don Marco Pedron "Se sei libero..."

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 
Vangelo: Mt 22,1-14 
Per capire il vangelo noi dobbiamo sempre ricordarci che il vangelo è una teologia e che gli evangelisti scrivevano per le loro comunità e che erano comunità con situazioni differenti l'una dalle altre.
Prendiamo ad esempio la parabola del seminatore (Mc 4,1-9; Mt 13,1-9; Lc 8,4-8). Storicamente Gesù dice una parabola: "C'è un seminatore che semina; ci sono tre terreni che non accolgono il seme (strada, sassi, spine) e uno che lo accoglie e che porta un gran frutto". A cosa si riferisce Gesù quando parla di quel seme? Si riferisce al suo messaggio, al regno di Dio. Se sei resistente, non lo accogli, non lo fai penetrare dentro di te.

Ma l'evangelista poi ha davanti una comunità, e questa comunità, ad esempio, si dice cristiana ma non ascolta la Parola di Dio, è refrattaria e non la vive; anzi quando si celebra l'eucarestia, finché viene letto il vangelo la gente parla d'altro ed è disattenta. L'evangelista ha un problema nella sua comunità (che non c'è magari nella comunità vicina): le persone non ascoltano la Parola di Dio. Allora prende la parabola del vangelo (il seme è il regno di Dio) e dice: "Il seme è la parola di Dio, il vangelo" e rilegge la parabola con questa interpretazione (Mc 4,13-20; Mt 13,18-23; Lc 8,11-15). Si passa cioè dal messaggio di Gesù all'interpretazione del messaggio di Gesù. Questa operazione si chiama allegoria: un brano del vangelo viene interpretato per la propria comunità secondo lo scopo dell'evangelista.
A volte l'esempio è lampante, evidente, come nella parabola del seminatore, altre volte no. Ogni volta che nel vangelo si trovano dei particolari diversi, vuol dire che uno degli evangelisti ha fatto qualche piccolo adattamento per trasmettere un messaggio alla sua comunità. Facciamo un esempio: il giovane ricco. In Mt è un giovane (Mt 19,20), in Mc un tale, uno qualunque (Mc 10,17), in Lc un notabile (Lc 18,18).
Un altro esempio. Nella prima moltiplicazione dei pani (Mc 6,30-44) ci sono cinque pani e due pesci, vengono avanzate dodici ceste e gli uomini sono cinquemila. Ma quando viene raccontata una seconda volta (Mc 8,1-9) i pani sono sette, i pesciolini pochi, le ceste avanzate sette e gli uomini quattromila.
Ogni evangelista fa delle piccole modifiche in base alle sue esigenze: dodici ceste richiama alle dodici tribù di Israele, ad esempio: "Questo è il pane vero di cui gli ebrei hanno bisogno; questa è la vera manna".
Sette, invece, si riferisce di più ai sette sacramenti: "I sette sacramenti sono il vero pane".
Cinquemila uomini perché cinque sono i pani: "Questo pane sfama all'ennesima potenza (1 pane per mille)"; quattromila richiama al viaggio dei quarant'anni degli ebrei: "Quello che hanno cercato lungo tutto l'esodo, adesso lo hanno trovato". Vedete, è diverso.
La parabola di oggi è un'allegoria potente. C'è all'origine un messaggio di Gesù, ma poi Mt l'ha elaborata per trasmettere un messaggio ben chiaro e preciso alla sua comunità. La stessa parabola la troviamo anche in Lc 14,16-24 (e anche nel vangelo di Tommaso), solo che sono molto diverse.
L'uomo di Lc, in Mt diventa un re (il re richiama il giudizio finale, alla fine dei tempi).
La grande cena di Lc diventa in Mt un banchetto di nozze per il figlio del re (il Figlio, per Mt, è Gesù e la grande cena diventa il giudizio per tutti quelli che hanno accolto il suo messaggio).
Lc manda un solo servo per invitare le persone; Mt ne manda molti e a più riprese (più volte Israele ha avuto messaggeri di Dio, ma invano).
In Lc le persone si giustificano con la parola, in Mt invece vengono malmenati e uccisi. E ci si chiede: perché? Che senso ha malmenare uno che ti invita ad un banchetto di nozze? Nessuno... a meno che tu non ti voglia riferire ai profeti e a Gesù. Loro erano i messaggeri di Dio e hanno fatto proprio quella fine.
