don Marco Pedron" Rendi il suo onore e valore ad ogni essere"
XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Vangelo: Mt 22,15-21
Gesù in Mt si trova nel tempio tre volte e ogni volta la situazione è di conflitto.
Nella prima è il diavolo che porta Gesù sul punto più alto del tempio per tentarlo (Mt 4,5-7). Nel pinnacolo del tempio il diavolo tenta Gesù. Il diavolo conosce bene i luoghi sacri, li frequenta e vi porta anche Gesù! Perché un luogo sia sacro non vuol dire che sia inviolato dal "male" o da satana.
Nella seconda Gesù entra nel tempio e "fa il disastro": "scacciò, infatti, tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere" (Mt
21,12-17). Perché un luogo sacro non è detto che sia dedicato a Dio; a volte lo è ad altri interessi.
Nella terza Gesù entra nel tempio e i sommi sacerdoti e gli anziani cercano di screditarlo sull'autorità per cui egli agisce, annuncia e guarisce (Mt 21,23-27). Gli chiedono: "Con quale autorità fai questo? Chi te l'ha data?". E Gesù: "Vi faccio anch'io una domanda: il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?". E siccome loro non possono rispondere, neanche Gesù risponde. Infatti, se avessero risposto: "Dal cielo", Gesù gli avrebbe detto: "E perché non gli avete creduto". Ma se avessero risposto: "Dagli uomini", avrebbero avuto della folla che lo considerava un profeta. Il luogo sacro a volte non è il luogo della verità ma il luogo dove si vela, si ferma, la verità.
Tutto questo è pericoloso: Gesù dev'essere fermato in qualunque modo perché scredita l'istituzione. Quando poi Gesù arriva a dire: "I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno dei cieli" (Mt 21,31), beh questo è davvero troppo!
Per questo il vangelo di oggi inizia dicendo: "I "piissimi" farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi" (Mt 22,15). Bisogna fermarlo! E sono tutti d'accordo su questo: infatti vanno da lui i farisei insieme agli erodiani. Ma dire erodiani e farisei era come dire ebrei e palestinesi, comunisti e fascisti, americani e talebani. Gli erodiani erano per i farisei quello che i farisei erano per i nazisti: gente da sterminare. Qui però hanno un nemico in comune: Gesù. E il nemico del mio nemico, è un mio amico!
L'inizio è un elogio esagerato, adulatorio, un incensamento ostentato: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia nessuno" (Mt 22,16). C'è un eccesso e ogni eccesso nasconde il suo contrario. Il proverbio dice: "Chi t'accarezza più di quel che suole, o t'ha ingannato, o ingannar ti vuole". E ancora: "Chi ti adula ti tradisce" e "chi ti loda in presenza, ti biasima in assenza".
Infatti Gesù risponderà loro: "Perché mi tentate?". Gesù li definisce come satana. Questa stessa parola la ritroviamo nelle tentazioni: Gesù definisce così Satana, il Tentatore (Mt 4,3) e loro sono proprio così.
Si rivolgono a Gesù con un imperativo che non ammette discussioni: "Dì a noi: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?" (Mt 22,17). Gesù deve manifestare il suo pensiero sui romani.
La trappola è ben congegnata: qualunque risposta gli si ritorcerà contro. Se Gesù dice di "sì", cioè se è favorevole al pagamento delle tasse, sarà accusato di infedeltà verso il Signore, l'unico che dev'essere servito (Dt 6,4-13).
Se Gesù dice di "no", cioè se non è favorevole al pagamento delle tasse, si mette contro i romani e quelli che si mettevano contro i romani, in questo ambito, facevano una veloce e sicura fine (At 5,37), come Giuda il Galileo.
Gesù è incastrato. Se Gesù rimane a questo livello qualunque risposta è perdente. In queste situazioni bisogna cambiare il livello della risposta. Ci avevano già provato con domande senza risposta: "Con quale autorità fai questo (predichi, agisci, guarisci)?". Qualunque risposta era perdente. E Gesù infatti non risponde direttamente ma porta la questione su di un livello più profondo: "Vi farò anche'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anch'io". Ma la domanda che Gesù fa è uguale a quella che gli pongono: non ha risposta! Qualunque risposta infatti si ritorcerà contro di loro.
C'è una storia che spiega bene questo. Un omone va da un grande saggio per metterlo in difficoltà, con un uccellino tra le sue grandi e possenti mani. E dice al saggio: "E' vivo o è morto?". Il saggio pensa tra sé: "Se dico che è vivo, lui con le grandi mani che ha, con un movimento impercettibile me lo uccide". Ma se dico che è morto, lui apre la mano e l'uccellino vola via. "Allora saggio, è vivo o è morto?". E il saggio: "Come vuoi tu!".
Avesse detto sì o no, avrebbe perso in ogni caso. La soluzione si trova passando ad un livello superiore. E' quello che diceva Einstein: "Ogni soluzione di un problema si trova ad un livello diverso del problema" e che dice Assagioli: "Ogni problema ha sempre una soluzione, solo che è ad un livello più alto".
