dom Luigi Gioia " La sapienza si lascia trovare da quelli che la cercano"

Dedicazione della Basilica Lateranense (09/11/2014)
Vangelo: Gv 2,13-22 
Questa lettura dal libro della Sapienza ci parla di saggezza. E il vangelo di questa
domenica ci parla anch'esso di vergini sagge. Questa sapienza o saggezza non è qualcosa che
si acquisisce con lo studio, riservato ai teologi o ai filosofi. E' un altro tipo di saggezza, che
possiamo capire con l'aiuto della etimologia cioè del senso originale di questa parola.
"Sapienza" viene dal latino sàpere che vuol dire "gustare", "trovare, percepire il gusto delle

cose". In questa luce, il saggio in generale è chi ha sviluppato un gusto per le cose. Da un
punto di vista cristiano, il saggio è quindi colui che vive di questa sapienza che è Dio stesso,
è colui che ha sviluppato un gusto per le cose di Dio, che vive la vita cristiana, che prega, che
legge la parola di Dio non per dovere, ma perché ama farlo, perché ha scoperto il sapore di
queste cose, ha scoperto che si tratta di un cibo che non solo nutre, ma è come miele per il
palato: è qualcosa che piace, è qualcosa che da gioia.
Certo all'inizio non è facile scoprire il "sapore" delle cose di Dio. Che gusto c'è a fermarsi,
a chiudere gli occhi, a cercare di raccogliere mente e cuore per restare in presenza di Dio,
per cercare di pregare? Che gusto c'è ad andare a messa la domenica? Che gusto c'è nel
ripetere sempre le stesse preghiere, nel partecipare alle stesse liturgie? Che gusto c'è
nell'ascoltare sempre gli stessi brani del Vangelo che conosciamo a memoria, o crediamo di
conoscere? E potremmo continuare a lungo in questa lista. Spesso la preghiera ci annoia, la
messa ci stanca, per non parlare della lettura della parola di Dio che spesso troviamo
distante, incapace di motivarci. Siamo come queste vergini che si addormentano. Ci
addormentiamo nel senso che diventiamo abitudinari, che siamo costantemente distratti,
che finiamo con il vivere la fede come routine, senza pensare mai al Signore. Dio diventa il
grande dimenticato delle nostre giornate.
C'è dunque un'operosità, un desiderio, una ricerca da intraprendere per scoprire il gusto
delle cose di Dio. La sapienza, dice la prima lettura, si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. Il salmista parla di cercarla fin dall'aurora, con
desiderio, con sete. Si ricorda di essa nel proprio giaciglio. Veglia la notte pensando ad essa.
Al tempo stesso questa ricerca della sapienza, del gusto delle cose di Dio è già dolce. Vi ci si
dedica volentieri, perché in questa stessa ricerca è nascosta una gioia.
Chi si alza di buon mattino per cercarla - dice ancora la prima lettura - non si
affaticherà. La troverà seduta alla porta. Come Gesù nel Vangelo, quando dice: il mio
giogo è soave, è dolce. E poi il salmo 62 dice: Come saziato dai cibi migliori, con labbra
gioiose ti loderà la mia bocca. Ci dobbiamo lasciar saziare dai cibi migliori, cibi che hanno
gusto, cibi che ci invogliano a ritornare a nutrirci.
Di quale gusto, di quale sapore stiamo parlando? Cos'è che ci attira al Signore? Che cosa
ci attira alle cose del Signore?
San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi afferma: Non vogliamo, fratelli, lasciarvi
nell'ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi, come gli altri
che non hanno speranza.
Il cristiano trova riposo nella speranza, trova gusto nella speranza, una speranza fondata
sulla fede. La fede ci offre una consolazione, dà un senso a quello che viviamo, sia ai
momenti di gioia che alle prove e ai momenti di dolore. La fede ci risolleva, ci nutre quando
siamo affaticati sul nostro cammino, ci disseta quando le circostanze della vita ci
inaridiscono, raggrinziscono il nostro cuore, ci chiudono in noi stessi. Dando senso alla
nostra vita, consolandoci, risollevandoci, nutrendoci, la fede appunto alimenta la speranza.
Quale ventata di freschezza, quale riposo nella sofferenza, quale senso inspiegabile di gioia e
di serenità la preghiera può inaspettatamente diffondere nel nostro cuore! Basta levare lo
sguardo al cielo, basta invocare il Signore, anche solo con una frase, basta rivolgersi a lui.
Basta cominciare a cercare seriamente questa sapienza, questo gusto per le cose di Dio,
per trovarla seduta alla nostra porta di casa. Questo vale per la preghiera: è sufficiente
pensare un attimo al Signore per scoprirlo al nostro fianco, per scoprire che non ci ha
abbandonati un secondo, che è stato sempre vicino a noi, ma noi non eravamo attenti a lui.
Eravamo noi che lo ignoravamo, noi che non eravamo più coscienti della sua presenza.
La più grande consolazione della fede e della speranza è proprio questa: il Signore è con
noi, saremo sempre con lui, come dice Paolo riguardo alla vita eterna. Saremo sempre con
lui, perché lui è con noi. E' già con noi adesso e ci vuole con lui per l'eternità. E' venuto per
essere il Dio-con-noi, l'Emanuele - perché Emanuele vuol dire proprio questo: "Dio con
noi", un Dio che trova, come la sapienza nell'Antico Testamento, la sua gioia nell'essere con i
figli dell'uomo.
Questo è il nostro grande motivo di speranza. Ci è riservata una vita nella quale saremo
sempre con lui. Prima - dice Paolo - risorgeranno i morti in Cristo e quindi noi, che
viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi per
andare incontro al Signore in alto e così per sempre saremo con il Signore.
La morte può certo far paura ad un cristiano come ad ogni altra persona umana, perché è
uno stacco brutale, perché comporta assenza fisica, perché il sentimento di abbandono ci
invade. La saggezza cristiana però ci fa scoprire il lato bello non della morte ma della
rinascita che coincide con la morte, il suo aspetto luminoso. La sapienza trasfigura la morte
in una immensa speranza, la trasforma in qualcosa che in un certo senso ha un gusto, ha un
sapore. Non la morte stessa, ma appunto questa rinascita che coincide con la morte, questa
esistenza piena che si inaugura con la nostra partenza da questa vita. La morte non è
solitudine ma è comunione, è unione definitiva a Cristo: saremo sempre con lui e lui è il
vivente. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vive in me e io in lui e non vedrà la
morte. Noi non vedremo la morte. La morte la vedono gli altri. I cristiani non vedono la
morte, perché nell'istante stesso nel quale chiudono i loro occhi, li riaprono per vedere il
Signore e essere con lui per sempre. Come le vergini sagge, entrano con lui nelle nozze, nel
banchetto, nella gioia stessa di Dio.
Lasciamo allora questa frase alimentare la nostra preghiera, diventare un test per
misurare la nostra sapienza. Ripetendola con il cuore, troveremo piano piano il gusto, il
sapore, la gioia che essa contiene, che essa dispensa: Noi saremo sempre con lui.

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