JUAN JOSE BARTOLOME sdb,Lectio Divina : Mt 22,34-40
26 ottobre 2014 | 30a Domenica A - T. Ordinario | Omelia di approfondimento
Può essere che oggi il vangelo ci risulti molto noto. Gesù non ci svela niente di nuovo, ricordandoci che l'amore senza misura a Dio e l'amore al prossimo come a noi stessi sono i doveri fondamentali del credente. Sappiamo tanto bene qual è il primo comandamento, quello che in realtà importa, che ci sentiamo liberi di compiere o no tutti gli altri. E non è che ci manchi la ragione: come non ci risulta difficile
convincerci che, in fondo, amiamo bene Dio, e prestiamo poca attenzione a quanto Egli vuole da noi; credendo di amarlo sinceramente ci dispensiamo di conoscere la sua volontà; sentendo l'amore che abbiamo per lui, non ci preoccupiamo dell'amore che egli ha per noi. Ai 'buoni' cristiani normalmente ci basta amarlo per non dovere amare il suo volere. Per quel motivo, i 'buoni' cristiani normalmente non prestiamo molta attenzione ai comandamenti di Dio.
"In quel tempo,
34 i farisei, sentendo che Gesù aveva fatto tacere i sadducei, si runirono insieme, 35e uno di essi, doctore della Legge, gli domandò per metterlo alla prova:
36 "Maestro, quale è il comandamento principale della Legge?"
37 Egli gli disse: "Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente."
38 Questo comandamento è il primo ed il più grande. 39 Il secondo è simile a quello:
"Amerai il tuo prossimo come te stesso."
40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge ed i profeti."
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Matteo ha trasformato in aspro dibattito sulla Scrittura quello che era una benevolente discussione (Mc 12,28-34) nella sua fonte: dietro la 'vittoria' dialettica di Gesù sui sadducei (Mt 22,23-33), i farisei si vedono obbligati a ricorrere ad un perito per mettere alla prova Gesù, riconosciuto come maestro. Benché la questione sembri logica, data la molteplicità di precetti che includeva la Legge, il narratore scopre la cattiva intenzione con la quale domandano. Non stiamo, dunque, davanti ad una discussione tra scuole di interpretazione bensì davanti ad una autentica 'trappola'. La risposta di Gesù è tradizionale, ortodossa perfino: combina due comandamenti della Legge, l'amore assoluto e totalizzante a Dio (Dt 6,5) e l'amore al prossimo basato sull'amore a se stesso (Lv 19,18). In realtà, l'evangelista non annota reazione negli interlocutori: non potevano che non essere d'accordo con lui.
Con tutto ciò, Gesù, in Matteo, non propone una scala di entrambi i precetti (Mc 12,31); li mette allo stesso livello: uno è il primo e principale ed il secondo, è simile al primo. Senza essere identici, né equivalenti, sono perfetti ed imprescindibili; non sono intercambiabili, né è alterabile la loro sequenza. Ma, commenta Gesù chiudendo la discussione, ambedue compiono tutta la Legge e aggiunge inaspettatamente, i profeti. Entrambi gli amori sono di obbligo compimento, non sono opzioni libere; non dipendono dall'affetto che meritano Dio ed il prossimo, bensì solo dall'obbedienza a Dio. Da quel doppio amore 'dipende' la Legge ed i Profeti, perché la sostiene. Un doppio amore è, dunque, il supporto della Legge.
2 - MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Di fronte alla moltitudine di precetti, 248, e proibizioni, 365, che sviluppavano la legge di Dio, è comprensibile la perplessità di chi, ai tempi di Gesù, fossero interessati del loro compimento: se tutto era voluto da Dio, niente poteva essere dimenticato. Ma, non c'era qualcosa di più importante di tutto il resto? La risposta di Gesù non è originale, ma centra il problema e dà un criterio per discernere dove uno si gioca il compimento della legge: non è decisiva l'obbedienza, bensì la qualità e la ragione di essa. L'obbedienza dovuta a Dio è questione di amore; solo accondiscendendo, si soddisfa il volere di Dio; l'ubbidiente si differenzia dal servo perché ama colui al quale ubbidisce; Dio non vuole servi bensì persone che lo amano. E, evidentemente, Egli ha il primato di questa obbedienza/amore; così rimane, inoltre, ben fondato l'amore dovuto al prossimo.