Ogni cosa ha una soluzione ma spesso non sullo stesso piano del problema. Esempio: ad un uomo "non sta in tasca" che sua figlia, proprio sua figlia, non sia andata, al giorno d'oggi, all'università, lui che è professore universitario. E' superabile il problema? Certo, ma se lui vuole che lei faccia quello che lui vuole allora il problema non è superabile. Ma come è superabile il problema salendo di piano? Accettando! Dal piano materiale (fa quello che voglio io) a quello interiore (accetto anche se non è come io desidero).
Esempio: un uomo è terrorizzato dal futuro. Se rimane sul piano materiale (dieta, controllo su ogni pericolo, supersportivo per tenersi in forma, ecc.), non c'è soluzione alla sua paura. Deve passare ad un livello superiore: la fede. La fiducia che la morte non è l'ultima parola della Vita. Se fa questo salto può vivere la vita senza terrore e non sulla difensiva.
E Gesù sale di livello: dal piano materiale al piano interiore.
Gesù dice: "Mostratemi la moneta del tributo" (Mt 22,19). La moneta che gli presentano è un denaro d'argento, l'imperatore viene raffigurato come un Dio. Da una parte vi era la testa dell'imperatore con l'iscrizione "Tiberio Cesare, figlio del divino Augusto, Pontefice Massimo" e nel retro era raffigurata la madre di Tiberio, Livia, come dea della pace. La moneta rappresentava il potere dominante: dove arrivavano le monete, lì arrivava il potere e il dominio dell'imperatore.
Gliela mostrano e Gesù chiede: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?" (Mt 22,20). Gli rispondono: "Di Cesare". E Lui: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". (Mt 22,21). E usa il verbo "restituire" (apo-didomi), che non è il verbo "dare" (didomi) che loro hanno usato (Mt 22,17).
Cosa vuol dire questa frase?
I farisei e tutti i giudei avrebbero voluto non restituire a Cesare quello che è di Cesare: avrebbero, cioè voluto non pagare le tasse per l'imperatore, ma non potevano. E, invece, devono farlo. Sì, devono restituire all'imperatore quello che è dell'imperatore (le monete).
Ma la questione più vera, per Gesù, è un'altra. Perché a Dio devono restituire quello di cui si sono impossessati ("e a Dio quello che è di Dio"): il popolo.
Non solo devono regolare i conti con l'imperatore ma anche con Dio. Si sono impadroniti del popolo, lo hanno condotto in schiavitù con regole false e lo tengono in mano con il pretesto della religione, annunciando un Dio che non è il vero Dio. I ministri di Dio devono rendere conto a Dio di cosa ne hanno fatto di Lui. Perché ridurre Dio ai nostri pensieri o alla nostra testa, è una bestemmia. Gesù li guarda e dice: "Avete ridotto Dio ai vostri schemi e alle vostre regole. Ma Dio non è così". E dovrete rendere conto.
E per assurdo, ma è vero, fu Gesù stesso ad essere condannato di bestemmia (Mc 14,64).
Le due chiavi del racconto sono la domanda e la risposta di Gesù.
La domanda: "Di chi è quest'immagine?". L'immagine richiama il costruttore e l'appartenenza. L'immagine di Cesare ricorda che questa moneta è (viene) da Cesare: appartiene a lui. L'immagine fisica di somiglianza a tuo padre e a tua madre ti ricorda che vieni da lì: appartieni a quella famiglia. L'immagine della razza ti ricorda da quale popolo appartieni: appartieni a questa cultura.
Ma nella Bibbia si dice che tu sei fatto ad "immagine e somiglianza di Dio" (Gen 1,26): tu appartieni a Lui. Questo è il grande dramma della vita: perdere, dimenticare, la nostra vera e più profonda appartenenza. Io appartengo a Lui: mio Padre è Dio e mia madre è la Vita.
Guardate vostra moglie/marito e ditele la verità: "Io non sono tuo!". Stiamo insieme, c'è un progetto, una comunione, una condivisione, una creazione comune (figli) ma tu non sei mia e io non sono tuo.
Guardate i vostri figli e ascoltate la loro verità: "Io papà, io mamma, sono grato a voi per tutto ciò che mi date. Ma io non sono vostro, io non vi appartengo, io non vi devo niente".
Guardate i vostri amici e ditegli: "Sono grato che ci siate nella mia esistenza. Ma io non sono vostro: non possedetemi perché non ne avete diritto e non lo permetterò; non dominatevi, non invadetemi, non pretendete, non abbiate rivendicazioni. Ciò che ci diamo sarà un dono d'amore, gratuito, perché non vi devo niente e non mi dovete niente".
Guardate la vostra religione e ditele: "Ti ringrazio per ciò che mi dai e per la possibilità di mettermi in contatto con l'Altissimo, ma lasciami libero. Non sono tuo: appartengo a qualcuno di molto più in alto di te".
Fatelo con tutte le persone e le cose importanti della vita, dite loro: "Io non sono tuo". All'inizio vi sentirete molto vuoti, ma poi vi sentirete tremendamente liberi.
Guardate Dio e ditegli: "Io sono tuo e di nessun altro". Non dimenticare la tua origine; non dimenticare che sei figlio delle stelle, che l'universo è la tua casa, la luna tua sorella e il sole tuo fratello. Non dimenticare che nella tua parte più profonda tu porti l'immagine di Dio.
