don Marco Pozza"Mamma, ho perso il treno"
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/10/2014)
Vangelo: Mt 21,33-43
Somigliano ad un paese le parabole. E dentro questo vi paese abitano i fantasmi del Suo pensiero di poeta e di narratore. Di Dio: trame di storie, brandelli di uomini, traiettorie di vite che rattristano, affascinano, incuriosiscono. Maledizioni e sfide: ai benpensanti, agli aridi, agli oppressori e ai farisei di tutte le pelli. Un paese dentro il quale si parla con tutti: anche con la
pecora perdutasi tra i rovi. Con la pecora: ma anche con la rete da pesca, con gli arbusti della zizzania, con le perle e le monete, con le cinque fidanzate stolte fino ad appisolarsi, con i prati di trifoglio lucidati dal vento. Col cammelliere e la vedova, col ragazzo delle lentiggini sul viso.
Storie di pesche e di mari, di viti e di vigne. Ancora vigne: «Un uomo vi piantò una vigna» (liturgia della XXVII^ domenica del tempo ordinario). Anche stavolta una possibilità: l'ennesima. Una storia d'amore in cui l'Amore stavolta parla di sé in terza persona: è un vignaiolo. Un giorno parlerà di sé come di uno sposo e di un amante, di una ladro e di una massaia, di un mezzadro o di un esperto di legni. Stavolta l'Amore - l'amante e l'amato - è un vignaiolo, per l'appunto: vanga la vigna con cura, la sgombra dai sassi, ne pianta le viti scelte, ci mette una torre e vi scava un tino. Le mani dei fattori, invece, saranno mani ladre: un giorno non consegneranno più il frutto. Invidiose, addirittura omicide: «Da ultimo mandò il proprio figlio dicendo: avranno rispetto di mio figlio». Mica sono stupidi quei lavoratori: si rendono conto di ciò che si nasconde in quel Figlio, un'eredità spaventosa e fastidiosa. Imbarazzante. Quel giorno, cioè ieri - come oggi e come domani - il ragionamento è lo stesso: «Costui è l'erede. Uccidiamolo e avremo noi l'eredità». E' la sorte dei profeti: il popolo dice di amare i suoi profeti - addirittura invoca il Cielo di mandargli dei profeti come segnali stradali nelle strade di quaggiù -: se li incontra per strada, però, li ammazza a sassate. La loro profezia stordisce i sensi, rabbuia le previsioni, scompiglia il quieto vivere: è più rivolta che conformismo, è gridare quando tutti tacciono, è piangere quando tutti ridono. E' annunciare rovine imminenti quando tutti si stanno facendo le prove generali del funerale mangiando «pane e sicurezza» (1Ts 5,3): sono i bastian contrari del Cielo.
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno è quello che è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio" (I. Calvino, Le città invisibili)
Mica, però, sarà la fine: figurarsi. Neanche stavolta; anche stavolta si ricomincerà: «Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato ad un altro popolo che lo farà fruttificare». E' sempre questa la storia: a far i preziosi col Cielo mica sempre va bene. Il Cielo si stanca, anche Cristo sempre spossato per troppa fiducia, il Vignaiolo s'inventa una strada nuova dove sembra non esserci più strada alcuna. La strada che conoscono gli Amanti incalliti, laddove la gelosia rimane l'altra faccia della fedeltà: "mi concederò ad un altro popolo. Frequenterò altri amori, sarò amante di cuori più storditi". Gli altri, per l'appunto: quelli che mi ricordano che non sono l'unico, il migliore, lo spavaldo della mia storia con Lui. Gli altri, i maledetti: forse addirittura quelli che non lo conoscono, non lo incensano, magari neppure lo nominano. Davvero ad altri, Signore? Certo: quella Vigna è un tesoro, un capitale, una scommessa. Un deposito d'amore: lo nasconderà nelle mani di un mercante entusiasta, di una donna che ne capisce di pasta e di lievito, di un uomo capace di parlare con la senape e la sua piccolezza. Nelle mani di furfanti, di meretrici e di ladroni. Di gente infiacchita come a Cafarnao, di gente capricciosa come a Gerusalemme, di gente che s'immagina abbindolata come verso Emmaus.
Fedele rimane il Cielo: con quel suo amore e amare pazientemente l'umano. Fedele al punto tale d'essere vero: i contadini infedeli - come i servi infingardi, le spose distratte, i bambini viziati - verranno punito tragicamente: verrà tolto loro l'amore. Non verrà distrutta la Vigna, ci sarà un cambio di gestione: quella terra va lavorata, coltivata, fatta fruttare. Nessun uomo potrà un giorno dirsi Dio: come nessun uomo potrà un giorno vantarsi d'aver annullato i sogni di Dio. Al massimo li avrà complicati. Che, poi, altro non è che un abituarsi all'Amore: «L'amore si mantiene fresco con una novità ogni giorno. Che non è il fiore, o un regalo qualsiasi. Perché tutto passa. Io ogni giorno mi devo re-innamorare di te. E tu di me. Inventandoci qualcosa di diverso» (A. Borsellino, Ti racconterò tutte le storie che potrò).
