don Alberto Brignoli "Una fede messa alla prova

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/10/2014)
Vangelo: Mt 22,34-40 
"Un dottore della Legge lo interrogò per metterlo alla prova": questo atteggiamento, con cui il soggetto si presenta davanti a Gesù nel vangelo di questa domenica, mi fa un po' sorridere... Mi fa sorridere innanzitutto perché ci vuole un bel coraggio, tutto sommato, per "mettere alla prova" Gesù: tanto più che quest'ultimo "tranello" viene alla conclusione di un capitolo, il ventiduesimo del Vangelo di Matteo, in cui diverse categorie
di autorità del popolo hanno provato, con diverse e più o meno intriganti strategie, a cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Probabilmente urtati dalla parabola degli invitati a nozze che rifiutano l'invito, le autorità del tempo provano in tutti i modi a prendersi una rivincita per screditare Gesù di fronte alla gente nella sua pretesa di farsi "profeta" e leader religioso. E allora, prima ci provano con un'insidiosa domanda di politica economica (il vangelo di domenica scorsa, quello in cui i farisei e gli erodiani cercano di ottenere da Gesù alcuni elementi di "teologia dell'evasione fiscale" che li autorizzino a ribellarsi al potere di Roma in nome di una autonomia politica che poi, in realtà, fa comodo pure a loro se rimane sottomessa a Roma, visti i benefici che ne ricevevano dall'imperatore...); poi - questo nelle letture domenicali non è stato letto - si presentano i sadducei che si prendono gioco della risurrezione dei morti (nella quale non credevano) con un assurdo caso di una donna sposa di sette fratelli morti uno dopo l'altro, che in paradiso potrebbero tutti avanzare pretese nei confronti della donna come loro moglie. Alla fine del capitolo sarà Gesù che farà una domanda un po' intrigante a tutta questa gente, ed ottenendo da loro un silenzio assoluto, li farà allontanare tutti: questo fuggifuggi generale delle autorità lascia il campo libero a Gesù, nel capitolo 23 di Matteo, per un discorso alle folle in cui lancia una serie di invettive e di maledizioni nei confronti delle autorità religiose del suo tempo, fondamentalmente per la loro ipocrisia, per la quale si proclamano e amano farsi chiamare "maestri", opprimendo la gente sotto il peso di una Legge che loro per primi non sono assolutamente capaci di rispettare.
Ma prima, ci sta il brano di Vangelo di quest'oggi, dove l'ultimo assalto per tentare di far cadere Gesù avviene, in maniera quasi assurda, sui fondamentali della Legge: "Qual è il grande comandamento?". Una domanda quasi assurda, dicevo, perché anche il più piccolo tra i bambini d'Israele sapeva rispondere con lo "Shemà Israel", preghiera mattutina e serale di ogni pio ebreo, che conteneva proprio questa verità di fede: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Per fare un paragone che ci aiuti a comprendere meglio, rivolgere questa domanda a Gesù è come se chiedessimo a un prete: "Scusa, mi sapresti recitare il Padre Nostro..?". La domanda, fatta per trarre in inganno, è banale fino a un certo punto: i farisei e i dottori della Legge ritenevano che la salvezza passasse attraverso l'osservanza di tutti i 613 precetti della Legge di Mosè. Affermarne uno solo, per quanto fosse il più importante, voleva dire escludere gli altri e quindi, secondo loro, rimanere fuori dall'ortodossia della fede ebraica. Se, ad ogni modo, qualche elemento di banalità permane nella domanda "tranello" del dottore della Legge, la seconda parte della risposta di Gesù è tutt'altro che banale: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".
Nessuno gliene aveva chiesto conto, eppure Gesù ha voluto far capire che 613 precetti acquistavano senso in due soli principi: amore a Dio e amore ai fratelli, inscindibili, assoluti, necessari, e soprattutto sufficienti alla salvezza. "Sufficienti" non nel senso di semplici o superficiali, ma nel senso di essenziali: al punto che tutti gli altri precetti, senza questi due, non servono a nulla. Prova ne è il fatto che al capitolo successivo, quello delle invettive ai farisei, Gesù dice loro chiaramente: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle". Ossia, serve a ben poco essere uno stretto osservante delle norme, anche le più microscopiche, se poi ci si perde sui principi fondamentali: giustizia, rispetto, amore, fedeltà, sincerità...
Cerchiamo di declinare questi insegnamenti nel nostro vissuto cristiano di ogni giorno. Sì, è proprio il caso di parlare di "vissuto cristiano", ossia di quella dimensione della nostra fede che si fa testimonianza e che spesso rimane latente perché nascosta dietro un'altra preoccupazione: quella dell'identità cristiana. Ed è su queste due realtà che il Signore ci mette alla prova, molto più duramente di quanto i farisei abbiano fatto con lui. La nostra fede è messa alla prova, è provata nella sua veridicità, proprio sulla forza del suo "vissuto", decisamente più importante rispetto alla sua identità. In tutte le salse immaginabili e possibili, Gesù ha sempre insegnato che la fede non è fatta di osservanza formale e legalista dei precetti, ma di concreti ed evidenti segni di amore verso Dio e verso il prossimo.
La fede non si deve preoccupare di dire "chi è", ma di essere vissuta e testimoniata. La fede non è fatta innanzitutto di norme e comportamenti (anch'essi da praticare) ma principalmente di annuncio gioioso dell'incontro con il Risorto. La fede non è questione di difesa strenua e ad oltranza dei privilegi acquisiti e dei valori non negoziabili (qualora ve ne siano), ma è accompagnamento paziente e misericordioso, è ricerca comunitaria della verità, è cammino lungo le strade del mondo in compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo senza giudizi e senza condanne.
La fede non è, in definitiva, un sigillo, un marchio, un timbro apposto su un certificato cumulativo di battesimo-cresima-comunione e matrimonio cristiano: è amore a Dio e ai fratelli sopra ogni cosa. A costo di essere messi da parte, o ancora peggio, "messi alla prova" dai farisei di turno che, insieme al potere e all'autorità, pretendono di detenere anche il primato sulle coscienze.

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