Paolo Zamengo sdb"L’isola e l’oceano"
Nel nostro cuore vive e opera una forza di attrazione che in forma graduale e, a volte, anche a strattoni, sposta il suo baricentro e lo attira inesorabilmente verso Dio. Dal suo primo vagito l’uomo è affamato e assetato di vita e di vita eterna. La sua vocazione di figlio canta nostalgia di casa.
Se la commemorazione dei defunti produce
amarezza per il distacco dai propri cari, dall’ altro offre la contemplazione di un oltre di grazia che proviene dalla risurrezione di Gesù. Gesù non ha promesso che i suoi amici non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita centenaria. Essenziale per Gesù è vivere oltre la morte del corpo.
L’eternità è gettata come un seme nel cuore dell’uomo. Vi entra fin dal primo respiro, molto prima che la vita eterna cominci a compiersi. E cresce con la fede e con gesti d’amore. Per questo il vangelo insegna ad avere più paura di una vita sbagliata che della morte. Invita a temere una vita vuota più che l’ultima frontiera del tempo.
La vita eterna non è una favola o un sogno ma la speranza del vangelo che trova concretezza. Per il cristiano che unisce la sua vita a quella di Cristo, la morte è entrare con lui nella vita eterna.
Oggi siamo totalmente assorbiti dalle cose terrene. Ci è difficile pensare a Dio come protagonista della storia e della vita. Sentiamo un insopprimibile anelito alla giustizia, alla verità, alla felicità piena e duratura ma crediamo che tutto sia il frutto delle nostre mani.
Ma per i discepoli di Gesù, la vita eterna non indica solo una vita che dura per sempre ma una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di Dio che libera dal male, da ogni male e pone in comunione senza fine quanti partecipano al suo amore eterno.
La morte di Gesù apre l’orizzonte umano alla luce di una vita nuova e piena. La morte di Gesù è come un grande oceano in cui si raccolgono tutti i morti della storia. La sua risurrezione è il nuovo paradiso preparato per coloro che sono illuminati dalla sua luce.
Mi piace e mi consola questa immagine. La mia vita è una piccola e forse sconosciuta isola. Ma i suoi confini, i miei confini, sono l’inizio dell’oceano.
Se la commemorazione dei defunti produce
amarezza per il distacco dai propri cari, dall’ altro offre la contemplazione di un oltre di grazia che proviene dalla risurrezione di Gesù. Gesù non ha promesso che i suoi amici non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita centenaria. Essenziale per Gesù è vivere oltre la morte del corpo.
L’eternità è gettata come un seme nel cuore dell’uomo. Vi entra fin dal primo respiro, molto prima che la vita eterna cominci a compiersi. E cresce con la fede e con gesti d’amore. Per questo il vangelo insegna ad avere più paura di una vita sbagliata che della morte. Invita a temere una vita vuota più che l’ultima frontiera del tempo.
La vita eterna non è una favola o un sogno ma la speranza del vangelo che trova concretezza. Per il cristiano che unisce la sua vita a quella di Cristo, la morte è entrare con lui nella vita eterna.
Oggi siamo totalmente assorbiti dalle cose terrene. Ci è difficile pensare a Dio come protagonista della storia e della vita. Sentiamo un insopprimibile anelito alla giustizia, alla verità, alla felicità piena e duratura ma crediamo che tutto sia il frutto delle nostre mani.
Ma per i discepoli di Gesù, la vita eterna non indica solo una vita che dura per sempre ma una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di Dio che libera dal male, da ogni male e pone in comunione senza fine quanti partecipano al suo amore eterno.
La morte di Gesù apre l’orizzonte umano alla luce di una vita nuova e piena. La morte di Gesù è come un grande oceano in cui si raccolgono tutti i morti della storia. La sua risurrezione è il nuovo paradiso preparato per coloro che sono illuminati dalla sua luce.
Mi piace e mi consola questa immagine. La mia vita è una piccola e forse sconosciuta isola. Ma i suoi confini, i miei confini, sono l’inizio dell’oceano.
Commenti
Posta un commento