Mons.Antonio Riboldi"Testimoni di Gesù Risorto"
Omelia dei giorni 1 e 2 Novembre 2014
Nella solennità di ‘Tutti i Santi’, che precede la commemorazione dei Defunti, la Chiesa ama presentarci quello che sarà il nostro vero domani. Sappiamo tutti che questa vita è un breve pellegrinaggio che Dio, il Padre, creandoci, ‘ha pensato’ per noi, per giungere alla felicità eterna con Lui. E tale è. Così l’Apostolo Giovanni descrive ‘il domani dell’eternità’:
“Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti
all’Agnello, avvolti in vesti candide e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello’....Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: ‘Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?’. Gli risposi: ‘Signore mio, tu lo sai’. Ed lui: ‘Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello’.” (Apocalisse 7, 9-14)
Noi, ci saremo in quella ‘moltitudine’?
È la domanda che deve accompagnarci nella vita di tutti i giorni, perché, non esserci, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto nella vita, andando nella direzione non giusta!
Guardando come troppi vivono ‘alla giornata’, senza un pensiero e tanto meno senza darsi un programma di santità, restiamo stupefatti e sembra impossibile tanta ‘sventatezza’.
È così raro ammirare i tratti della santità o, almeno la ‘tensione verso la santità’, nella gente che ci sta attorno, come se questa, fosse il privilegio di alcuni e non la vocazione di tutti.
La parola SANTO, invece, dovrebbe accompagnare la parola CRISTIANO.
Ci chiediamo: ‘Chi ci andrà mai, nella moltitudine celeste’?
È una domanda che sorge soprattutto confrontando la grande fatica che facciamo per trapiantare ‘il divino’, che è poi la santità, in noi.
Vorremmo essere umili e ci accorgiamo che tanti nostri atteggiamenti sono imbrattati di superbia.
Vorremmo essere ‘poveri in spirito’ per riempirci il cuore di amore e ci troviamo le mani sporche di ‘cose’ a cui siamo attaccati, fino a diventare chiusi e gretti verso la più elementare generosità, che ci insegni a liberarci di noi stessi per aprirci alla luce e alla carità.
Vorremmo contenere nel cuore tutta la gente, soprattutto quelli che soffrono e sono poveri, e, a volte, siamo insensibili e distratti verso i nostri stessi cari, in famiglia, maligni con i vicini, indisponenti con i colleghi, capaci solo di scegliere la nostra comodità, che porta all’indifferenza.
Fa davvero impressione vedere tanti, e troppi giovani, ‘bruciare’ quotidianamente la vita, come un falò delle vanità, che chiamano ‘vivere l’oggi’.
Verrebbe la voglia di urlare contro tutto quello che si offre come alternativa al Cielo: un pugno di illusioni, che sono le mode, e quel buttar via letteralmente il grande bene, che è nella vita santamente vissuta.
Ma chi, su questa terra, ha saputo – davvero – cogliere la felicità? Chi sono i santi? Sentiamo le parole di Papa Francesco, sempre profonde, dirette e coinvolgenti:
"I santi non sono nati perfetti; sono come noi, come ognuno di noi, persone che prima di raggiungere la gloria del cielo hanno vissuto una vita normale, con gioie e dolori, fatiche e speranze". La differenza con il resto dell'umanità consiste nel fatto che "quando hanno conosciuto l'amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni o ipocrisie; hanno speso la loro vita al servizio degli altri, hanno sopportato sofferenze e avversità, senza odiare e rispondendo al male con il bene, diffondendo gioia e pace … I santi sono uomini e donne che hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri.
Viene da chiederci: ‘Ma la santità è accessibile a tutti o solo una scelta eroica di qualcuno che Dio privilegia in modo particolare?’...come se, davanti al Padre, non fossimo uguali nell’essere amati e chiamati alla felicità! Assurdo pensarlo... ma proficuo, soprattutto in questi giorni.
E ancora illuminanti sono le parole di Papa Francesco: ‘Essere santi non è un privilegio di pochi ma è una vocazione per tutti … Tutti siamo chiamati a camminare sulla via della santità e questa via ha un nome e un volto, quello di Gesù. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle beatitudini. Il Regno dei cieli, infatti, è per quanti non pongono la loro sicurezza nelle cose ma nell'amore di Dio; per quanti hanno un cuore semplice, umile; non presumono di essere giusti e non giudicano gli altri; per quanti sanno soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce; per quanti non sono violenti ma misericordiosi e cercano di essere artefici di riconciliazione e di pace’.
Troppo prezioso il bene della vita, questo dono incomparabile del Padre che già qui, se siamo davvero saggi e prudenti, come le vergini del Vangelo, possiamo trasformare in un meraviglioso ricamo di fatiche e gioie, impegni e svaghi, amore e amicizia, debolezza e perdono... armoniosamente intrecciati, come i colori dell’arcobaleno.
La saggezza evangelica è la via per realizzare ‘belle cose’!
