dom Luigi Gioia"Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze"
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/10/2014)
Vangelo: Mt 22,1-14
Il re di cui parla il vangelo di oggi è il Signore. I servi che egli invia sono in modo particolare
gli apostoli e i loro successori, i ministri della Chiesa, coloro cioè ai quali il Signore, alla fine
del Vangelo di Matteo ha detto: Andate, e di tutte le nazioni fate i miei discepoli. Questo è
l'invito alle nozze. Ma i servi che il Signore invia sono anche tutti i cristiani poiché il battesimo
rende ogni cristiano profeta, cioè rende ogni cristiano annunciatore della Parola.
Gli invitati alle nozze di cui parla questo Vangelo sono tutti gli uomini, tutta l'umanità. Dio
vuole che tutti gli uomini siano salvati - dice la prima lettera a Timoteo. Questo "tutti"
comprende coloro che non hanno mai sentito parlare di Gesù ma anche tutti coloro che ne
hanno sentito parlare solo vagamente ma non lo hanno incontrato come Signore- a tutti
costoro il Signore manda i suoi servi per farne dei discepoli.
In questo stesso vangelo però Gesù ci annuncia anche che questo invito a nozze cioè questo
annuncio della Buona Novella non sarà accettato, anzi, sarà rifiutato, sarà ostacolato.
Colpisce l'insistenza del Signore che non si arrende di fronte al rifiuto degli invitati, ma
rimanda i suoi servi una prima, una seconda e una terza volta. Ma ogni volta vi è un rifiuto o
vi sono reazioni di ostilità, anche estrema, o, infine, c'è un'accettazione - alcune persone
vengono a questo banchetto - ma per molti, o per alcuni, è un'accettazione solo superficiale,
non del cuore, come nel caso di questo invitato che accoglie l'invito, va al banchetto, ma senza
l'abito nuziale, simbolo forse proprio dei tanti battezzati "sociologici", dei tanti cristiani
"nominali", di tutti coloro ai quali manca l'abito nuziale della fede autentica, della fede viva in
Cristo.
Non è difficile applicare questa pagina del Vangelo alla situazione dell'evangelizzazione
odierna, dell'annuncio del Vangelo oggi. Se prendiamo anche solo il caso dell'Italia, le
statistiche più ottimistiche situano la partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale
intorno al 30%, ma sappiamo bene che in tantissimi luoghi, soprattutto nelle grandi città, si
scende al 10% o anche meno. E comunque - come ce lo dice il Vangelo - un conto è andare al
banchetto di nozze, cioè partecipare alla celebrazione eucaristica, ed un altro è avere l'abito di
nozze, cioè una fede viva, una fede autentica.
Di fronte dunque a quello che ci dice il Vangelo e di fronte alla situazione che potremmo
definire preoccupante dell'evangelizzazione oggi, dobbiamo porci tre domande.
La prima domanda è questa: la situazione di crisi dell'evangelizzazione oggi è veramente
anomala, è veramente anormale? Poi dobbiamo chiederci: E' proprio vero che rispetto a
cinquant'anni fa', quando la pratica religiosa era a livelli altissimi, c'è stata una decadenza?
E infine dobbiamo chiederci quali sono le cause di un impatto così minimo dell'annuncio
cristiano?
Cominciamo con la prima domanda: questa crisi dell'evangelizzazione è veramente
anomala? A questo riguardo il Vangelo ci consola. Che l'annuncio del Vangelo sia rifiutato dal
più gran numero di persone come avviene oggi, che solo un piccolo numero di persone creda
e si converta, tutto questo non avviene per caso, non è un problema nuovo, ma era previsto.
Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo: purtroppo tanti saranno quelli che rifiuteranno,
tanti quelli che addirittura vorranno eliminare chi annuncia il messaggio cristiano, che
vorranno discreditarli, marginalizzarli, calunniarli, perché non riusciranno a sopportarlo.
