustizia non è la regola più alta. Il padrone della vigna non viola la giustizia: dà ai primi quanto pattuito; ma la supera, con la generosità.
Gli operai ingaggiati all'alba non considerano che essere chiamati a lavorare e ricevere una paga, da disoccupati quali erano, è già una fortuna: un dono di Dio, una grazia. Nulla ci è dovuto, nessun diritto gli uomini possono accampare davanti a Dio. Tutto è grazia; tutto quanto abbiamo di bello e buono, l'abbiamo ricevuto in dono; di tutto dobbiamo essere riconoscenti, e il modo sta nel cercare di fare nostro lo "stile" di Dio. Nella vita pubblica, come nei rapporti privati, troppe volte anche i cristiani si limitano a praticare e pretendere ciò che è, o ritengono, giusto. Dimenticano che la giustizia, per un cristiano, non è abbastanza; l'insegnamento e l'esempio del Maestro invitano non a negarla ma a non chiudersi in essa, ad andare oltre, con l'amore.
Come sarebbe diverso il mondo, se ce ne ricordessimo più spesso! Quante liti, quanti rancori sparirebbero, se invece di atteggiarci a ragionieri che conteggiano minuziosamente ragioni e torti, ci lasciassimo guidare dalla generosità! Non dimentichiamo quante volte Dio ha passato un colpo di spugna sulle nostre offese a lui. Non dimentichiamo di dare attuazione a parole pronunciate spesso con troppa leggerezza: Rimetti a noi i nostri debiti, "come noi li rimettiamo" ai nostri debitori.

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