La cosa essenziale nel compimento della legge non è tanto il seguire scrupoloso e dettagliato di un codice di norme, quanto il motivo ed i beneficiari della nostra obbedienza: Dio ed il prossimo. Se sono voluti, tutto quello che facciamo è compimento della volontà divina; se non sono amati, e con tutto il cuore, non è altro che lo scrupoloso compimento di tutta la legge. Cosicché, o perché lo diamo per scontato, o perché non vogliamo informarci, non ci preoccupa molto di conoscere che cos'è quello che vuole Dio da noi.
Certo, il nostro non è il problema che si ponevano i contemporanei di Gesù che desideravano compiere davvero, la volontà di Dio fin nelle minuzie più insignificanti. Di fronte alla moltitudine di precetti e proibizioni che sviluppavano la legge di Dio - ne avevano registrati più di 700 -, è più che logico che si sentissero perplessi: se tutto era voluto da Dio, niente poteva essere sottovalutato; se tutto era comandato, tutto doveva essere ubbidito; non compiere un precetto significava non compiere la volontà di Dio.
Ma simile sforzo di obbedienza, tanto particolareggiato, per forza doveva essere opprimente e, alla fine, inutile: chi potrebbe vantarsi di avere osservato tutti i 248 precetti e non avere trasgredito nessuna delle 365 proibizioni? Fu questa preoccupazione religiosa, profondamente sincera, quella che spinse Gesù a far riflettere: non ci sarebbe nella legge qualcosa di più importante di tutto il resto?; non vorrebbe Dio dai suoi, soprattutto, qualcosa di speciale?
Nella sua risposta Gesù non fu molto originale. Soluzioni come la sua le avevano date altri maestri. Ma si attenne alla questione esposta: l'amore a Dio, totale e senza eccezioni, è il primo precetto. Potrebbe sembrarci che una soluzione tanto semplice faciliti il compito. C'è da pensare, piuttosto, che, riducendo tutti i precetti della legge all'amore esclusivo a Dio, Gesù ci complicò la vita. Perché non si tratta solo, e pensando che ciò fosse possibile, di attenersi a quello che ci comanda o proibisce; Dio esige che, quando gli ubbidiamo, lo facciamo non perché lo vogliamo, bensì perché l'amiamo davvero. Nel servizio di Dio tutto quanto si faccia di più, o sia dovuto, perché ci è stato comandato, o sia straordinario, risulta inutile, non serve a niente, se non si fa come espressione dell'amore che abbiamo per Lui. Per questo motivo, la prima cosa che Dio chiede dai suoi non è l'obbedienza puntuale, il compimento della sua volontà, bensì l'amore totale e personale.
Il Dio di Gesù non vuole vicino a sé figli educati ma figli che amano, e non servi: l'obbedienza che non nasca nel cuore può essere puntuale ed eccezionale, ma non sarà mai meritoria né degna di Dio; a niente serve un compimento scrupoloso del volere di Dio, se è solo frutto della nostra paura; il padrone non il Padre, si teme, quando si ubbidisce; dal padrone, non dal Padre, ci si aspetta riconoscenza ed un salario, quando gli è stato prestato un servizio. Il rispetto a Dio e alla sua legge non nasce dalla paura ma nel cuore del servo; sentirci obbligati a fare il volere di Dio, senza volergli bene davvero, svelerebbe l'inutilità dei nostri sforzi e la falsità della nostra obbedienza: ci scoprirebbe che, invece di amare un Dio Padre, serviamo un Dio Padrone. Un'obbedienza, per molto esigente e curata che sia, non serve a niente, se non è frutto dell'amore.
L'obbedienza dovuta a Dio è, dunque, commercio di amore; amare col cuore Dio è sempre previo, e più importante che fare con le mani il suo volere. Dio vuole trasformare i suoi servi in figli: col risultato che impone soprattutto l'amore con tutte le forze e che si ami ubbidendo. Sfortunatamente possiamo avere una vita cristiana, molto preoccupati a compiere la legge di Dio ed orgogliosi di non offenderlo troppo, ma di non amarlo sopra tutte le cose e con tutto il cuore. A ben poco ci servirebbe tanto sforzo!
Domandarci oggi che cos'è ciò che ci spinge a compiere la sua volontà ci aiuterebbe a vedere quanto ci importa Dio, e se in realtà, lo amiamo: se continuiamo ad essere buoni cristiani, cercando di osservare la legge di Dio, solo perché temiamo di perderci un giorno, perché temiamo la punizione di Dio, ci siamo persi già il Padre che abbiamo in Dio ed abbiamo smesso di essere i figli che Egli vuole avere in noi.