Allora passiamo alla seconda domanda: perché la pratica religiosa era così alta fino a
circa quarant'anni fa, quando per esempio in Italia frequentava non una minoranza, ma la
maggioranza della popolazione? La risposta ce la da ancora il Vangelo di oggi, quando ci dice
che una cosa è essere fisicamente presenti e un'altra è avere l'abito di nozze. Si può
considerare l'abbassamento della pratica religiosa come un indice della perdita di fede, e
probabilmente questo è vero. Ma è altrettanto vero che tanta della pratica religiosa dei tempi
passati era puramente nominale, sociologica, esteriore, e che proprio l'improvviso
abbassamento della pratica religiosa intorno agli anni settanta lo dimostra. Appena la pratica
religiosa ha cessato di essere socialmente obbligatoria, il banchetto è stato immediatamente
disertato da tutti coloro che non avevano l'abito di nozze, da tutti coloro che vi andavano solo
per conformità sociale, per abitudine, ma senza una fede viva, senza una vera conversione del
cuore. In questo senso dunque, lungi dal dover essere interpretata negativamente, la
situazione attuale della pratica religiosa è sicuramente un segno di più grande autenticità dei
cristiani. Chi oggi va in chiesa, lo fa perché davvero crede, perché ha l'abito di nozze della fede.
Ma queste costatazioni non ci dispensano dal doverci porre comunque una terza domanda,
ed è una domanda grave, una domanda difficile: Quali sono le cause di un impatto così
minimo dell'annuncio cristiano? Le costatazioni che abbiamo appena enumerato infatti non
riducono la duplice, gravissima responsabilità di coloro che annunciano il Vangelo e di coloro
che sono invitati ogni volta che vi è rifiuto. Se il cristianesimo oggi, soprattutto nei nostri paesi
occidentali, non cresce più, è prima di tutto perché i ministri del Vangelo, cioè coloro che Gesù
invia, non sono credibili. Questi inviati infatti sono diventati sempre di più i garanti di una
istituzione, sono diventati dei funzionari e hanno cessato di essere "discepoli" autentici. Sono
sempre meno dei servitori autentici della Parola, dei servitori che vivono di questa Parola, che
la meditano giorno e notte e per questo ne diventano annunciatori autentici. Basti pensare
alla povertà della maggior parte delle omelie: l'annuncio è stanco, è insipido; la predicazione
della Parola - purtroppo - è l'ultima delle preoccupazioni di ministri troppo accaparrati da
una struttura che gira sempre più vorticosamente intorno a sé stessa, forse proprio per trovare
un alibi alla propria inefficacia, alla propria incapacità di annunciare efficacemente il Vangelo.
Ma la responsabilità del rifiuto dell'annuncio pesa anche su coloro ai quali esso è rivolto,
sugli invitati a nozze. Questi invitati che - come dice il Vangelo - non se ne curano o vanno
chi al proprio campo, chi ai propri affari. Tante sono le applicazioni possibili di questo dato
rispetto alla società odierna. Ma ad una in particolare ci invita la prima lettura di oggi, che
mette sulla bocca di coloro che credono, questa frase: Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo
sperato, perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato.
Il male del nostro tempo è la crisi della speranza. Non abbiamo più bisogno del Signore.
Non abbiamo più bisogno di sperare in lui, o piuttosto crediamo di non aver più bisogno di
sperare in lui. E questo non perché non soffriamo, non perché la vita non sia dura oggi come
lo era in passato, non perché manchino i problemi, ma perché la nostra cultura si è
specializzata nell'offerta di anestetici che ci fanno dimenticare la nostra sofferenza, i nostri
problemi, le nostre paure, grazie ai mille piaceri offerti dal benessere che ci circonda. Grazie
alle consolazioni effimere del comprare per comprare, grazie alla televisione o a internet, in
cui immergersi per dimenticare se stessi e per passare il tempo, o grazie al divertimento
costante, ogni volta che c'è un attimo libero siamo dispensati dal pericolo di dover affrontare
il vuoto interiore di una vita senza speranza.
Gesù, nel vangelo di oggi, non termina su una nota positiva, ma sul pianto e sullo stridore
di denti nelle tenebre. Queste tenebre, questo pianto, sono appunto quelli di una vita senza il
Signore, senza la sua luce, senza la sua consolazione. Solo lui infatti asciuga le lacrime dai
nostri volti. Solo lui ci nutre di un cibo che davvero ci sfama.
Accettiamo l'invito del Signore, questo invito ripetuto, questo invito che mai si stanca di
rivolgerci, anche quando siamo distratti, anche quando noi stessi non lo accettiamo.
