padre Gian Franco Scarpitta " E' qui la festa?"

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/10/2014)
Vangelo: Mt 22,1-14
Il Regno dei Cieli è adesso. Ce lo presenta nella sua attualità Dio Padre nelle parole e nelle opere, ordinarie e straordinarie di Gesù suo Figlio, le quali attestano a una realtà innovativa che in esso nulla attiene alla conquista dell'uomo. Solo Dio è capace di offrircelo come un fatto d'amore e di predilezione, come un dono. In Gesù Cristo il Regno è attualità, non è una chimera e anche se
di esso si attende la pienezza definitiva in una dimensione lontana e inaspettata (alla fine dei tempi), adesso se ne possono cogliere i segni e i frutti. Uno di questi frutti è la gioia.
Gesù ne è apportatore e se ne rende dispensatore egli stesso presentandola sotto tanti aspetti e numerose immagini, fra queste ad esempio quella del vino associato al banchetto: l'uno è l'altro sono espressione di prosperità e di ricchezza e simboleggiano la letizia e la gioia dell'uomo raggiunto dalla salvezza di Dio. Ovunque vi siano vini e pasti sontuosi, è presente la gioia salvifica e per questo già il profeta Isaia (I Lettura) associa nel suo messaggio fantasioso e affascinante "i vini raffinati e i cibi succulenti", atti ad esprimere la sontuosità del banchetto istituito da Dio per la salvezza degli uomini. Andando ben oltre, Gesù si qualifica come "vino nuovo", elemento innovativo che fonda la gioia e la salvezza di tutti ed è lui stesso ad imbandire per tutti la tavola nuziale essendo egli stesso lo "sposo". Ciò nondimeno la novità del Regno richiede consapevolezza e decisione a parte dell'uomo, come pure una presa di distanza da quelle che sono sempre state le congetture e i pensieri propriamente terreni. Il Regno non fruttifica infatti se non viene accolto disinteressatamente come dono al quale aprirsi con sentire di riconoscenza e di accettazione libera e gratuita. Continuare ad anteporre altre realtà o desideri personali all'evento unico del Regno vuol dire sminuirne la portata, vanificare la ricchezza del dono e opporre ad esso resistenza.
In una parola, la necessità imposta dal Regno è quella della conversione, che comporta che ci riconosciamo peccatori e che nonostante i nostri limiti siamo raggiunti dalla gratuità del dono di Dio. Convertirsi vuol dire mutare aspetto radicale di noi stessi in ragione della presenza effettiva del Regno, a cominciare dalla cultura, dalla mentalità, a seguire con la disposizione a fare in tutto la volontà del Padre. Se il Regno dei Cieli è adesso, anche la conversione deve essere adesso. Essa non ammette procrastinazioni e tentennamenti, ma vuole presa di coscienza e decisione senza le quali si è condannati a finire in pasto della mediocrità e della pochezza della vita.
L'incontro fra Dio e l'uomo cambia la vita ed è sempre una festa, allusivo di gioia che rifulge in ciascuno e che si irradia da noi presso altri e a tale banchetto tutti quanti si è invitati, senza riserve né eccezioni. Ma non è autoescludersi dalla festa perenne l'ostinazione a trovare pretesti per non partecipare ad un banchetto? Opporre tante altre scelte di comodo, anteporre al Regno le umane preferenze che dovrebbero passare in second'ordine non è un estraniarsi dalla gioia che gratuitamente ci viene data? Se si viene invitati ad una festa di nozze, è meschino apporre dei pretesti per non parteciparvi e non si rende certo onore allo sposo quando deliberatamente ci si assenta. Ricercare le vanità e le presunzioni del mondo e metterle prima della scelta fondamentale di Dio vuol dire squalificare la portata della festa, smentire la gioia dell'incontro. Allontanarsi da Dio mentre Lui ci si fa vicino non può che screditare noi stessi anche come uomini e il fatto stesso di voler preferire l'umano al divino equivale a mancare ad una grossa opportunità che viene data esclusivamente a noi. Mancare alla conversione e presumere di poter procedere con i nostri parametri ci esclude inesorabilmente dalla vita.
E' il caso degli invitati a nozze che, convocati tutti quanti indistintamente, non si mostrano degni di banchettare con il padrone di casa. La loro attenzione è rivolta a ben altro che ad accogliere con gioia l'opulenza luculliana di un banchetto di festa e di conseguenza non vengono più considerati degni dell'invito. Dio ci convoca tutti alla sua mensa, il pasto è riservato senza riserve e non vi sono restrizioni né limitazioni negli accessi. In un altro contesto Isaia (61) aveva invitato tutti a "consumare senza denaro e senza spesa vino e latte", ad indicare la ricchezza della novità di gioia nei rapporti con il Signore, la pienezza di vita nella comunione con Dio Padre; questo tuttavia non potrà mai aver luogo finché non ci si dispone alla conversione, cioè alla presa di distanza dalle congetture e dalle scelte preferenziali umane per assumere quelle di Dio.
Ma conversione e fede sono sufficienti quando non scaturiscono e non traspaiono nelle concrete opere di amore? E' possibile parlare di avvenuta accettazione del Regno (Conversione) quando ad essa manchi la conseguenza delle opere degne di penitenza che attestino all'amore che da Dio ci è stato dato?. Come insegna Paolo, il Regno di Dio non consiste in parole ma in opere (1 Cor 4, 20) ed è vano anche il credere e il pregare quando non sia accompagnato dall'amare. Se la carità deriva da una fede sincera, la fede si traduce in una sincera carità che ne è la sua condizione indispensabile. E così un altro segno della presenza del Regno è il vestito di festa, che del resto è anche una significazione della gioia interiore vissuta: la perfezione morale e la munificenza di atti di misericordia costituiscono la veste nuziale di chi è stato invitato al banchetto. Chi non la indossa non può far parre della festa infinita di Dio.
. E' vero: non è l'abito a costituire lo spirito festoso e la vera irreprensibilità non la si vede certo nel lusso e nel vestiario attillato o nel fare compassato e dimesso; anzi tutto questo può anche essere indice di ipocrisia e di falsità; ma se è vero che un volto sereno esprime un animo buono, è di indubbia certezza che una veste candida e pulita è il contrassegno di una condotta irreprensibile, di uno stato morale esaltante. Insomma l'abito a festa è allusivo alla bontà e alla perfezione sulle orme di Cristo e pertanto anche alla carità operosa. Tutti sono invitati alla comunione sponsale con Cristo e anzi tutti quanti siamo invitati a sposare lo stesso Cristo (a sua volta sposo della Chiesa), ma dal salone delle feste si può sempre essere estromessi quando manchino in noi carità e santità di vita e quando queste manchino di trasparire nella fattezza delle opere buone.
Del resto il Regno di Dio crea nuove relazioni e fonda nuovi ambiti di comunicazione umana e per ciò stesso non può essere un'astrazione, ma deve riguardare il nostro vissuto per intero, l'edificazione e il rinnovamento del mondo, la lotta coraggiosa contro le aberrazioni del male, la conquista di nuove dimensioni di vita valevoli per tutti.

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