In Lc, visto che i primi invitati rifiutano, il padrone lancia il suo invito ad altri. Ma in Mt c'è un'ira terribile del re che, prima ancora di sedere a cena (già pronta!), spedisce la sua guardia del corpo per uccidere quegli assassini e per bruciare la loro città. E ci si chiede: ma si può compiere tutto questo prima di cena? E poi, soprattutto: ma che senso ha tutto questo? Infatti è stridente all'interno della parabola. Ma non nell'interpretazione di Mt: quegli assassini sono coloro che hanno ucciso i profeti e Gesù, e quella città che paga le conseguenze di ciò che ha fatto è nient'altro che Gerusalemme, distrutta dai Romani dopo il 70 d.C., riletta da Mt come "punizione" per ciò che ha fatto a Gesù.
1. Il messaggio di Gesù (che è espresso meglio da Lc) è: "Vi ho fatto un invito e non l'avete accolto". E siccome voi non l'avete accolto, allora io ho invitato degli altri e loro lo hanno accolto.
Gesù è stato rifiutato dai sapienti, dai religiosi, da quelli che già "avevano Dio", il loro Dio e la loro immagine di Dio, così radicata e fissa che non sono riusciti a cambiarla. Allora Gesù si è rivolto ad altri: pubblicani, lontani, donne, eretici, senza-Dio, e loro lo hanno accolto.
L'accusa che facevano a Gesù era: "E' capace di trovare seguito solamente tra i pezzenti, i disperati e i poco di buono" (Mt 11,11; 11,19). E Gesù: "Per forza, voi non mi volete!".
Mt spiega i motivi del rifiuto dell'invito. Ognuno ha i suoi buoni motivi (il campo=il lavoro; gli affari=i propri interessi), ma in realtà sono solo giustificazioni.
C'è sempre una buona, ottima, giustificazione per rifiutare il messaggio di Dio. "Ho poco tempo; lavoro tutto il giorno; devo stare con i miei figli; mi piacerebbe tanto!; io prego tanto per conto mio!; se avessi più tempo...". Ma la vera domanda è: "In realtà, vuoi o non vuoi?". La vera domanda è: "Perché hai paura? Cos'è che ti fa paura?". Perché spesso il "non posso" è semplicemente un "non voglio".
Il vangelo è ciò che Dio fa per te. Dio vuole amarti, perdonarti, starti accanto, essere la tua forza, non farti sentire solo, darti sostegno, farti felice: ma perché rifiutarlo?
Viene uno e ti dice: "Ti regalo cento milioni di euro. Prendi!" e noi li rifiutiamo. Ma perché? Viene uno e ti dice: "Pranzo gratis oggi, pago io!". E noi rifiutiamo. E perché? Perché siamo orgogliosi!
Quando Gesù parla di Dio, di suo Padre, ne parla come di un padre misericordioso che non gliene frega niente di ciò che suo figlio fa e anche se rovina la sua vita, i suoi beni, lui lo attende e lo ama.
Ma noi non vogliamo questo Dio. Noi vogliamo che Dio sia "cattivo", che premi, che punisca, che ci tiri le sberle, che sia da conquistare con le buone opere o con i meriti. Ma Dio non è così.
Perché lo rifiutiamo?
Perché siamo orgogliosi, cioè, non vogliamo farci amare.
Quando si è piccoli a volte si impara che l'amore si conquista. Se fai quello che papà e mamma vogliono allora ti vogliono bene. Ma se non fai quello che loro vogliono, allora non ti vogliono più bene: "Sei cattivo; hai fatto arrabbiare il papà!; non ti voglio più bene...", urla, distanze fisiche ed emotive, bronci, ecc.
Cosa impara il bambino? A. Che l'amore si conquista. Se fai quello che gli altri vogliono allora sei amato. B. Che l'amore è sofferenza: per avere l'amore dei genitori occorre guadagnarselo, faticare, rinunciare a sé.
Quando poi il bambino sente parlare di Dio e che Dio ti ama, lui applica il suo concetto di amore: l'amore di Dio si conquista. Per cui il bambino, adesso adulto, crede che solamente soffrendo, faticando, impegnandosi, sacrificandosi, Dio lo amerà.
Quando poi ascolta il vangelo: "Dio ama tutti, buoni e cattivi, vicini e lontani", dentro di sé c'è una ribellione: "Eh no!". Lui non può farsi amare. Lui non può accettare di essere amato gratuitamente. Lui ha bisogno di portare dei meriti: "Vedi come sono bravo; vedi come sono perfetto; vedi come sono in regola: come puoi non amarmi?". Ma Dio non è così.