Ci hanno fatto chiudere gli occhi e ci hanno detto: "Vi dirò una parola e voi visualizzate la prima immagine che vi viene in mente. La parola è "tutto"". Ciò che avete visto è il vostro Dio. Fa' che solo Dio sia Dio. Nessun altro! "Non avrai altro Dio all'in fuori di me": nessun altro!
Quando guardi tuo figlio di due mesi, cosa provi? Non percepisci da dove vieni? Non senti per cosa sei fatto? Come puoi dimenticarti qual è la tua vera essenza?
Quando sei di fronte ad una serata di stelle e guardi il cielo meraviglioso: non ti viene in mente da dove vieni? Non ti senti in comunione con tutte quelle luci? Non senti la nostalgia di casa? Non senti una nostalgia di cose grandi, immense? O sei morto dentro?
Ti capita mai in certi giorni di vedere il sole nel volto della tua amata? Ti succede mai di vedere la luce splendere negli occhi di chi ami? Ti succede mai di essere pieno, quasi gonfio da quant'è la felicità e di sentire chiaramente per cosa sei fatto, da dove vieni, chi è tua madre vera (la Vita) e chi è tuo padre vero (l'Altissimo)?
Non dimenticarti mai chi sei: è la più grande tragedia che ti possa capitare.
Lo avevano scoperto per caso, ma nel podere che prendeva in affitto e che coltivava da tempo c'era un tesoro. Erano monete d'oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità. Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli podere. Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato, ma gli aveva chiesto una somma altissima. Per mettere insieme i soldi necessari, l'uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo. Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un'impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato. Passò altro tempo. L'uomo investiva in borsa, trafficava, dirigeva e viaggiava. E si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.
La più grande tragedia che ci possa capitare è salire sul palco della vita, recitare la nostra parte, e dimenticarci la maschera addosso quando usciamo. Allora ci dimentichiamo chi siamo. Allora s-cordiamo (il cuore non lo sente più) il nostro vero volto e la nostra identità profonda: figli di Dio.
L'altro centro è la risposta di Gesù: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". Certamente a Gesù interessa la domanda politica: "Dai a Cesare, allo stato, quello che è di Cesare e dello stato". Tuo dovere è pagare le tasse e non puoi essere uomo di fede se evadi il fisco, se imbrogli la gente, se sfrutti i tuoi dipendenti, se tu accumuli mentre altri muoiono di fame, se crei lobby di potere.
C'è da chiedersi: un divorziato non può accedere alla Comunione, ma uno che "si è mangiato" i risparmi di una vita di onesti lavoratori, uno che fa fallire le aziende italiane per interessi personali, uno che collude con la mafia per la propria ascesa al potere, uno che si porta a casa 7.600 milioni di euro in tangenti, lui sì! Dobbiamo aver il coraggio di dire che "cristiano" è ciò che è il bene di tutti (di tutto il mondo, non solo dell'Occidente!) o non lo è.
Ma per Gesù è essenziale un'altra verità: rendi onore ad ogni cosa; dai il proprio valore ad ogni cosa. Il verbo utilizzato non è didomi, dare, ma apo-didomi, restituire, rendere a qualcuno qualcosa che è suo, che gli spetta, che gli è dovuto. C'è qualcosa che ci viene dato, che non è nostro e che noi dobbiamo restituire. Allora sarebbe come se noi dicessimo: "Rendete a Cesare, a Dio, ma ad ogni cosa e ad ogni persona ciò che è suo, cioè il suo valore e la sua importanza. Sappiate riconoscere il valore di ogni cosa.
Cosa ci dà Dio? La vita! Più gli scienziati studiano l'uomo e più dicono: "Siamo un miracolo!". Dio mi dona la cosa più grande: "Io sono vivo". Per molte persone è così scontato che non sanno che farsene di questa vita e di questo tempo che hanno a disposizione e continuano a lamentarsi di questo e di quello. Ma io riconosco e onoro questo dono gratuito che mi hai fatto: "Io vivo; tu mi hai dato quest'opportunità: la vivrò, non la sprecherò e ti ringrazio Dio per esserci. La vita non mi è dovuta, è un dono". Cosa dovrò restituirgli? La vita! Verrà un giorno in cui riconsegnerò nelle sue mani questa mia esistenza.
Nelle auto c'è la ruota di scorta, nei videogame finita una partita se ne fa un'altra e nel campionato di calcio l'anno successivo ne riparte un altro. Ma finita questa mia vita non ce n'è un'altra. Allora la voglio vivere con intensità, pienamente. C'è solo una vita per amare, provare, sentire, realizzare la propria missione e ciò che si è. Quello che non fate oggi non lo farete mai più.
Non voglio che la paura di sbagliare, di quello che dicono gli altri, del giudizio, dell'essere diverso, dell'autorità, di fallire, mi impedisca di vivere.
Voglio sentire l'odore del fieno, della pelle di chi amo, il gusto della pizza e il sapore del cioccolato; voglio correre, rotolarmi sull'erba, ridere a crepapelle, giocare, accarezzare e abbracciare; voglio piangere quando sto male, sentire il dolore della gente e commuovermi di gioia; voglio inseguire un sogno, lottare per un mondo migliore e sentire che questo mio tempo non è passato invano, ma ha avuto un senso per me e per il mondo.
Allora te la restituirò da vivo questa mia vita e quando morirò sarò ancora in vita. Mi hai consegnato la vita e ti riconsegnerò la vita e non la morte di chi si è spento prima.