Accettiamo questo invito e lasciamoci condurre dal Signore alle acque tranquille della pace
che lui solo può dare.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto e si dirà in quel giorno:
Ecco il nostro Dio. In lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato. Rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza
Vangelo: Mt 22,1-14
Il re di cui parla il vangelo di oggi è il Signore. I servi che egli invia sono in modo particolare
gli apostoli e i loro successori, i ministri della Chiesa, coloro cioè ai quali il Signore, alla fine
del Vangelo di Matteo ha detto: Andate, e di tutte le nazioni fate i miei discepoli. Questo è
l'invito alle nozze. Ma i servi che il Signore invia sono anche tutti i cristiani poiché il battesimo
rende ogni cristiano profeta, cioè rende ogni cristiano annunciatore della Parola.
Gli invitati alle nozze di cui parla questo Vangelo sono tutti gli uomini, tutta l'umanità. Dio
vuole che tutti gli uomini siano salvati - dice la prima lettera a Timoteo. Questo "tutti"
comprende coloro che non hanno mai sentito parlare di Gesù ma anche tutti coloro che ne
hanno sentito parlare solo vagamente ma non lo hanno incontrato come Signore- a tutti
costoro il Signore manda i suoi servi per farne dei discepoli.
In questo stesso vangelo però Gesù ci annuncia anche che questo invito a nozze cioè questo
annuncio della Buona Novella non sarà accettato, anzi, sarà rifiutato, sarà ostacolato.
Colpisce l'insistenza del Signore che non si arrende di fronte al rifiuto degli invitati, ma
rimanda i suoi servi una prima, una seconda e una terza volta. Ma ogni volta vi è un rifiuto o
vi sono reazioni di ostilità, anche estrema, o, infine, c'è un'accettazione - alcune persone
vengono a questo banchetto - ma per molti, o per alcuni, è un'accettazione solo superficiale,
non del cuore, come nel caso di questo invitato che accoglie l'invito, va al banchetto, ma senza
l'abito nuziale, simbolo forse proprio dei tanti battezzati "sociologici", dei tanti cristiani
"nominali", di tutti coloro ai quali manca l'abito nuziale della fede autentica, della fede viva in
Cristo.
Non è difficile applicare questa pagina del Vangelo alla situazione dell'evangelizzazione
odierna, dell'annuncio del Vangelo oggi. Se prendiamo anche solo il caso dell'Italia, le
statistiche più ottimistiche situano la partecipazione alla celebrazione eucaristica domenicale
intorno al 30%, ma sappiamo bene che in tantissimi luoghi, soprattutto nelle grandi città, si
scende al 10% o anche meno. E comunque - come ce lo dice il Vangelo - un conto è andare al
banchetto di nozze, cioè partecipare alla celebrazione eucaristica, ed un altro è avere l'abito di
nozze, cioè una fede viva, una fede autentica.
Di fronte dunque a quello che ci dice il Vangelo e di fronte alla situazione che potremmo
definire preoccupante dell'evangelizzazione oggi, dobbiamo porci tre domande.
La prima domanda è questa: la situazione di crisi dell'evangelizzazione oggi è veramente
anomala, è veramente anormale? Poi dobbiamo chiederci: E' proprio vero che rispetto a
cinquant'anni fa', quando la pratica religiosa era a livelli altissimi, c'è stata una decadenza?
E infine dobbiamo chiederci quali sono le cause di un impatto così minimo dell'annuncio
cristiano?
Cominciamo con la prima domanda: questa crisi dell'evangelizzazione è veramente
anomala? A questo riguardo il Vangelo ci consola. Che l'annuncio del Vangelo sia rifiutato dal
più gran numero di persone come avviene oggi, che solo un piccolo numero di persone creda
e si converta, tutto questo non avviene per caso, non è un problema nuovo, ma era previsto.
Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo: purtroppo tanti saranno quelli che rifiuteranno,
tanti quelli che addirittura vorranno eliminare chi annuncia il messaggio cristiano, che
vorranno discreditarli, marginalizzarli, calunniarli, perché non riusciranno a sopportarlo.