Lui ha bisogno di far vedere di sé solo la faccia bella, santa, perché, proietta in Dio ciò che i suoi genitori rifiutavano: "Se mi faccio vedere cattivo... se li odio... se m'arrabbio..., mi rifiutano". Quindi non può vedere la faccia brutta, piena d'ombra, di giudizio, di "cose brutte" che ha dentro e se la deve nascondere altrimenti crederà che Dio non lo vorrà più.
E' troppo orgoglioso: lui l'amore se lo conquista (è ciò che ha imparato). Ma l'amore, invece, non si conquista: l'amore è gratuito, l'amore è un dono.
Accettare il vangelo e l'amore di Dio è lasciare che lui ci ami anche nelle nostre schifezze, nei nostri sbagli e nel nostro marciume. Solamente quando non è meritato si può sapere cos'è l'amore.
L'ordine del re è chiaro: "Chiamate buoni e cattivi" (Mt 22,10). Io amo tutti.
Un anziano mi ha raccontato che un giorno, da giovane, scoprì il nascondiglio dove i suoi genitori tenevano i soldi. Ce n'erano molti; lui li prese e li spese tutti. Quando i suoi genitori lo scoprirono s'arrabbiarono molto e pensò che avrebbe giustamente ricevuto una punizione esemplare. Suo padre lo chiamò e gli disse: "Hai fatto una cosa che non dovevi fare. Non farla più. E ricordati, che sei sempre nostro figlio". E lui dice: "In quel giorno imparai cos'è l'amore: ricevere qualcosa che non si merita ma che fa così bene al cuore". E dice ancora: "I miei genitori persero i soldi ma guadagnarono un figlio".
Perché abbiamo un'idea di Dio sbagliata: pensiamo che sia un nemico.
Quando andavo a catechismo il cappellano diceva: "Chi vuole farsi prete?". E io mi nascondevo sotto il banco e speravo che non guardasse proprio me ("Siamo in tanti in chiesa: vuoi proprio che veda me?"). E "mi toccavo" e toccavo tutto ciò che potesse servire perché non chiamasse me. Dio mi sembrava una cosa terribile, una sfortuna, da evitare.
Noi chiesa abbiamo trasmesso quest'idea, ma nel vangelo Dio viene per il nostro bene. E se vuole qualcosa, vuole solo il meglio per noi. E lui ci manda continuamente degli inviti d'amore: ma che ne facciamo noi?
C'è un bellissimo film, The Blind Side (2009), con Sandra Bullock. E' la vera storia di Michael Jerome Oher (nato nel 1986), un ragazzone di 193 cm di altezza e del peso di 140 chili. Michael è un diciassettenne senza padre e con la madre che si fa di crack. Va a scuola ma i problemi economici sono enormi, il suo quoziente intellettivo è basso e la sua timidezza alta (anche perché la sua stazza è imponente). Uno così non può che dire: "Ma Dio dov'è? Dov'è l'amore di Dio?". Eppure, Dio ti vuole bene e ti manda degli inviti che, se li prendi, saranno la tua salvezza. Infatti viene notato da una famiglia benestante (i Tuohy) che si prende cura di questo ragazzo "sfortunato". A Michael fanno tutta una serie di test: i risultati sono scoraggianti. Dappertutto risulta insufficiente, eccetto uno: ha un comportamento protettivo altissimo (98%). Ma di fronte a tutto questo, che si può fare? Nel football potrebbe forse riuscire, ma è timido e non è capace di placare nessun avversario nonostante la sua mole. Per tutti è un caso disperato e senza vie d'uscita. Un giorno Sandra Bullock (la signora Tuohy che se ne prende cura) va in campo e gli dice: "Senti Michael, vedi tutti questi, sono i tuoi fratelli e le tue sorelle, questa è la tua famiglia e tu la devi difendere". Cosa fa? Fa leva sull'unica cosa che lui sa fare: proteggere i suoi familiari. E i suoi compagni di squadra e soprattutto il quarterback (il lanciatore) non sono più dei giocatori ma la sua "famiglia" che lui deve difendere (dagli altri giocatori che rappresentano i nemici). In quel giorno cambia tutto: qualcuno l'aveva finalmente "visto, capito". Oggi Michael Oher è giocatore professionista nella NFL dei Baltimore Ravens. Dio è buono e ti vuole bene: prendi i suoi inviti! Lasciati invitare da lui. Lasciati amare da Lui e da quelli che Lui ti manda.
2. Il messaggio di Mt. Mt prende la parabola originaria di Gesù e la rilegge per la sua comunità come uno schizzo della storia di salvezza, dove ogni persona è un tratto e un momento di questa storia (allegoria).