Molte persone vivono con paura, come se dicessero: "Meglio non osare troppo, perché si può morire!". No, non è che si può morire, si muore di certo.
Ma voglio rendere, restituire, ad ogni cosa il suo valore, la sua importanza, ciò che gli spetta. Riconosco il valore di mia madre e di mio padre. Erano quelli che erano, ma mi hanno messo al mondo, ed è proprio un dono, una grande fortuna esserci. Come hanno potuto mi hanno amato, educato; hanno speso per me tempo, soldi, ore, notti e anche la vita. Io non sono mia madre, e non devo esserle succube, ma le riconosco tutto questo. Rendo onore a lei e le dico, dal profondo del mio cuore: "Grazie".
Riconosco il valore di mia moglie e di mio marito. Non sono perfetti ma non lo sono neanch'io. Stanno con me: a volte mi ascoltano e mi capiscono a volte no. Ma mi permettono di condividere l'amore, un progetto, i miei giorni, il mio cuore e il mio corpo. "Ti ringrazio perché sei nella mia vita e nella mia strada".
La gente impreca e si lamenta quando le cose finiscono ma spesso non sa ringraziare e viverle quando ci sono. Non mi sei dovuta, non mi appartieni, non sei mia. All'amore si risponde con l'amore: gratuitamente ricevi, gratuitamente dai.
Riconosco il valore dei miei figli: sono un dono. Cosa sarebbe la nostra vita senza di loro? Ringrazio Dio per questo dono: non sono miei e non mi sono dovuti. Godo, li assaporo e non mi attacco a loro.
Riconosco il valore di chi mi ama, di chi mi telefona, mi sorride, di chi mi stira e mi fa il letto, di chi ha stima di me, di chi mi incoraggia, chi mi dà una pacca sulla spalla, di chi crede in me. Io non sono in debito con loro, ma riconosco e rendo onore a tutto ciò. Mi vien da dire a tutte queste persone: "Grazie. Lo sento che mi volete bene".
Riconosco il valore delle persone, di chi soffre, di chi mantiene la dignità della propria persona di fronte agli attacchi e al disprezzo, di chi vive dubbi nel cuore, nella ricerca di qualcosa di più grande, di chi non si accontenta.
Una donna: "Padre, ho un tumore, ma la vita è bella lo stesso". Di fronte a tutto questo, io mi inginocchio e riconosco quanto bene mi facciano queste parole.
A delle suore cristiane in Iraq era stato ordinato di andarsene. Loro hanno risposto: "Noi rimarremo qui con i nostri bambini". "Ma rischiate grosso, è pericoloso!". Hanno risposto: "Una vita d'amore è più importante di una vita di tanti anni". Ringrazio e onoro chi vive così.
Ad un magistrato, la criminalità ha mandato una lettera: "Ti faremo a pezzi, te e la tua famiglia". Ai suoi amici che lo invitavano di andarsene: "Potrebbe succedere. Ma che uomo sarei se cedessi alla paura?".
E' venuto un mendicante e mi ha detto: "Io non voglio soldi, voglio fare un lavoro per lei e poi lei mi pagherà". Ma io ero preso dalla fretta e gli ho dato 10 euro e lui mi ha detto: "Glieli dia al prossimo, grazie!; io voglio solo soldi guadagnati", e non li ha presi. Riconosco la dignità di quest'uomo.
Riconosco il vento, l'acqua, l'erba, il cielo azzurro e limpido di alcune mattine, le stelle perché riempiono di eternità e di pienezza la mia anima. "Vi ringrazio, perché non mi chiedete niente in cambio".
Ad un camposcuola, guardando il cielo stellato: "Ma tutto quanto, Dio, per chi lo ha fatto?". Uno vicino: "Per te".
Ringrazia ogni mattino la vita e sentiti onorato di far parte di questa esistenza. Se diamo onore, cioè ciò che è suo ad ogni cosa, allora noi ci accorgiamo della grande fortuna della vita. E' perché non vediamo, ma quanto siamo voluti bene!, quanto siamo amati, quanto siamo stati curati dalla vita. E' perché mai ci fermiamo a vedere tutto questo. Allora non ci sentiremo più così soli, ma dentro una storia, accompagnati dalla Vita e sostenuti.
Si dice che un giorno S. Francesco stava guardando i fiori, la terra, gli animaletti che vi vivevano, gli uccelli del cielo e i loro voli, il vento che lo accarezzava, i rumori che sentiva in lontananza. Ogni cosa guardava con grande attenzione fino a riempirsi di quella cosa. Ad un certo punto aprì le braccia e guardando tutte queste cose disse: "Padre nostro".
Pensiero della settimana
Nasruddin (simbolo in Oriente del saggio stolto) divenne primo ministro del re. Una volta, mentre gironzolava per il palazzo, vide,
per la prima volta in vita sua, un falcone reale.
Nasruddin non aveva mai visto questo tipo di piccione.
Così tirò fuori un paio di forbici e spuntò gli artigli, le ali e il becco del falcone. "Adesso sì che sei un uccello decente - disse -
il tuo padrone ti aveva trascurato".
Così sono tutte le persone che riducono l'universo alla loro mente.