Anche il commemorare i nostri Defunti, facendo le visite al Camposanto, ci aiuta a riflettere sul vero senso della nostra vita. Quelle tombe ci parlano del grande mistero della morte, ma anche, se abbiamo fede, della nuova vita dopo la morte. Non è possibile che tutto finisca lì, sotto una manciata di terra, come se non fossero mai esistiti. Come non è possibile che il grande affetto che ci univa in vita, abbia conosciuto la sua fine. Se c’è un grande bene, che sopravvive sempre, è l’amore, tanto è vero che, non solo visitiamo le tombe, ma sentiamo la gioia e il dovere di pregare per loro, di ‘parlare’ con loro, di fare qualcosa per alleviare le possibili sofferenze di purificazione, che ancora devono accettare. Tanti colgono l’occasione per essere generosi nelle offerte ai poveri o nell’offrire Messe in suffragio...
Tutti ‘beni’ che affermano la profonda certezza che la nostra vita continua ‘dopo’.
Ed in quel ‘dopo’ tutti, spero, vorremo essere nella ‘moltitudine immensa, che nessuno poteva contare...’. È possibile, se viviamo la vita secondo Dio e non secondo il mondo.
In una delle ultime catechesi Papa Francesco ha evidenziato che cosa significa vivere secondo Dio, cioè essere in stato di attesa, ma di chi?
‘Ecco che cosa aspettiamo: che Gesù ritorni! … Dobbiamo chiederci però, con molta sincerità: siamo davvero testimoni luminosi e credibili di questa attesa, di questa speranza? Le nostre comunità vivono ancora nel segno della presenza del Signore Gesù e nell’attesa calorosa della sua venuta, oppure appaiono stanche, intorpidite, sotto il peso della fatica e della rassegnazione? Corriamo anche noi il rischio di esaurire l’olio della fede e l’olio della gioia? Stiamo attenti!
Invochiamo la Vergine Maria, madre della speranza e regina del cielo, perché ci mantenga sempre in un atteggiamento di ascolto e di attesa, così da poter essere già ora permeati dell’amore di Cristo e aver parte un giorno alla gioia senza fine, nella piena comunione con Dio. E non dimenticatevi, mai dimenticare che «così per sempre saremo con il Signore!». Lo ripetiamo tre volte in più? «E così per sempre saremo con il Signore!» …
E’ il pensiero di quel ‘dopo’, che dovrebbe sostenerci nel diventare persone serie, veri cristiani, cristiani santi.
Antonio Riboldi – Vescovo
Nella solennità di ‘Tutti i Santi’, che precede la commemorazione dei Defunti, la Chiesa ama presentarci quello che sarà il nostro vero domani. Sappiamo tutti che questa vita è un breve pellegrinaggio che Dio, il Padre, creandoci, ‘ha pensato’ per noi, per giungere alla felicità eterna con Lui. E tale è. Così l’Apostolo Giovanni descrive ‘il domani dell’eternità’:
“Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti
all’Agnello, avvolti in vesti candide e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello’....Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: ‘Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?’. Gli risposi: ‘Signore mio, tu lo sai’. Ed lui: ‘Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello’.” (Apocalisse 7, 9-14)
Noi, ci saremo in quella ‘moltitudine’?
È la domanda che deve accompagnarci nella vita di tutti i giorni, perché, non esserci, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto nella vita, andando nella direzione non giusta!
Guardando come troppi vivono ‘alla giornata’, senza un pensiero e tanto meno senza darsi un programma di santità, restiamo stupefatti e sembra impossibile tanta ‘sventatezza’.
È così raro ammirare i tratti della santità o, almeno la ‘tensione verso la santità’, nella gente che ci sta attorno, come se questa, fosse il privilegio di alcuni e non la vocazione di tutti.
La parola SANTO, invece, dovrebbe accompagnare la parola CRISTIANO.
Ci chiediamo: ‘Chi ci andrà mai, nella moltitudine celeste’?
È una domanda che sorge soprattutto confrontando la grande fatica che facciamo per trapiantare ‘il divino’, che è poi la santità, in noi.
Vorremmo essere umili e ci accorgiamo che tanti nostri atteggiamenti sono imbrattati di superbia.
Vorremmo essere ‘poveri in spirito’ per riempirci il cuore di amore e ci troviamo le mani sporche di ‘cose’ a cui siamo attaccati, fino a diventare chiusi e gretti verso la più elementare generosità, che ci insegni a liberarci di noi stessi per aprirci alla luce e alla carità.
Vorremmo contenere nel cuore tutta la gente, soprattutto quelli che soffrono e sono poveri, e, a volte, siamo insensibili e distratti verso i nostri stessi cari, in famiglia, maligni con i vicini, indisponenti con i colleghi, capaci solo di scegliere la nostra comodità, che porta all’indifferenza.
Fa davvero impressione vedere tanti, e troppi giovani, ‘bruciare’ quotidianamente la vita, come un falò delle vanità, che chiamano ‘vivere l’oggi’.