Dio all'inizio fa un invito ad Israele (pranzo di nozze). Siccome Israele rifiuta, allora Dio manda dei servi (i profeti): ma Israele rifiuta ancora.
Allora Dio manda degli altri servi (Gesù e i cristiani martiri) e Israele li uccide. In Mt 23,34-35 Gesù dice: "Vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguirete di città in città... e il sangue innocente ricada su di voi...".
Dio, per vendicare ciò che hanno fatto, allora distrugge la città (Gerusalemme) e invita altri al suo banchetto (i pagani, i lontani, gli ultimi). E il re che visita e guarda chi c'è al pranzo e ne vede uno senza l'abito nuziale e lo caccia fuori (e c'è da chiedersi: ma come potevano avere l'abito nuziale quelli invitati di fretta all'ultimo?) è nient'altro che il giudizio finale di Dio alla fine dei tempi. Chi non avrà vissuto secondo il vangelo (abito=fare ciò che si è; l'abito definisce chi uno è) non potrà entrare nel gran banchetto di Dio.
Con questa parabola Mt intende spiegare, punto per punto, tutta la storia di Israele. Israele ha rifiutato il vangelo, ne paga le conseguenze e il vangelo è stato dato ai pagani.
Ognuno ha quello che vuole. Israele ha fatto la sua scelta, adesso ne ha le conseguenze. Non è Dio che ha buttato fuori Israele: è Israele che vivendo rifiutando il vangelo (senz'abito nuziale) si è buttata fuori da Dio.
Quando il re entra e vede uno senz'abito nuziale (perché gli altri lo avevano?) ha una reazione feroce: viene buttato fuori, legato, nelle tenebre e nel dolore (pianto e stridore di denti; Mt 22,11-14). L'uomo non è degno di stare lì. Sembra una punizione, quella di Dio, ma non lo è. Questo racconto descrive, invece, cosa ci succede quando viviamo rifiutando i suoi inviti. Poco prima, di quelli che rifiutano il re dice: "Non ne erano degni" (Mt 22,8). L'indegnità (=il non avere la veste bianca) è data dal rifiutare l'invito.
Allora: ciò che succede non è un caso ma la conseguenza di ciò che essi fanno. Non accetti gli inviti della vita: ci sono delle conseguenze. Tutto qui.
C'è un ragazzo "spericolato" in moto. Tutti gli dicono: "Vai piano, perché ti fai male!". Una, due, tre volte... la vita invita, ma bisogna ascoltarla. Ha fatto un incidente ed è paralizzato. Dice: "Com'è ingiusta la vita!". "Eh no! non hai voluto ascoltarla!".
Una donna si sogna da anni di lei in classe che insegna con i suoi bambini. Le dico: "Ti piacerebbe fare la maestra?". "Oh sì, è sempre stato il mio sogno". "E, allora!". Ma sono una commessa, dovrei riprendere gli studi... E se mi sbaglio?". "Capisco, ma come te lo deve dire Dio, allora?".
C'è un uomo sempre nervoso e "scattoso". Sua moglie gli ha proposto una terapia individuale; i suoi amici un corso di conoscenza di sé; il suo datore di lavoro degli incontri di training autogeno per abbassare la sua carica aggressiva, ma lui ha rifiutato tutto. E dice: "Ho il demonio dentro!". "No, non hai nessun demonio; è che non vuoi farti aiutare!".
Alexander Fleming prese gli inviti della vita. Fleming (1922) aveva un forte raffreddore da parecchi giorni: prese delle secrezioni nasali e le incubò su delle piastre per osservare la crescita batterica. Il giorno seguente una sua lacrima cadde sulla coltura. La cosa rimase lì. Ma il giorno dopo si accorse che i batteri erano cresciuti dappertutto eccetto proprio lì dove c'era la lacrima. Casualità? No, invito della vita. Nella lacrima, quindi, c'era una sostanza antibiotica naturale. Così scoprì il lisozima che ha sì un'attività antimicrobica, ma non in grado di distruggere i microbi più resistenti.
Nel 1928 Fleming stava svolgendo delle ricerche sul virus dell'influenza. Si assenta per tre giorni dal suo laboratorio e si dimentica di buttare via le provette che stava studiando. Al ritorno, prende in mano la piastra e vi trova qualcosa di strano: c'era una muffa e dove c'era la muffa le colonie non erano cresciute. Casualità? No, inviti della vita. In quella muffa c'era qualcosa che non faceva crescere i microbi. Così nacque la penicillina. Nacque perché ad un invito, ad un messaggio, Fleming fu attento.