Vangelo: Mt 22,15-21
Gesù in Mt si trova nel tempio tre volte e ogni volta la situazione è di conflitto.
Nella prima è il diavolo che porta Gesù sul punto più alto del tempio per tentarlo (Mt 4,5-7). Nel pinnacolo del tempio il diavolo tenta Gesù. Il diavolo conosce bene i luoghi sacri, li frequenta e vi porta anche Gesù! Perché un luogo sia sacro non vuol dire che sia inviolato dal "male" o da satana.
Nella seconda Gesù entra nel tempio e "fa il disastro": "scacciò, infatti, tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere" (Mt
21,12-17). Perché un luogo sacro non è detto che sia dedicato a Dio; a volte lo è ad altri interessi.
Nella terza Gesù entra nel tempio e i sommi sacerdoti e gli anziani cercano di screditarlo sull'autorità per cui egli agisce, annuncia e guarisce (Mt 21,23-27). Gli chiedono: "Con quale autorità fai questo? Chi te l'ha data?". E Gesù: "Vi faccio anch'io una domanda: il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?". E siccome loro non possono rispondere, neanche Gesù risponde. Infatti, se avessero risposto: "Dal cielo", Gesù gli avrebbe detto: "E perché non gli avete creduto". Ma se avessero risposto: "Dagli uomini", avrebbero avuto della folla che lo considerava un profeta. Il luogo sacro a volte non è il luogo della verità ma il luogo dove si vela, si ferma, la verità.
Tutto questo è pericoloso: Gesù dev'essere fermato in qualunque modo perché scredita l'istituzione. Quando poi Gesù arriva a dire: "I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno dei cieli" (Mt 21,31), beh questo è davvero troppo!
Per questo il vangelo di oggi inizia dicendo: "I "piissimi" farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi" (Mt 22,15). Bisogna fermarlo! E sono tutti d'accordo su questo: infatti vanno da lui i farisei insieme agli erodiani. Ma dire erodiani e farisei era come dire ebrei e palestinesi, comunisti e fascisti, americani e talebani. Gli erodiani erano per i farisei quello che i farisei erano per i nazisti: gente da sterminare. Qui però hanno un nemico in comune: Gesù. E il nemico del mio nemico, è un mio amico!
L'inizio è un elogio esagerato, adulatorio, un incensamento ostentato: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia nessuno" (Mt 22,16). C'è un eccesso e ogni eccesso nasconde il suo contrario. Il proverbio dice: "Chi t'accarezza più di quel che suole, o t'ha ingannato, o ingannar ti vuole". E ancora: "Chi ti adula ti tradisce" e "chi ti loda in presenza, ti biasima in assenza".
Infatti Gesù risponderà loro: "Perché mi tentate?". Gesù li definisce come satana. Questa stessa parola la ritroviamo nelle tentazioni: Gesù definisce così Satana, il Tentatore (Mt 4,3) e loro sono proprio così.
Si rivolgono a Gesù con un imperativo che non ammette discussioni: "Dì a noi: è lecito o no pagare il tributo a Cesare?" (Mt 22,17). Gesù deve manifestare il suo pensiero sui romani.
La trappola è ben congegnata: qualunque risposta gli si ritorcerà contro. Se Gesù dice di "sì", cioè se è favorevole al pagamento delle tasse, sarà accusato di infedeltà verso il Signore, l'unico che dev'essere servito (Dt 6,4-13).
Se Gesù dice di "no", cioè se non è favorevole al pagamento delle tasse, si mette contro i romani e quelli che si mettevano contro i romani, in questo ambito, facevano una veloce e sicura fine (At 5,37), come Giuda il Galileo.
Gesù è incastrato. Se Gesù rimane a questo livello qualunque risposta è perdente. In queste situazioni bisogna cambiare il livello della risposta. Ci avevano già provato con domande senza risposta: "Con quale autorità fai questo (predichi, agisci, guarisci)?". Qualunque risposta era perdente. E Gesù infatti non risponde direttamente ma porta la questione su di un livello più profondo: "Vi farò anche'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anch'io". Ma la domanda che Gesù fa è uguale a quella che gli pongono: non ha risposta! Qualunque risposta infatti si ritorcerà contro di loro.
C'è una storia che spiega bene questo. Un omone va da un grande saggio per metterlo in difficoltà, con un uccellino tra le sue grandi e possenti mani. E dice al saggio: "E' vivo o è morto?". Il saggio pensa tra sé: "Se dico che è vivo, lui con le grandi mani che ha, con un movimento impercettibile me lo uccide". Ma se dico che è morto, lui apre la mano e l'uccellino vola via. "Allora saggio, è vivo o è morto?". E il saggio: "Come vuoi tu!".
Avesse detto sì o no, avrebbe perso in ogni caso. La soluzione si trova passando ad un livello superiore. E' quello che diceva Einstein: "Ogni soluzione di un problema si trova ad un livello diverso del problema" e che dice Assagioli: "Ogni problema ha sempre una soluzione, solo che è ad un livello più alto".
Ogni cosa ha una soluzione ma spesso non sullo stesso piano del problema. Esempio: ad un uomo "non sta in tasca" che sua figlia, proprio sua figlia, non sia andata, al giorno d'oggi, all'università, lui che è professore universitario. E' superabile il problema? Certo, ma se lui vuole che lei faccia quello che lui vuole allora il problema non è superabile. Ma come è superabile il problema salendo di piano? Accettando! Dal piano materiale (fa quello che voglio io) a quello interiore (accetto anche se non è come io desidero).
