don Alberto Brignoli "Il Vangelo della Gioia, missione della Chiesa"

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/10/2014)
Vangelo: Mt 22,15-21 
La figura di papa Francesco, da quando abbiamo iniziato a conoscerla, suscita in ognuno di noi, credenti e no, sensazioni e sentimenti molto belli e profondi, e non credo sia esagerato affermare che ha riacceso in tante persone il desiderio delle cose di Dio e soprattutto la gioia di credere. Perché ho iniziato la riflessione di questa domenica ricordando papa Francesco? Perché il tradizionale messaggio che egli ha scritto in occasione di questa Giornata Missionaria Mondiale è totalmente pervaso proprio dal sentimento che ho ricordato
poco fa: la gioia del credere, la gioia di essere cristiani. Questo messaggio, promulgato già la domenica di Pentecoste di quest'anno, è il primo suo a carattere missionario scritto successivamente all'Esortazione Apostolica "Evangelii Gaudium - La gioia del Vangelo", giustamente considerata come il suo programma pastorale, il suo vademecum del Buon Pastore e del Buon Cristiano. Il messaggio di questa giornata - ma in generale tutta la predicazione e gli atteggiamenti di Papa Francesco - è un inno al "Vangelo della Gioia": il cristiano è mandato ad annunciare a tutti che il Vangelo è l'esaltazione della gioia, che il Vangelo è gioia vera. E dopo i numerosi passaggi che descrivono la bellezza e la gioia di annunciare il Vangelo, Francesco termina con una delle sue frasi a maggior effetto, applicata pure in precedenza ad altri aspetti della nostra vita di cristiani: "Non lasciamoci rubare la gioia dell'evangelizzazione!". Se quindi dovessimo sintetizzare in una frase l'idea di missione che il papa consegna quest'anno alla Chiesa Universale, potremmo dire che missione, oggi, è annunciare la gioia.
Ritengo questo, un tema di grande attualità, soprattutto perché di gioia, in giro, se ne vede gran poca, in ogni parte del mondo. Dalla piccola realtà della nostra vita di ogni giorno, fino ad arrivare alle grandi sofferenze dell'umanità, le situazioni in cui la gioia è latente, se non totalmente assente, sono davvero molte. Questa crisi economica che prima era una cosa che riguardava solo le borse e le finanze, e che abbiamo irriso dicendo che non ci avrebbe mai toccati, ora lascia a casa dal lavoro il 13% degli italiani, e soprattutto 5 giovani su 10, ai quali parlare di gioia pensando al loro futuro suona da presa in giro. Così come c'è ben poca gioia se pensiamo alla situazione di molte famiglie e coppie in Italia (130.000 all'anno le cause di separazione e di divorzio, il 40% dei matrimoni), di fronte alle quali la Chiesa si interroga con il Sinodo sulla Famiglia, che è una cosa bella e profonda, espressione della fecondità e della ricchezza dello Spirito, ma di certo non basta a ridare speranza e soprattutto ad accompagnare quotidianamente chi fatica a vivere insieme: non bastano e non servono risposte intellettuali, occorre accompagnamento e vicinanza concreta, ogni giorno.
Poca è la gioia in un mondo, dove la secolare e storica invocazione delle rogazioni "A peste, fame et bello, libera nos, Domine", ("O Signore, liberaci dalla peste, dalla fame e dalla guerra") non è mai stata così attuale. La fame colpisce ancora 840 milioni di persone in tutto il mondo (quasi il 20% della popolazione mondiale), anche perché il 20% dell'umanità detiene ingiustamente il 75% delle risorse del pianeta. E non pensiamo che sia una cosa solo dei paesi in via di sviluppo, visto che il Banco Alimentare in Italia lo scorso anno ha distribuito oltre un milione e mezzo di colazioni a bambini italiani che arrivavano a scuola a stomaco vuoto per via delle difficoltà economiche delle loro famiglie.
La pace sulla terra è ancora un sogno, poiché attualmente rimangono attivi 64 conflitti armati nel mondo: lo scorso anno, 95 mila vittime solamente tra i civili. La peste, oggi, si chiama ebola: e non abbiamo ancora sufficienti dati statistici per capire la spaventosità di questa malattia virale, che non riesce ad essere sconfitta perché mancano i fondi necessari per sperimentare la validità di un vaccino, e perché comunque la vendita del vaccino non sarebbe economicamente rilevante al punto da coprire le spese investite per la ricerca. Insomma, nessuno se la sente di fare da "benefattore", il vaccino si produce solo se poi "rende".
Ecco, questi sono i dati statistici della "gioia" nel mondo, cui vanno aggiunti altri dati, purtroppo non verificabili statisticamente: ossia, quelli della mancanza di gioia nelle persone che non entrano nelle statistiche della povertà, perché hanno tutto, ma veramente tutto, anzi spesso anche troppo, e forse per questo sono assolutamente infelici, anche se se la spassano tutte le volte che vogliono. La missione della Chiesa, oggi, si rivolge in maniera globale a tutte queste persone e situazioni alla quale è chiamata ad annunciare il Vangelo della gioia. Un Vangelo da annunciare "lontano" (come continuano a fare i quasi 9.000 missionari e missionarie italiani sparsi in tutto il mondo), ma anche "ai lontani", a coloro che vivono a pochi passi da una chiesa eppure si sentono distanti da ogni riferimento comunitario, ecclesiale, religioso e di senso. Anche su questo rifletterà la nostra Chiesa Italiana, che tra meno di un mese si radunerà nel IV Convegno Missionario Nazionale della sua storia. Parafrasando il vangelo di oggi, sarà l'opportunità perché venga restituito alla Chiesa ciò che è della Chiesa, ossia - appunto - la missione di annunciare il Vangelo della gioia. Come? Questo dipende solo da lei. Solo la Chiesa è in grado di riprendersi ciò che è suo, ossia annunciare la gioia a chi non ce l'ha. A partire dalle situazioni che abbiamo elencato.
Vogliamo una Chiesa che non si lasci rubare la gioia e la speranza. Una Chiesa che di fronte alla crisi economica non la smetta mai di fare elemosina e carità, a costo di sentirsi dire che è "assistenzialista"; una Chiesa che se proprio non può creare posti di lavoro per i disoccupati, che abbia almeno il buon senso di evitare atteggiamenti lussuosi o di ostentare una ricchezza di strutture e di mezzi che spesso grida vendetta al cospetto di Dio; una Chiesa che non faccia solo della teoria intorno alla bellezza della famiglia fondata sul matrimonio, ma inizia a mostrare un'immagine di accoglienza e di dialogo verso ogni modello familiare ed affettivo, senza pregiudizi o condanne, né facili ed accattivanti proclami populistici che poi si rivelano non sinceri; una Chiesa nella quale (come dice la prima lettura) "si aprano i battenti delle porte e nessun portone rimanga chiuso per nessuno"; una Chiesa "di periferia" che continui ad uscire verso altri paesi, altre culture, altre situazioni dove la fame, la guerra e la malattia hanno bisogno di sostegno e non solo di compassione, di denuncia profetica e non di connivenza col potere, di testimonianza fino al martirio, se necessario, e non di comoda chiusura nell'ovattata comodità di un cristianesimo "culturale", "da salotto".
Termino con alcune citazioni di Papa Francesco sulla Chiesa in missione. Una Chiesa che fa missione "non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. Certo, se uno va fuori, come quando va in strada, può succedere un incidente: ma io vi dico che preferisco mille volte una Chiesa incidentata che una Chiesa malata di chiusura".
Una Chiesa missionaria così, è bella da abitare e da vivere: e questo è il Vangelo della gioia.

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