Ognuno avrà esattamente quello che vorrà. Ogni vita è la conseguenza delle proprie scelte.
Il messaggio per noi: solo chi è libero segue il Signore.
Dov'è la differenza fra quelli che accettano l'invito e quelli che rifiutano? Quelli che rifiutano hanno già "le loro cose" (Mt 22,5): affari, campi, impegni, idee, credenze. Sono già "occupati" e quindi non c'è spazio per altro.
Quelli che accettano, invece, sono gente ai crocicchi delle strade (Mt 22,9; Lc 14,21 specifica: poveri, ciechi, storpi, zoppi) e ai crocicchi delle strade ci sta la gente che non possiede nulla, perché se uno possiede qualche campo o attività ovviamente non se ne sta lì. E' gente povera, nulla tenente.
E' qui la differenza: quando tu hai già "qualcosa", per accettare l'invito devi lasciare ciò che hai. Se tu, invece, non hai nulla, sei libero: non hai nulla da lasciare. Ma cosa vuol dire questo spiritualmente per noi? Che solo chi è libero segue il Signore.
Un uomo vuole fare la scuola di teologia: è un suo grande desiderio. Ma è "occupato" dal giudizio degli altri, dei suoi amici, infatti, nessuno va in chiesa né crede: "E se lo vengono a sapere? e se poi mi prendono in giro?". Capibile, ma se fosse libero seguirebbe il proprio cuore.
Un uomo vuole iniziare un corso di pet therapy. Se è libero si dice: "E' ciò che desidero da sempre. Costa un po', ma va beh! Non so se sarà il mio lavoro, ma intanto lo faccio". Ma se è "occupato" dalla paura, allora inizia a dire: "Ma ne vale la pena? e se poi non trovo lavoro?"; se è "occupato" dalla svalutazione dirà: "Non mi prenderanno mai!; ce la farò?; troppo impegnativo!".
Un uomo ha trovato un nuovo gruppo d'amici. Si trova bene con loro. Il punto è che lui ha la credenza dentro di sé "gli altri ti fregano", per cui non si lascia andare, non si apre, non si mette veramente in gioco e vive sempre sulla difensiva. Se fosse libero potrebbe sentire e gustare quant'è bella l'amicizia.
Chiami una persona, non ti risponde e neppure il giorno dopo. Se tu sei libero, ti dici: "Forse sarà impegnato; forse non ha visto la chiamata; forse aspetta di avere un attimo di tempo". Ma se tu hai "già qualcosa" allora tu riferisci tutto a te. Se tu hai la credenza "io non valgo", allora dirai: "Ecco, vedi, non interesso alle persone", oppure: "Bell'amico" e penserai che ce l'abbia con te.
Un giorno, un gruppo di ranocchi si trovò per fare una gara: c'era da arrivare in cima ad una torre. La gente diceva: "Non ce la faranno mai!". I ranocchi iniziarono, ma presi dallo scoraggiamento, nessuno di loro ce la fece: "E' davvero impossibile! E' proprio come si dice!". Ma uno di loro, provò e riprovò e dopo eroici sforzi, arrivò in cima alla torre. Tutti erano increduli. Gli si avvicinarono e gli chiesero: "Ma come hai fatto?". Ma lui tirò dritto. Come fece? Era sordo.
Quando tu hai una credenza, vivi e agisci in base a ciò che credi ("non ce la faremo mai"). Ma se sei libero...
Pensiero della settimana
Se non ti senti amato, è perché non sei amato...
... o perché hai paura di lasciarti amare,
... o perché un giorno sei stato amato e sei stato ferito,
... o perché pensi di non essere degno di essere amato,
... o perché, quando sei amato non controlli più tu,
... o perché ti rendi vulnerabile,
... o perché lo desideri ma lo temi,
... o perché hai paura di attaccarti,
... o perché hai paura di perdere chi ami,
... o perché ti è difficile farti vedere per quello che sei,
... o perché credi che quando ti conosceranno non ti vorranno più,
... o perché pensi di non essere in grado di ricambiare,
... o perché temi le emozioni d'amore,
... o perché associ all'amore la sessualità,
... o perché temi che l'altro ti invada o ti possegga,
... o perché non vuoi mostrare di averne bisogno,
... o perché questo ti riporta a quand'eri piccolo,
... o perché sei anestetizzato e non senti nulla,
... o perché chiedi agli altri l'impossibile,
... o perché vorresti che gli altri facessero ciò che tu vuoi,
... o perché vuoi detenere il potere tu,
... o perché hai paura di emozionarti...?

Commenti

Post più popolari