Esempio: un uomo è terrorizzato dal futuro. Se rimane sul piano materiale (dieta, controllo su ogni pericolo, supersportivo per tenersi in forma, ecc.), non c'è soluzione alla sua paura. Deve passare ad un livello superiore: la fede. La fiducia che la morte non è l'ultima parola della Vita. Se fa questo salto può vivere la vita senza terrore e non sulla difensiva.
E Gesù sale di livello: dal piano materiale al piano interiore.
Gesù dice: "Mostratemi la moneta del tributo" (Mt 22,19). La moneta che gli presentano è un denaro d'argento, l'imperatore viene raffigurato come un Dio. Da una parte vi era la testa dell'imperatore con l'iscrizione "Tiberio Cesare, figlio del divino Augusto, Pontefice Massimo" e nel retro era raffigurata la madre di Tiberio, Livia, come dea della pace. La moneta rappresentava il potere dominante: dove arrivavano le monete, lì arrivava il potere e il dominio dell'imperatore.
Gliela mostrano e Gesù chiede: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?" (Mt 22,20). Gli rispondono: "Di Cesare". E Lui: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". (Mt 22,21). E usa il verbo "restituire" (apo-didomi), che non è il verbo "dare" (didomi) che loro hanno usato (Mt 22,17).
Cosa vuol dire questa frase?
I farisei e tutti i giudei avrebbero voluto non restituire a Cesare quello che è di Cesare: avrebbero, cioè voluto non pagare le tasse per l'imperatore, ma non potevano. E, invece, devono farlo. Sì, devono restituire all'imperatore quello che è dell'imperatore (le monete).
Ma la questione più vera, per Gesù, è un'altra. Perché a Dio devono restituire quello di cui si sono impossessati ("e a Dio quello che è di Dio"): il popolo.
Non solo devono regolare i conti con l'imperatore ma anche con Dio. Si sono impadroniti del popolo, lo hanno condotto in schiavitù con regole false e lo tengono in mano con il pretesto della religione, annunciando un Dio che non è il vero Dio. I ministri di Dio devono rendere conto a Dio di cosa ne hanno fatto di Lui. Perché ridurre Dio ai nostri pensieri o alla nostra testa, è una bestemmia. Gesù li guarda e dice: "Avete ridotto Dio ai vostri schemi e alle vostre regole. Ma Dio non è così". E dovrete rendere conto.
E per assurdo, ma è vero, fu Gesù stesso ad essere condannato di bestemmia (Mc 14,64).
Le due chiavi del racconto sono la domanda e la risposta di Gesù.
La domanda: "Di chi è quest'immagine?". L'immagine richiama il costruttore e l'appartenenza. L'immagine di Cesare ricorda che questa moneta è (viene) da Cesare: appartiene a lui. L'immagine fisica di somiglianza a tuo padre e a tua madre ti ricorda che vieni da lì: appartieni a quella famiglia. L'immagine della razza ti ricorda da quale popolo appartieni: appartieni a questa cultura.
Ma nella Bibbia si dice che tu sei fatto ad "immagine e somiglianza di Dio" (Gen 1,26): tu appartieni a Lui. Questo è il grande dramma della vita: perdere, dimenticare, la nostra vera e più profonda appartenenza. Io appartengo a Lui: mio Padre è Dio e mia madre è la Vita.
Guardate vostra moglie/marito e ditele la verità: "Io non sono tuo!". Stiamo insieme, c'è un progetto, una comunione, una condivisione, una creazione comune (figli) ma tu non sei mia e io non sono tuo.
Guardate i vostri figli e ascoltate la loro verità: "Io papà, io mamma, sono grato a voi per tutto ciò che mi date. Ma io non sono vostro, io non vi appartengo, io non vi devo niente".
Guardate i vostri amici e ditegli: "Sono grato che ci siate nella mia esistenza. Ma io non sono vostro: non possedetemi perché non ne avete diritto e non lo permetterò; non dominatevi, non invadetemi, non pretendete, non abbiate rivendicazioni. Ciò che ci diamo sarà un dono d'amore, gratuito, perché non vi devo niente e non mi dovete niente".
Guardate la vostra religione e ditele: "Ti ringrazio per ciò che mi dai e per la possibilità di mettermi in contatto con l'Altissimo, ma lasciami libero. Non sono tuo: appartengo a qualcuno di molto più in alto di te".
Fatelo con tutte le persone e le cose importanti della vita, dite loro: "Io non sono tuo". All'inizio vi sentirete molto vuoti, ma poi vi sentirete tremendamente liberi.
Guardate Dio e ditegli: "Io sono tuo e di nessun altro". Non dimenticare la tua origine; non dimenticare che sei figlio delle stelle, che l'universo è la tua casa, la luna tua sorella e il sole tuo fratello. Non dimenticare che nella tua parte più profonda tu porti l'immagine di Dio.
Ci hanno fatto chiudere gli occhi e ci hanno detto: "Vi dirò una parola e voi visualizzate la prima immagine che vi viene in mente. La parola è "tutto"". Ciò che avete visto è il vostro Dio. Fa' che solo Dio sia Dio. Nessun altro! "Non avrai altro Dio all'in fuori di me": nessun altro!