L'osservanza della legge di Dio è cosa, dunque, di cuore. E precisamente perciò, perché Dio ama tutti i suoi figli, vuole che ci amiamo gli uni gli altri. Il secondo comandamento, uguale al primo in obbligatorietà, mette il prossimo come obietto delle nostre attenzioni. Chi osserva la volontà di Dio si trasforma in guardiano di suo fratello. L'obbedienza che dobbiamo a Dio, frutto ed espressione dell'amore che abbiamo, ci fa riconoscere nel prossimo i figli che Dio ama. E ci impone di amarli come Dio vuole, cioè, come noi stessi ci amiamo. La risposta non poteva essere superiore; ma Dio, volendo una obbedienza che è tema di amore, non dovrebbe risultarci né importuna né impossibile.
La cosa essenziale nel compimento della legge di Dio non è tanto il compimento scrupoloso e dettagliato di un codice di norme, quanto il motivo, l'amore. Ed i beneficiari della nostra obbedienza: Dio ed il prossimo. Se sono voluti, tutto quello che facciamo è compimento della volontà divina; se non sono amati, e con tutto il cuore, non facciamo niente di più che compiere tutta la legge, per perfetto che questo sia. A niente serve un compimento di legge che non ci fa amare Dio ed il prossimo come noi stessi.
Con la sua risposta Gesù ci ha creato un problema. Egli non vuole che ubbidiamo, molte volte ed in molte cose piccole; pretende, piuttosto che tutto quello che facciamo sia fatto con tutto il cuore. L'ubbidiente che compie il volere di Dio, perché lo ama ed ama il suo prossimo perché Dio lo vuole, non rimane contento con sé stesso, benché abbia fatto tutto quello che era esatto: chi ama in realtà, vorrà sempre amare di più, e meno gli costerà ubbidire. Se oggi non ci preoccupa tanto l'obbedienza a Dio, come al tempo di Gesù, non sarà perché non lo amiamo tanto quanto essi? Se la nostra vita di pietà verso Dio, non mette Dio che serviamo, al di sopra di tutte le cose che abbiamo, per quale motivo dobbiamo continuare ad obbedire a lui? Quando il compimento della sua volontà non ci trasforma in figli, a ben poco serve la nostra obbedienza.
Gesù ci ha proposto il volere di Dio come norma di vita affinché amiamo Dio mentre gli ubbidiamo; così si facilita la nostra obbedienza. Gesù ci ha proposto, inoltre, che amiamo il prossimo come se fossimo noi stessi, affinché incontriamo noi stessi mentre amiamo lui; così rimane facile l'obbedienza.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb,
Può essere che oggi il vangelo ci risulti molto noto. Gesù non ci svela niente di nuovo, ricordandoci che l'amore senza misura a Dio e l'amore al prossimo come a noi stessi sono i doveri fondamentali del credente. Sappiamo tanto bene qual è il primo comandamento, quello che in realtà importa, che ci sentiamo liberi di compiere o no tutti gli altri. E non è che ci manchi la ragione: come non ci risulta difficile
convincerci che, in fondo, amiamo bene Dio, e prestiamo poca attenzione a quanto Egli vuole da noi; credendo di amarlo sinceramente ci dispensiamo di conoscere la sua volontà; sentendo l'amore che abbiamo per lui, non ci preoccupiamo dell'amore che egli ha per noi. Ai 'buoni' cristiani normalmente ci basta amarlo per non dovere amare il suo volere. Per quel motivo, i 'buoni' cristiani normalmente non prestiamo molta attenzione ai comandamenti di Dio.
"In quel tempo,
34 i farisei, sentendo che Gesù aveva fatto tacere i sadducei, si runirono insieme, 35e uno di essi, doctore della Legge, gli domandò per metterlo alla prova:
36 "Maestro, quale è il comandamento principale della Legge?"
37 Egli gli disse: "Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente."
38 Questo comandamento è il primo ed il più grande. 39 Il secondo è simile a quello:
"Amerai il tuo prossimo come te stesso."
40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge ed i profeti."
1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Matteo ha trasformato in aspro dibattito sulla Scrittura quello che era una benevolente discussione (Mc 12,28-34) nella sua fonte: dietro la 'vittoria' dialettica di Gesù sui sadducei (Mt 22,23-33), i farisei si vedono obbligati a ricorrere ad un perito per mettere alla prova Gesù, riconosciuto come maestro. Benché la questione sembri logica, data la molteplicità di precetti che includeva la Legge, il narratore scopre la cattiva intenzione con la quale domandano. Non stiamo, dunque, davanti ad una discussione tra scuole di interpretazione bensì davanti ad una autentica 'trappola'. La risposta di Gesù è tradizionale, ortodossa perfino: combina due comandamenti della Legge, l'amore assoluto e totalizzante a Dio (Dt 6,5) e l'amore al prossimo basato sull'amore a se stesso (Lv 19,18). In realtà, l'evangelista non annota reazione negli interlocutori: non potevano che non essere d'accordo con lui.