Allora passiamo alla seconda domanda: perché la pratica religiosa era così alta fino a
circa quarant'anni fa, quando per esempio in Italia frequentava non una minoranza, ma la
maggioranza della popolazione? La risposta ce la da ancora il Vangelo di oggi, quando ci dice
che una cosa è essere fisicamente presenti e un'altra è avere l'abito di nozze. Si può
considerare l'abbassamento della pratica religiosa come un indice della perdita di fede, e
probabilmente questo è vero. Ma è altrettanto vero che tanta della pratica religiosa dei tempi
passati era puramente nominale, sociologica, esteriore, e che proprio l'improvviso
abbassamento della pratica religiosa intorno agli anni settanta lo dimostra. Appena la pratica
religiosa ha cessato di essere socialmente obbligatoria, il banchetto è stato immediatamente
disertato da tutti coloro che non avevano l'abito di nozze, da tutti coloro che vi andavano solo
per conformità sociale, per abitudine, ma senza una fede viva, senza una vera conversione del
cuore. In questo senso dunque, lungi dal dover essere interpretata negativamente, la
situazione attuale della pratica religiosa è sicuramente un segno di più grande autenticità dei
cristiani. Chi oggi va in chiesa, lo fa perché davvero crede, perché ha l'abito di nozze della fede.
Ma queste costatazioni non ci dispensano dal doverci porre comunque una terza domanda,
ed è una domanda grave, una domanda difficile: Quali sono le cause di un impatto così
minimo dell'annuncio cristiano? Le costatazioni che abbiamo appena enumerato infatti non
riducono la duplice, gravissima responsabilità di coloro che annunciano il Vangelo e di coloro
che sono invitati ogni volta che vi è rifiuto. Se il cristianesimo oggi, soprattutto nei nostri paesi
occidentali, non cresce più, è prima di tutto perché i ministri del Vangelo, cioè coloro che Gesù
invia, non sono credibili. Questi inviati infatti sono diventati sempre di più i garanti di una
istituzione, sono diventati dei funzionari e hanno cessato di essere "discepoli" autentici. Sono
sempre meno dei servitori autentici della Parola, dei servitori che vivono di questa Parola, che
la meditano giorno e notte e per questo ne diventano annunciatori autentici. Basti pensare
alla povertà della maggior parte delle omelie: l'annuncio è stanco, è insipido; la predicazione
della Parola - purtroppo - è l'ultima delle preoccupazioni di ministri troppo accaparrati da
una struttura che gira sempre più vorticosamente intorno a sé stessa, forse proprio per trovare
un alibi alla propria inefficacia, alla propria incapacità di annunciare efficacemente il Vangelo.
Ma la responsabilità del rifiuto dell'annuncio pesa anche su coloro ai quali esso è rivolto,
sugli invitati a nozze. Questi invitati che - come dice il Vangelo - non se ne curano o vanno
chi al proprio campo, chi ai propri affari. Tante sono le applicazioni possibili di questo dato
rispetto alla società odierna. Ma ad una in particolare ci invita la prima lettura di oggi, che
mette sulla bocca di coloro che credono, questa frase: Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo
sperato, perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato.
Il male del nostro tempo è la crisi della speranza. Non abbiamo più bisogno del Signore.
Non abbiamo più bisogno di sperare in lui, o piuttosto crediamo di non aver più bisogno di
sperare in lui. E questo non perché non soffriamo, non perché la vita non sia dura oggi come
lo era in passato, non perché manchino i problemi, ma perché la nostra cultura si è
specializzata nell'offerta di anestetici che ci fanno dimenticare la nostra sofferenza, i nostri
problemi, le nostre paure, grazie ai mille piaceri offerti dal benessere che ci circonda. Grazie
alle consolazioni effimere del comprare per comprare, grazie alla televisione o a internet, in
cui immergersi per dimenticare se stessi e per passare il tempo, o grazie al divertimento
costante, ogni volta che c'è un attimo libero siamo dispensati dal pericolo di dover affrontare
il vuoto interiore di una vita senza speranza.
Gesù, nel vangelo di oggi, non termina su una nota positiva, ma sul pianto e sullo stridore
di denti nelle tenebre. Queste tenebre, questo pianto, sono appunto quelli di una vita senza il
Signore, senza la sua luce, senza la sua consolazione. Solo lui infatti asciuga le lacrime dai
nostri volti. Solo lui ci nutre di un cibo che davvero ci sfama.
Accettiamo l'invito del Signore, questo invito ripetuto, questo invito che mai si stanca di
rivolgerci, anche quando siamo distratti, anche quando noi stessi non lo accettiamo.
Accettiamo questo invito e lasciamoci condurre dal Signore alle acque tranquille della pace
che lui solo può dare.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto e si dirà in quel giorno:
Ecco il nostro Dio. In lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato. Rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza
Commenti
Posta un commento