Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo,"Il Verbo, Sapienza di Dio, si è fatto carne"
(Disc. 117; PL 52, 520-521)
Il beato Apostolo ci ha fatto sapere che due uomini hanno dato principio al genere umano, cioè Adamo e Cristo. Due uomini uguali riguardo al corpo, ma diversi per merito. Somigliantissimi nelle membra, ma quanto mai diversi per la loro stessa origine. «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).
Quel primo fu creato da quest'ultimo, dal quale ricevette l'anima per vivere. Questi si è fatto da se stesso, perché è tale che non potrebbe aspettare la vita da un altro, egli che è il solo a dare a tutti la vita. Quello fu plasmato da vilissimo fango,
questo viene al mondo dal grembo nobilissimo della Vergine. In quello la terra fu trasformata in carne, in questo la carne viene elevata fino a Dio.
E che più? Questo è il secondo Adamo che plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva fatto a sua immagine. C'è un primo Adamo e c'è un ultimo Adamo. Il primo ha un principio, l'ultimo non ha fine. È proprio quest'ultimo infatti ad essere veramente il primo, dal momento che dice: «Sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo» (Is 48, 12).
«Io sono il primo», cioè senza principio; «io sono l'ultimo», perché senza fine. «Non ci fu prima il corpo spirituale», dice l'Apostolo, «ma quello animale, e poi lo spirituale» (1 Cor 15, 46). Certo la terra viene prima del frutto, ma la terra non è tanto preziosa quanto il frutto. Quella richiede lamenti e fatiche, questo dà alimento e vita. Giustamente il profeta si gloria di tal frutto, dicendo: La nostra terra ha dato il suo frutto (cfr. Sal 84, 13). Quale frutto? Evidentemente quello di cui dice altrove: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono» (Sal 131, 11). «Il primo uomo, tratto dalla terra, dice l'Apostolo, è di terra; il secondo uomo, invece, che viene dal cielo, è celeste». E continua: «Quale è l'uomo fatto di terra così sono quelli di terra, ma quale il celeste, così anche i celesti» (1 Cor 15, 47-48). Come mai coloro che non sono nati tali potranno essere trovati celesti, non rimanendo cioè quello che erano quando nacquero, ma continuando ad essere ciò che diventarono quando sono rinati? È questo, fratelli, il motivo per cui lo Spirito celeste con la sua luce divina rende fecondo il fonte verginale. Quelli che la sorgente fangosa aveva messo al mondo nella povera condizione di terrestri, il nuovo fonte li partorisce celesti e li conduce alla somiglianza del loro divino autore. Perciò, ormai rigenerati, ormai riformati ad immagine del nostro creatore, compiamo ciò che comanda l'Apostolo: «Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste» (1 Cor 15, 49).
Rinati ormai a somiglianza di nostro Signore e adottati da Dio come figli, portiamola tutta l'immagine del nostro Autore, portiamola con totale somiglianza, non nella maestà che a lui solo compete, ma in quella innocenza, semplicità, mitezza, pazienza, umiltà, misericordia, pace, con cui si è degnato di diventare come noi ed essere a noi simile.
Il beato Apostolo ci ha fatto sapere che due uomini hanno dato principio al genere umano, cioè Adamo e Cristo. Due uomini uguali riguardo al corpo, ma diversi per merito. Somigliantissimi nelle membra, ma quanto mai diversi per la loro stessa origine. «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).
Quel primo fu creato da quest'ultimo, dal quale ricevette l'anima per vivere. Questi si è fatto da se stesso, perché è tale che non potrebbe aspettare la vita da un altro, egli che è il solo a dare a tutti la vita. Quello fu plasmato da vilissimo fango,
questo viene al mondo dal grembo nobilissimo della Vergine. In quello la terra fu trasformata in carne, in questo la carne viene elevata fino a Dio.
E che più? Questo è il secondo Adamo che plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva fatto a sua immagine. C'è un primo Adamo e c'è un ultimo Adamo. Il primo ha un principio, l'ultimo non ha fine. È proprio quest'ultimo infatti ad essere veramente il primo, dal momento che dice: «Sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo» (Is 48, 12).
«Io sono il primo», cioè senza principio; «io sono l'ultimo», perché senza fine. «Non ci fu prima il corpo spirituale», dice l'Apostolo, «ma quello animale, e poi lo spirituale» (1 Cor 15, 46). Certo la terra viene prima del frutto, ma la terra non è tanto preziosa quanto il frutto. Quella richiede lamenti e fatiche, questo dà alimento e vita. Giustamente il profeta si gloria di tal frutto, dicendo: La nostra terra ha dato il suo frutto (cfr. Sal 84, 13). Quale frutto? Evidentemente quello di cui dice altrove: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono» (Sal 131, 11). «Il primo uomo, tratto dalla terra, dice l'Apostolo, è di terra; il secondo uomo, invece, che viene dal cielo, è celeste». E continua: «Quale è l'uomo fatto di terra così sono quelli di terra, ma quale il celeste, così anche i celesti» (1 Cor 15, 47-48). Come mai coloro che non sono nati tali potranno essere trovati celesti, non rimanendo cioè quello che erano quando nacquero, ma continuando ad essere ciò che diventarono quando sono rinati? È questo, fratelli, il motivo per cui lo Spirito celeste con la sua luce divina rende fecondo il fonte verginale. Quelli che la sorgente fangosa aveva messo al mondo nella povera condizione di terrestri, il nuovo fonte li partorisce celesti e li conduce alla somiglianza del loro divino autore. Perciò, ormai rigenerati, ormai riformati ad immagine del nostro creatore, compiamo ciò che comanda l'Apostolo: «Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste» (1 Cor 15, 49).
Rinati ormai a somiglianza di nostro Signore e adottati da Dio come figli, portiamola tutta l'immagine del nostro Autore, portiamola con totale somiglianza, non nella maestà che a lui solo compete, ma in quella innocenza, semplicità, mitezza, pazienza, umiltà, misericordia, pace, con cui si è degnato di diventare come noi ed essere a noi simile.
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