Con tutto ciò, Gesù, in Matteo, non propone una scala di entrambi i precetti (Mc 12,31); li mette allo stesso livello: uno è il primo e principale ed il secondo, è simile al primo. Senza essere identici, né equivalenti, sono perfetti ed imprescindibili; non sono intercambiabili, né è alterabile la loro sequenza. Ma, commenta Gesù chiudendo la discussione, ambedue compiono tutta la Legge e aggiunge inaspettatamente, i profeti. Entrambi gli amori sono di obbligo compimento, non sono opzioni libere; non dipendono dall'affetto che meritano Dio ed il prossimo, bensì solo dall'obbedienza a Dio. Da quel doppio amore 'dipende' la Legge ed i Profeti, perché la sostiene. Un doppio amore è, dunque, il supporto della Legge.
2 - MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Di fronte alla moltitudine di precetti, 248, e proibizioni, 365, che sviluppavano la legge di Dio, è comprensibile la perplessità di chi, ai tempi di Gesù, fossero interessati del loro compimento: se tutto era voluto da Dio, niente poteva essere dimenticato. Ma, non c'era qualcosa di più importante di tutto il resto? La risposta di Gesù non è originale, ma centra il problema e dà un criterio per discernere dove uno si gioca il compimento della legge: non è decisiva l'obbedienza, bensì la qualità e la ragione di essa. L'obbedienza dovuta a Dio è questione di amore; solo accondiscendendo, si soddisfa il volere di Dio; l'ubbidiente si differenzia dal servo perché ama colui al quale ubbidisce; Dio non vuole servi bensì persone che lo amano. E, evidentemente, Egli ha il primato di questa obbedienza/amore; così rimane, inoltre, ben fondato l'amore dovuto al prossimo.
La cosa essenziale nel compimento della legge non è tanto il seguire scrupoloso e dettagliato di un codice di norme, quanto il motivo ed i beneficiari della nostra obbedienza: Dio ed il prossimo. Se sono voluti, tutto quello che facciamo è compimento della volontà divina; se non sono amati, e con tutto il cuore, non è altro che lo scrupoloso compimento di tutta la legge. Cosicché, o perché lo diamo per scontato, o perché non vogliamo informarci, non ci preoccupa molto di conoscere che cos'è quello che vuole Dio da noi.
Certo, il nostro non è il problema che si ponevano i contemporanei di Gesù che desideravano compiere davvero, la volontà di Dio fin nelle minuzie più insignificanti. Di fronte alla moltitudine di precetti e proibizioni che sviluppavano la legge di Dio - ne avevano registrati più di 700 -, è più che logico che si sentissero perplessi: se tutto era voluto da Dio, niente poteva essere sottovalutato; se tutto era comandato, tutto doveva essere ubbidito; non compiere un precetto significava non compiere la volontà di Dio.
Ma simile sforzo di obbedienza, tanto particolareggiato, per forza doveva essere opprimente e, alla fine, inutile: chi potrebbe vantarsi di avere osservato tutti i 248 precetti e non avere trasgredito nessuna delle 365 proibizioni? Fu questa preoccupazione religiosa, profondamente sincera, quella che spinse Gesù a far riflettere: non ci sarebbe nella legge qualcosa di più importante di tutto il resto?; non vorrebbe Dio dai suoi, soprattutto, qualcosa di speciale?
Nella sua risposta Gesù non fu molto originale. Soluzioni come la sua le avevano date altri maestri. Ma si attenne alla questione esposta: l'amore a Dio, totale e senza eccezioni, è il primo precetto. Potrebbe sembrarci che una soluzione tanto semplice faciliti il compito. C'è da pensare, piuttosto, che, riducendo tutti i precetti della legge all'amore esclusivo a Dio, Gesù ci complicò la vita. Perché non si tratta solo, e pensando che ciò fosse possibile, di attenersi a quello che ci comanda o proibisce; Dio esige che, quando gli ubbidiamo, lo facciamo non perché lo vogliamo, bensì perché l'amiamo davvero. Nel servizio di Dio tutto quanto si faccia di più, o sia dovuto, perché ci è stato comandato, o sia straordinario, risulta inutile, non serve a niente, se non si fa come espressione dell'amore che abbiamo per Lui. Per questo motivo, la prima cosa che Dio chiede dai suoi non è l'obbedienza puntuale, il compimento della sua volontà, bensì l'amore totale e personale.
