Commento a cura delle Clarisse di Città della Pieve" Cristo Re "

Commento su Matteo 25,31-46
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (23/11/2014)
Tutti, che riusciamo a riconoscerlo o no, abbiamo bisogno di un riferimento, di qualcuno a cui affidare la nostra vita, le nostre preoccupazioni, i nostri dubbi: tutti cerchiamo un "Re"! A volte le persone apparentemente più autonome e intraprendenti sono poi quelle che
tradiscono negli ambiti di vita più intimi un bisogno ancora più profondo di cura e custodia. E' la natura umana ad essere così, nasciamo in questa fragilità e moriamo in questa stessa fragilità, al punto che Gesù stesso, assumendo la nostra natura, si è fatto bisognoso di cure, nella semplicità della grotta di Betlemme come nella drammaticità del Monte degli Ulivi e del Calvario. E se nascita e morte sono le due condizioni estreme in cui l'uomo deve vivere forzatamente affidato, è pur vero che anche nell'età matura cerca compagni di cammino, cerca spalle su cui appoggiare il dolore, cerca un sorriso sul volto altrui per condividere la gioia. E' la natura umana che è così, creata così: "Non è bene che l'uomo sia solo..." (Gen 2,18b), è il pensiero di Dio appena dopo la creazione del primo uomo.
Quante volte però siamo traditi in questo bisogno fondamentale di custodia! Inutile ricordare i tanti fatti dolorosi di cronaca che vedono bambini vittime di sfruttamento e violenza da parte degli adulti, di coloro che dovrebbero custodirli; e sappiamo bene quanto esperienze di questo genere segnino pesantemente e a volte indelebilmente il percorso di vita successivo! Per questo Gesù, interrogato dai discepoli su come si deve pregare, risponde semplicemente: "Quando pregate, dite: Padre..." (Lc 11,2a). Infatti: "Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore... Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare... Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia" (Ez 34, 11.15-16).
"Io stesso": è quanto ci ricorda con forza la liturgia di oggi. Ezechiele sta dando voce a Dio che si scaglia contro i cattivi pastori, che pascono se stessi invece del gregge (cf. Ez 34,1ss.), e subito rassicura il popolo: "State tranquilli che comunque io ci sono, io intervengo, io faccio giustizia". Come? Certo attraverso "buoni pastori", dove per "buoni pastori" si intendono coloro che fanno gli interessi delle pecore, che cercano il loro vero bene. Ma questi pastori, come sapientemente ci suggerisce Sant'Agostino nel suo Discorso ai pastori, si trovano raccolti nell'unico pastore. "Non è infatti vero che manchino i buoni pastori: essi si trovano nell'unico pastore... In essi che pascolano, è Cristo che pascola". E infatti, anche quando venissero "giorni nuvolosi e di caligine" (Ez 34,12), in cui non si trovassero buoni pastori, Cristo, il "buon pastore" (Gv 10,11) ci sarà, e in qualche modo ci raggiungerà e ci pascerà. Per questo è bene che gli altri pastori - sia ringraziato il Cielo quando ci sono - siano collocati nella loro giusta posizione di mediatori, mentre Lui, Cristo, sia l'unico nostro Re, l'unico a cui dare obbedienza, l'unico a cui prestare pieno ascolto, l'unico signore incontrastato della nostra vita.
"E' necessario che egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi" (1Cor 15,25): questa lotta tra il nostro Re e i suoi nemici, che poi altro non sono che i nostri stessi nemici, si ingaggia fin d'ora nella vita di ciascuno di noi, a noi sta scegliere con chi allearci, con chi schierarci. Sembrerebbe scontato dire: "Io sono di Cristo" (cf. 1Cor 1,11), e di fatto normalmente riconosciamo questa sua signoria nella nostra vita, la professiamo con convinzione... con la bocca, mentre poi nella vita spesso ci troviamo - seppure nostro malgrado - a servire altri padroni. "Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza" (Mt 6,24), ci ricorda Gesù, dove per ricchezza possiamo intendere tutto ciò che in qualche modo gonfia il nostro io e lo illude di poter fare a meno di Dio, di poter vivere di risorse proprie.
Tutti conosciamo questa fatica, questa lotta quotidiana per rimettere Cristo al centro. Il vangelo della liturgia di oggi ci offre un'indicazione preziosa per riuscire vittoriosi: rimettere al centro il povero, fare dei poveri i nostri signori, come ci ricorda S. Vincenzo de' Paoli: "Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni". Ecco un modo concreto, verificabile, dunque sicuro, per fare di Cristo il Signore unico della nostra vita: soccorrere Cristo nel povero, consolarlo, curarlo, usargli misericordia... In fondo è la "regola d'oro" che Lui stesso ci ha consegnato: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12). All'inizio dicevamo che tutti cerchiamo in qualche modo più o meno esplicito e a volte maldestro un Re: la via che ci indica Gesù per essere sicuri di averlo è quella di farci noi stessi re per gli altri, nel nome di Cristo, vale a dire nello spirito di servizio e di sottomissione che Lui stesso ha vissuto e che Lui stesso ci indica, al punto che "quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28).
Infine, "l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte" (1Cor 15,26). Il timore della morte, il grande timore che accompagna la nostra vita dal suo stesso nascere, quell'insicurezza ontologica che ci spinge a cercare un Re, il nemico per eccellenza, pure lui sarà vinto, nella misura in cui ci sottometteremo a Cristo, facendo di Lui il nostro Signore e lasciandoci condurre nella piena sottomissione al Padre, Signore della vita: "Dio non dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per Lui" (cf. Lc 20,38). Ecco perché San Vincenzo, forte della sapienza della sua santità, ci assicura: "Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte".

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