Quando guardi tuo figlio di due mesi, cosa provi? Non percepisci da dove vieni? Non senti per cosa sei fatto? Come puoi dimenticarti qual è la tua vera essenza?
Quando sei di fronte ad una serata di stelle e guardi il cielo meraviglioso: non ti viene in mente da dove vieni? Non ti senti in comunione con tutte quelle luci? Non senti la nostalgia di casa? Non senti una nostalgia di cose grandi, immense? O sei morto dentro?
Ti capita mai in certi giorni di vedere il sole nel volto della tua amata? Ti succede mai di vedere la luce splendere negli occhi di chi ami? Ti succede mai di essere pieno, quasi gonfio da quant'è la felicità e di sentire chiaramente per cosa sei fatto, da dove vieni, chi è tua madre vera (la Vita) e chi è tuo padre vero (l'Altissimo)?
Non dimenticarti mai chi sei: è la più grande tragedia che ti possa capitare.
Lo avevano scoperto per caso, ma nel podere che prendeva in affitto e che coltivava da tempo c'era un tesoro. Erano monete d'oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva deciso di arare in profondità. Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva chiesto al padrone di vendergli podere. Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato, ma gli aveva chiesto una somma altissima. Per mettere insieme i soldi necessari, l'uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo. Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un'impresa, allargò i traffici oltre i confini dello stato. Passò altro tempo. L'uomo investiva in borsa, trafficava, dirigeva e viaggiava. E si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.
La più grande tragedia che ci possa capitare è salire sul palco della vita, recitare la nostra parte, e dimenticarci la maschera addosso quando usciamo. Allora ci dimentichiamo chi siamo. Allora s-cordiamo (il cuore non lo sente più) il nostro vero volto e la nostra identità profonda: figli di Dio.
L'altro centro è la risposta di Gesù: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". Certamente a Gesù interessa la domanda politica: "Dai a Cesare, allo stato, quello che è di Cesare e dello stato". Tuo dovere è pagare le tasse e non puoi essere uomo di fede se evadi il fisco, se imbrogli la gente, se sfrutti i tuoi dipendenti, se tu accumuli mentre altri muoiono di fame, se crei lobby di potere.
C'è da chiedersi: un divorziato non può accedere alla Comunione, ma uno che "si è mangiato" i risparmi di una vita di onesti lavoratori, uno che fa fallire le aziende italiane per interessi personali, uno che collude con la mafia per la propria ascesa al potere, uno che si porta a casa 7.600 milioni di euro in tangenti, lui sì! Dobbiamo aver il coraggio di dire che "cristiano" è ciò che è il bene di tutti (di tutto il mondo, non solo dell'Occidente!) o non lo è.
Ma per Gesù è essenziale un'altra verità: rendi onore ad ogni cosa; dai il proprio valore ad ogni cosa. Il verbo utilizzato non è didomi, dare, ma apo-didomi, restituire, rendere a qualcuno qualcosa che è suo, che gli spetta, che gli è dovuto. C'è qualcosa che ci viene dato, che non è nostro e che noi dobbiamo restituire. Allora sarebbe come se noi dicessimo: "Rendete a Cesare, a Dio, ma ad ogni cosa e ad ogni persona ciò che è suo, cioè il suo valore e la sua importanza. Sappiate riconoscere il valore di ogni cosa.
Cosa ci dà Dio? La vita! Più gli scienziati studiano l'uomo e più dicono: "Siamo un miracolo!". Dio mi dona la cosa più grande: "Io sono vivo". Per molte persone è così scontato che non sanno che farsene di questa vita e di questo tempo che hanno a disposizione e continuano a lamentarsi di questo e di quello. Ma io riconosco e onoro questo dono gratuito che mi hai fatto: "Io vivo; tu mi hai dato quest'opportunità: la vivrò, non la sprecherò e ti ringrazio Dio per esserci. La vita non mi è dovuta, è un dono". Cosa dovrò restituirgli? La vita! Verrà un giorno in cui riconsegnerò nelle sue mani questa mia esistenza.
Nelle auto c'è la ruota di scorta, nei videogame finita una partita se ne fa un'altra e nel campionato di calcio l'anno successivo ne riparte un altro. Ma finita questa mia vita non ce n'è un'altra. Allora la voglio vivere con intensità, pienamente. C'è solo una vita per amare, provare, sentire, realizzare la propria missione e ciò che si è. Quello che non fate oggi non lo farete mai più.
Non voglio che la paura di sbagliare, di quello che dicono gli altri, del giudizio, dell'essere diverso, dell'autorità, di fallire, mi impedisca di vivere.
Voglio sentire l'odore del fieno, della pelle di chi amo, il gusto della pizza e il sapore del cioccolato; voglio correre, rotolarmi sull'erba, ridere a crepapelle, giocare, accarezzare e abbracciare; voglio piangere quando sto male, sentire il dolore della gente e commuovermi di gioia; voglio inseguire un sogno, lottare per un mondo migliore e sentire che questo mio tempo non è passato invano, ma ha avuto un senso per me e per il mondo.