Verrebbe la voglia di urlare contro tutto quello che si offre come alternativa al Cielo: un pugno di illusioni, che sono le mode, e quel buttar via letteralmente il grande bene, che è nella vita santamente vissuta.
Ma chi, su questa terra, ha saputo – davvero – cogliere la felicità? Chi sono i santi? Sentiamo le parole di Papa Francesco, sempre profonde, dirette e coinvolgenti:
"I santi non sono nati perfetti; sono come noi, come ognuno di noi, persone che prima di raggiungere la gloria del cielo hanno vissuto una vita normale, con gioie e dolori, fatiche e speranze". La differenza con il resto dell'umanità consiste nel fatto che "quando hanno conosciuto l'amore di Dio, lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni o ipocrisie; hanno speso la loro vita al servizio degli altri, hanno sopportato sofferenze e avversità, senza odiare e rispondendo al male con il bene, diffondendo gioia e pace … I santi sono uomini e donne che hanno la gioia nel cuore e la trasmettono agli altri.
Viene da chiederci: ‘Ma la santità è accessibile a tutti o solo una scelta eroica di qualcuno che Dio privilegia in modo particolare?’...come se, davanti al Padre, non fossimo uguali nell’essere amati e chiamati alla felicità! Assurdo pensarlo... ma proficuo, soprattutto in questi giorni.
E ancora illuminanti sono le parole di Papa Francesco: ‘Essere santi non è un privilegio di pochi ma è una vocazione per tutti … Tutti siamo chiamati a camminare sulla via della santità e questa via ha un nome e un volto, quello di Gesù. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle beatitudini. Il Regno dei cieli, infatti, è per quanti non pongono la loro sicurezza nelle cose ma nell'amore di Dio; per quanti hanno un cuore semplice, umile; non presumono di essere giusti e non giudicano gli altri; per quanti sanno soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce; per quanti non sono violenti ma misericordiosi e cercano di essere artefici di riconciliazione e di pace’.
Troppo prezioso il bene della vita, questo dono incomparabile del Padre che già qui, se siamo davvero saggi e prudenti, come le vergini del Vangelo, possiamo trasformare in un meraviglioso ricamo di fatiche e gioie, impegni e svaghi, amore e amicizia, debolezza e perdono... armoniosamente intrecciati, come i colori dell’arcobaleno.
La saggezza evangelica è la via per realizzare ‘belle cose’!
Anche il commemorare i nostri Defunti, facendo le visite al Camposanto, ci aiuta a riflettere sul vero senso della nostra vita. Quelle tombe ci parlano del grande mistero della morte, ma anche, se abbiamo fede, della nuova vita dopo la morte. Non è possibile che tutto finisca lì, sotto una manciata di terra, come se non fossero mai esistiti. Come non è possibile che il grande affetto che ci univa in vita, abbia conosciuto la sua fine. Se c’è un grande bene, che sopravvive sempre, è l’amore, tanto è vero che, non solo visitiamo le tombe, ma sentiamo la gioia e il dovere di pregare per loro, di ‘parlare’ con loro, di fare qualcosa per alleviare le possibili sofferenze di purificazione, che ancora devono accettare. Tanti colgono l’occasione per essere generosi nelle offerte ai poveri o nell’offrire Messe in suffragio...
Tutti ‘beni’ che affermano la profonda certezza che la nostra vita continua ‘dopo’.
Ed in quel ‘dopo’ tutti, spero, vorremo essere nella ‘moltitudine immensa, che nessuno poteva contare...’. È possibile, se viviamo la vita secondo Dio e non secondo il mondo.
In una delle ultime catechesi Papa Francesco ha evidenziato che cosa significa vivere secondo Dio, cioè essere in stato di attesa, ma di chi?
‘Ecco che cosa aspettiamo: che Gesù ritorni! … Dobbiamo chiederci però, con molta sincerità: siamo davvero testimoni luminosi e credibili di questa attesa, di questa speranza? Le nostre comunità vivono ancora nel segno della presenza del Signore Gesù e nell’attesa calorosa della sua venuta, oppure appaiono stanche, intorpidite, sotto il peso della fatica e della rassegnazione? Corriamo anche noi il rischio di esaurire l’olio della fede e l’olio della gioia? Stiamo attenti!
Invochiamo la Vergine Maria, madre della speranza e regina del cielo, perché ci mantenga sempre in un atteggiamento di ascolto e di attesa, così da poter essere già ora permeati dell’amore di Cristo e aver parte un giorno alla gioia senza fine, nella piena comunione con Dio. E non dimenticatevi, mai dimenticare che «così per sempre saremo con il Signore!». Lo ripetiamo tre volte in più? «E così per sempre saremo con il Signore!» …
E’ il pensiero di quel ‘dopo’, che dovrebbe sostenerci nel diventare persone serie, veri cristiani, cristiani santi.
Antonio Riboldi – Vescovo
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