Commento a cura di don Angelo Sceppacerca"il regno dei cieli è simile a..."
Commento su Matteo 22,1-14
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/10/2014)
Indicando un paragone ("il regno dei cieli è simile a..."), la parabola può essere considerata come una provocazione, un forte appello. In questa, il regno dei cieli è simile "a un re che fa un banchetto di nozze per suo figlio". È simile, non ad un re, né ad un banchetto di nozze in sé, né ad un figlio di re che si sposa... È simile a tutto quanto preso insieme. Dunque è simile al
rapporto d'amore fra il re e suo figlio, da cui deriva il desiderio del padre di fare festa. Il regno dei cieli è simile ad una festa che nasce dal cuore amante di un Padre per suo figlio. Il regno dei cieli non è una "cosa", né un "luogo", è una relazione di amore che apre alla gioia e alla comunione.
Il re ha dei "servi" che "manda" (da cui "apostolo") a portare il suo invito. Il re agisce attraverso i suoi servi. E di questi servi egli ne ha molti. Essi sono obbedienti e fedeli, non parlano, ma fanno la parola che hanno ricevuto. Essi agiscono "in personam regis", come fossero la persona stessa del re. Ai suoi servi il re è affezionato, gli insulti e il male fatto a loro li ritiene fatti a se stesso, e risponde con la stessa indignazione. Questi servi sono certamente i profeti e gli uomini di Dio che il Padre ha inviato durante la storia di Israele a rivelare il suo volto di comunione, ma sono anche i missionari di oggi, gli "apostoli", cioè i "mandati", ad annunciare a tutti che "il regno dei cieli è vicino". Sono coloro che portano fino agli estremi confini della terra l'invito alla festa che è per tutti gli uomini. Le caratteristiche di questi servi sono un compendio di virtù missionarie: obbedienza, perseveranza, fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, fino al dono della vita.
"Tutto è pronto", al compimento del disegno del Padre manca solo l'assenso degli invitati/chiamati, manca solo la loro presenza, la loro risposta. Vi è una fortissima discrepanza fra la disponibilità del re e la totale indisponibilità degli invitati; fra la prodigalità del padre e l'egoismo degli altri; ma il culmine è raggiunto con la persecuzione e l'uccisione dei profeti, prefigurazione della passione del Figlio di Dio. Ma la festa non dipende dagli invitati, la festa è nella volontà del re e comunque si farà; lo proclama l'ultimo libro della Rivelazione: "Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello", e Dio è fedele per sempre.
"Tutti quelli che troverete" hanno "diritto" di essere invitati; questo diritto glielo conferisce l'amore del padre per suo figlio. Chiunque è chiamato dal re, buono o cattivo, diventa per il fatto di essere eletto un uomo "beato", felice perché può partecipare della bontà di Dio.
"E la sala si riempì di commensali". Solo uno si distingue, perché non indossa la "veste nuziale", la grazia del battesimo. "Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti": è l'insegnamento centrale, una sentenza breve e paradossale. Nessuno può evitare di prendere posizione rispetto alla chiamata. "Buoni e cattivi" sta per "tutti" nel linguaggio semitico.
Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/10/2014)
Indicando un paragone ("il regno dei cieli è simile a..."), la parabola può essere considerata come una provocazione, un forte appello. In questa, il regno dei cieli è simile "a un re che fa un banchetto di nozze per suo figlio". È simile, non ad un re, né ad un banchetto di nozze in sé, né ad un figlio di re che si sposa... È simile a tutto quanto preso insieme. Dunque è simile al
rapporto d'amore fra il re e suo figlio, da cui deriva il desiderio del padre di fare festa. Il regno dei cieli è simile ad una festa che nasce dal cuore amante di un Padre per suo figlio. Il regno dei cieli non è una "cosa", né un "luogo", è una relazione di amore che apre alla gioia e alla comunione.
Il re ha dei "servi" che "manda" (da cui "apostolo") a portare il suo invito. Il re agisce attraverso i suoi servi. E di questi servi egli ne ha molti. Essi sono obbedienti e fedeli, non parlano, ma fanno la parola che hanno ricevuto. Essi agiscono "in personam regis", come fossero la persona stessa del re. Ai suoi servi il re è affezionato, gli insulti e il male fatto a loro li ritiene fatti a se stesso, e risponde con la stessa indignazione. Questi servi sono certamente i profeti e gli uomini di Dio che il Padre ha inviato durante la storia di Israele a rivelare il suo volto di comunione, ma sono anche i missionari di oggi, gli "apostoli", cioè i "mandati", ad annunciare a tutti che "il regno dei cieli è vicino". Sono coloro che portano fino agli estremi confini della terra l'invito alla festa che è per tutti gli uomini. Le caratteristiche di questi servi sono un compendio di virtù missionarie: obbedienza, perseveranza, fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, fino al dono della vita.
"Tutto è pronto", al compimento del disegno del Padre manca solo l'assenso degli invitati/chiamati, manca solo la loro presenza, la loro risposta. Vi è una fortissima discrepanza fra la disponibilità del re e la totale indisponibilità degli invitati; fra la prodigalità del padre e l'egoismo degli altri; ma il culmine è raggiunto con la persecuzione e l'uccisione dei profeti, prefigurazione della passione del Figlio di Dio. Ma la festa non dipende dagli invitati, la festa è nella volontà del re e comunque si farà; lo proclama l'ultimo libro della Rivelazione: "Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello", e Dio è fedele per sempre.
"Tutti quelli che troverete" hanno "diritto" di essere invitati; questo diritto glielo conferisce l'amore del padre per suo figlio. Chiunque è chiamato dal re, buono o cattivo, diventa per il fatto di essere eletto un uomo "beato", felice perché può partecipare della bontà di Dio.
"E la sala si riempì di commensali". Solo uno si distingue, perché non indossa la "veste nuziale", la grazia del battesimo. "Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti": è l'insegnamento centrale, una sentenza breve e paradossale. Nessuno può evitare di prendere posizione rispetto alla chiamata. "Buoni e cattivi" sta per "tutti" nel linguaggio semitico.
Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
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