Il Dio di Gesù non vuole vicino a sé figli educati ma figli che amano, e non servi: l'obbedienza che non nasca nel cuore può essere puntuale ed eccezionale, ma non sarà mai meritoria né degna di Dio; a niente serve un compimento scrupoloso del volere di Dio, se è solo frutto della nostra paura; il padrone non il Padre, si teme, quando si ubbidisce; dal padrone, non dal Padre, ci si aspetta riconoscenza ed un salario, quando gli è stato prestato un servizio. Il rispetto a Dio e alla sua legge non nasce dalla paura ma nel cuore del servo; sentirci obbligati a fare il volere di Dio, senza volergli bene davvero, svelerebbe l'inutilità dei nostri sforzi e la falsità della nostra obbedienza: ci scoprirebbe che, invece di amare un Dio Padre, serviamo un Dio Padrone. Un'obbedienza, per molto esigente e curata che sia, non serve a niente, se non è frutto dell'amore.
L'obbedienza dovuta a Dio è, dunque, commercio di amore; amare col cuore Dio è sempre previo, e più importante che fare con le mani il suo volere. Dio vuole trasformare i suoi servi in figli: col risultato che impone soprattutto l'amore con tutte le forze e che si ami ubbidendo. Sfortunatamente possiamo avere una vita cristiana, molto preoccupati a compiere la legge di Dio ed orgogliosi di non offenderlo troppo, ma di non amarlo sopra tutte le cose e con tutto il cuore. A ben poco ci servirebbe tanto sforzo!
Domandarci oggi che cos'è ciò che ci spinge a compiere la sua volontà ci aiuterebbe a vedere quanto ci importa Dio, e se in realtà, lo amiamo: se continuiamo ad essere buoni cristiani, cercando di osservare la legge di Dio, solo perché temiamo di perderci un giorno, perché temiamo la punizione di Dio, ci siamo persi già il Padre che abbiamo in Dio ed abbiamo smesso di essere i figli che Egli vuole avere in noi.
L'osservanza della legge di Dio è cosa, dunque, di cuore. E precisamente perciò, perché Dio ama tutti i suoi figli, vuole che ci amiamo gli uni gli altri. Il secondo comandamento, uguale al primo in obbligatorietà, mette il prossimo come obietto delle nostre attenzioni. Chi osserva la volontà di Dio si trasforma in guardiano di suo fratello. L'obbedienza che dobbiamo a Dio, frutto ed espressione dell'amore che abbiamo, ci fa riconoscere nel prossimo i figli che Dio ama. E ci impone di amarli come Dio vuole, cioè, come noi stessi ci amiamo. La risposta non poteva essere superiore; ma Dio, volendo una obbedienza che è tema di amore, non dovrebbe risultarci né importuna né impossibile.
La cosa essenziale nel compimento della legge di Dio non è tanto il compimento scrupoloso e dettagliato di un codice di norme, quanto il motivo, l'amore. Ed i beneficiari della nostra obbedienza: Dio ed il prossimo. Se sono voluti, tutto quello che facciamo è compimento della volontà divina; se non sono amati, e con tutto il cuore, non facciamo niente di più che compiere tutta la legge, per perfetto che questo sia. A niente serve un compimento di legge che non ci fa amare Dio ed il prossimo come noi stessi.
Con la sua risposta Gesù ci ha creato un problema. Egli non vuole che ubbidiamo, molte volte ed in molte cose piccole; pretende, piuttosto che tutto quello che facciamo sia fatto con tutto il cuore. L'ubbidiente che compie il volere di Dio, perché lo ama ed ama il suo prossimo perché Dio lo vuole, non rimane contento con sé stesso, benché abbia fatto tutto quello che era esatto: chi ama in realtà, vorrà sempre amare di più, e meno gli costerà ubbidire. Se oggi non ci preoccupa tanto l'obbedienza a Dio, come al tempo di Gesù, non sarà perché non lo amiamo tanto quanto essi? Se la nostra vita di pietà verso Dio, non mette Dio che serviamo, al di sopra di tutte le cose che abbiamo, per quale motivo dobbiamo continuare ad obbedire a lui? Quando il compimento della sua volontà non ci trasforma in figli, a ben poco serve la nostra obbedienza.
Gesù ci ha proposto il volere di Dio come norma di vita affinché amiamo Dio mentre gli ubbidiamo; così si facilita la nostra obbedienza. Gesù ci ha proposto, inoltre, che amiamo il prossimo come se fossimo noi stessi, affinché incontriamo noi stessi mentre amiamo lui; così rimane facile l'obbedienza.
JUAN JOSE BARTOLOME sdb,
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