Vangelo: Mt 21,33-43
Somigliano ad un paese le parabole. E dentro questo vi paese abitano i fantasmi del Suo pensiero di poeta e di narratore. Di Dio: trame di storie, brandelli di uomini, traiettorie di vite che rattristano, affascinano, incuriosiscono. Maledizioni e sfide: ai benpensanti, agli aridi, agli oppressori e ai farisei di tutte le pelli. Un paese dentro il quale si parla con tutti: anche con la
pecora perdutasi tra i rovi. Con la pecora: ma anche con la rete da pesca, con gli arbusti della zizzania, con le perle e le monete, con le cinque fidanzate stolte fino ad appisolarsi, con i prati di trifoglio lucidati dal vento. Col cammelliere e la vedova, col ragazzo delle lentiggini sul viso.
Storie di pesche e di mari, di viti e di vigne. Ancora vigne: «Un uomo vi piantò una vigna» (liturgia della XXVII^ domenica del tempo ordinario). Anche stavolta una possibilità: l'ennesima. Una storia d'amore in cui l'Amore stavolta parla di sé in terza persona: è un vignaiolo. Un giorno parlerà di sé come di uno sposo e di un amante, di una ladro e di una massaia, di un mezzadro o di un esperto di legni. Stavolta l'Amore - l'amante e l'amato - è un vignaiolo, per l'appunto: vanga la vigna con cura, la sgombra dai sassi, ne pianta le viti scelte, ci mette una torre e vi scava un tino. Le mani dei fattori, invece, saranno mani ladre: un giorno non consegneranno più il frutto. Invidiose, addirittura omicide: «Da ultimo mandò il proprio figlio dicendo: avranno rispetto di mio figlio». Mica sono stupidi quei lavoratori: si rendono conto di ciò che si nasconde in quel Figlio, un'eredità spaventosa e fastidiosa. Imbarazzante. Quel giorno, cioè ieri - come oggi e come domani - il ragionamento è lo stesso: «Costui è l'erede. Uccidiamolo e avremo noi l'eredità». E' la sorte dei profeti: il popolo dice di amare i suoi profeti - addirittura invoca il Cielo di mandargli dei profeti come segnali stradali nelle strade di quaggiù -: se li incontra per strada, però, li ammazza a sassate. La loro profezia stordisce i sensi, rabbuia le previsioni, scompiglia il quieto vivere: è più rivolta che conformismo, è gridare quando tutti tacciono, è piangere quando tutti ridono. E' annunciare rovine imminenti quando tutti si stanno facendo le prove generali del funerale mangiando «pane e sicurezza» (1Ts 5,3): sono i bastian contrari del Cielo.
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno è quello che è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio" (I. Calvino, Le città invisibili)
Mica, però, sarà la fine: figurarsi. Neanche stavolta; anche stavolta si ricomincerà: «Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato ad un altro popolo che lo farà fruttificare». E' sempre questa la storia: a far i preziosi col Cielo mica sempre va bene. Il Cielo si stanca, anche Cristo sempre spossato per troppa fiducia, il Vignaiolo s'inventa una strada nuova dove sembra non esserci più strada alcuna. La strada che conoscono gli Amanti incalliti, laddove la gelosia rimane l'altra faccia della fedeltà: "mi concederò ad un altro popolo. Frequenterò altri amori, sarò amante di cuori più storditi". Gli altri, per l'appunto: quelli che mi ricordano che non sono l'unico, il migliore, lo spavaldo della mia storia con Lui. Gli altri, i maledetti: forse addirittura quelli che non lo conoscono, non lo incensano, magari neppure lo nominano. Davvero ad altri, Signore? Certo: quella Vigna è un tesoro, un capitale, una scommessa. Un deposito d'amore: lo nasconderà nelle mani di un mercante entusiasta, di una donna che ne capisce di pasta e di lievito, di un uomo capace di parlare con la senape e la sua piccolezza. Nelle mani di furfanti, di meretrici e di ladroni. Di gente infiacchita come a Cafarnao, di gente capricciosa come a Gerusalemme, di gente che s'immagina abbindolata come verso Emmaus.
Fedele rimane il Cielo: con quel suo amore e amare pazientemente l'umano. Fedele al punto tale d'essere vero: i contadini infedeli - come i servi infingardi, le spose distratte, i bambini viziati - verranno punito tragicamente: verrà tolto loro l'amore. Non verrà distrutta la Vigna, ci sarà un cambio di gestione: quella terra va lavorata, coltivata, fatta fruttare. Nessun uomo potrà un giorno dirsi Dio: come nessun uomo potrà un giorno vantarsi d'aver annullato i sogni di Dio. Al massimo li avrà complicati. Che, poi, altro non è che un abituarsi all'Amore: «L'amore si mantiene fresco con una novità ogni giorno. Che non è il fiore, o un regalo qualsiasi. Perché tutto passa. Io ogni giorno mi devo re-innamorare di te. E tu di me. Inventandoci qualcosa di diverso» (A. Borsellino, Ti racconterò tutte le storie che potrò).
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