Allora te la restituirò da vivo questa mia vita e quando morirò sarò ancora in vita. Mi hai consegnato la vita e ti riconsegnerò la vita e non la morte di chi si è spento prima.
Molte persone vivono con paura, come se dicessero: "Meglio non osare troppo, perché si può morire!". No, non è che si può morire, si muore di certo.
Ma voglio rendere, restituire, ad ogni cosa il suo valore, la sua importanza, ciò che gli spetta. Riconosco il valore di mia madre e di mio padre. Erano quelli che erano, ma mi hanno messo al mondo, ed è proprio un dono, una grande fortuna esserci. Come hanno potuto mi hanno amato, educato; hanno speso per me tempo, soldi, ore, notti e anche la vita. Io non sono mia madre, e non devo esserle succube, ma le riconosco tutto questo. Rendo onore a lei e le dico, dal profondo del mio cuore: "Grazie".
Riconosco il valore di mia moglie e di mio marito. Non sono perfetti ma non lo sono neanch'io. Stanno con me: a volte mi ascoltano e mi capiscono a volte no. Ma mi permettono di condividere l'amore, un progetto, i miei giorni, il mio cuore e il mio corpo. "Ti ringrazio perché sei nella mia vita e nella mia strada".
La gente impreca e si lamenta quando le cose finiscono ma spesso non sa ringraziare e viverle quando ci sono. Non mi sei dovuta, non mi appartieni, non sei mia. All'amore si risponde con l'amore: gratuitamente ricevi, gratuitamente dai.
Riconosco il valore dei miei figli: sono un dono. Cosa sarebbe la nostra vita senza di loro? Ringrazio Dio per questo dono: non sono miei e non mi sono dovuti. Godo, li assaporo e non mi attacco a loro.
Riconosco il valore di chi mi ama, di chi mi telefona, mi sorride, di chi mi stira e mi fa il letto, di chi ha stima di me, di chi mi incoraggia, chi mi dà una pacca sulla spalla, di chi crede in me. Io non sono in debito con loro, ma riconosco e rendo onore a tutto ciò. Mi vien da dire a tutte queste persone: "Grazie. Lo sento che mi volete bene".
Riconosco il valore delle persone, di chi soffre, di chi mantiene la dignità della propria persona di fronte agli attacchi e al disprezzo, di chi vive dubbi nel cuore, nella ricerca di qualcosa di più grande, di chi non si accontenta.
Una donna: "Padre, ho un tumore, ma la vita è bella lo stesso". Di fronte a tutto questo, io mi inginocchio e riconosco quanto bene mi facciano queste parole.
A delle suore cristiane in Iraq era stato ordinato di andarsene. Loro hanno risposto: "Noi rimarremo qui con i nostri bambini". "Ma rischiate grosso, è pericoloso!". Hanno risposto: "Una vita d'amore è più importante di una vita di tanti anni". Ringrazio e onoro chi vive così.
Ad un magistrato, la criminalità ha mandato una lettera: "Ti faremo a pezzi, te e la tua famiglia". Ai suoi amici che lo invitavano di andarsene: "Potrebbe succedere. Ma che uomo sarei se cedessi alla paura?".
E' venuto un mendicante e mi ha detto: "Io non voglio soldi, voglio fare un lavoro per lei e poi lei mi pagherà". Ma io ero preso dalla fretta e gli ho dato 10 euro e lui mi ha detto: "Glieli dia al prossimo, grazie!; io voglio solo soldi guadagnati", e non li ha presi. Riconosco la dignità di quest'uomo.
Riconosco il vento, l'acqua, l'erba, il cielo azzurro e limpido di alcune mattine, le stelle perché riempiono di eternità e di pienezza la mia anima. "Vi ringrazio, perché non mi chiedete niente in cambio".
Ad un camposcuola, guardando il cielo stellato: "Ma tutto quanto, Dio, per chi lo ha fatto?". Uno vicino: "Per te".
Ringrazia ogni mattino la vita e sentiti onorato di far parte di questa esistenza. Se diamo onore, cioè ciò che è suo ad ogni cosa, allora noi ci accorgiamo della grande fortuna della vita. E' perché non vediamo, ma quanto siamo voluti bene!, quanto siamo amati, quanto siamo stati curati dalla vita. E' perché mai ci fermiamo a vedere tutto questo. Allora non ci sentiremo più così soli, ma dentro una storia, accompagnati dalla Vita e sostenuti.
Si dice che un giorno S. Francesco stava guardando i fiori, la terra, gli animaletti che vi vivevano, gli uccelli del cielo e i loro voli, il vento che lo accarezzava, i rumori che sentiva in lontananza. Ogni cosa guardava con grande attenzione fino a riempirsi di quella cosa. Ad un certo punto aprì le braccia e guardando tutte queste cose disse: "Padre nostro".
Pensiero della settimana
Nasruddin (simbolo in Oriente del saggio stolto) divenne primo ministro del re. Una volta, mentre gironzolava per il palazzo, vide,
per la prima volta in vita sua, un falcone reale.
Nasruddin non aveva mai visto questo tipo di piccione.
Così tirò fuori un paio di forbici e spuntò gli artigli, le ali e il becco del falcone. "Adesso sì che sei un uccello decente - disse -
il tuo padrone ti aveva trascurato".
Così sono tutte le persone che riducono l'universo alla loro mente.
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