don Alberto Brignoli " Investiamo su Dio!"
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)Vangelo: Mt 25,14-30
La grave crisi, finanziaria ed economica prima ancora che politica, che il mondo e in particolare il nostro Paese sta attraversando non spinge nessuno ad affrontare nuovi investimenti. Coloro che possiedono qualcosa, quei pochi fortunati che sono riusciti a mettere da parte ancora qualche spicciolo, non sono così sprovveduti da tentare di accrescere i loro capitali giocando con la borsa o con degli inaffidabili titoli di stato, impauriti come siamo da vocaboli che sono sulla bocca di tutti (spread, bund, bond, btp..) ma dei quali sappiamo solo che devono "salire o scendere"
in base a "come vanno le cose".
Un atteggiamento saggio e prudente è quello di chi non rischia, e si preoccupa per lo meno di salvaguardare quello che ha, di tenerselo ben stretto. Un atteggiamento molto simile, potremmo dire, a quello del terzo servo della parabola di oggi, che non si fida affatto di investire il capitale che il suo padrone gli ha affidato e lo mette da parte, preoccupandosi quantomeno di restituire quello che gli era stato consegnato, né più né meno. Un uomo così, oggi, meriterebbe tutta la nostra lode per la capacità dimostrata di saper "salvare il salvabile": fossimo il Capo dello Stato, lo chiameremmo al Quirinale e gli affideremmo la formazione di un governo tecnico che faccia riacquistare fiducia al nostro Paese di fronte ai partner europei. Invece il suo padrone lo tratta molto duramente. Ancora una volta, sembra che i nostri schemi mentali e i modi di pensare di Dio non coincidano.
In realtà, il Signore oggi tratta così il servo apparentemente prudente e saggio (ma in realtà fannullone e infido) non certo per dirci come ci dobbiamo comportare o no nella critica situazione attuale. Abbiamo tutti una coscienza ben marcata, riguardo ai fattori economici, e per ognuno di noi la prudenza e la parsimonia sono imperativi categorici, soprattutto se si ha una famiglia sulle spalle.
Oggi, come in altre occasioni, il Signore ci vuole solamente mettere in guardia da un atteggiamento che noi manifestiamo nei suoi confronti molto più diffusamente di ciò che pensiamo, ovvero quello di vivere la vita di fede senza mettersi in gioco, badando al risparmio, mettendo tutto sul piano minimalista dell'assolvimento dei precetti, e nulla di più. Quell'atteggiamento che ci porta a dire al Signore: "Mi chiedi il precetto di una messa domenicale per essere cristiano? Eccola qui: piuttosto che niente...".
Insomma: con Dio non si gioca al ribasso, c'è poco da fare. È talmente grande il compito che come credenti ci ha affidato nel battesimo, che è assolutamente ingiustificabile l'atteggiamento di chi si conforma con una fede fatta di "conservazione sottovuoto" del dono che ci è stato affidato, quello di vivere da veri figli di Dio.
Matteo con ogni probabilità scrive questa parabola per una comunità che, più di tanto, non si stava dando da fare per ravvivare in sé il dono della fede. Era una comunità che, composta per lo più da gente proveniente dal giudaismo, si sentiva appagata con i precetti della Legge di Mosè, e pur riconoscendo in Gesù il Messia promesso, non si spingeva a vivere la vita nuova con quell'entusiasmo di chi sa di avere incontrato il senso della propria esistenza. Una comunità un po' apatica, in definitiva: ci mancava poi che cominciassero a quel tempo a circolare voci per cui il ritorno di Gesù nella gloria alla fine dei tempi sembrava fosse cosa imminente, per rendere ancor più inutile un impegno forte a costruire il Regno di Dio. Tant'è, il Signore tornerà presto, per cui non ha nemmeno senso iniziare qualcosa di serio, visto che tutto sarà compiuto a breve.
Ma nessuno sa quando tornerà il Signore: ecco ciò che Matteo vuole dire alla sua comunità. Ciò che si sa, è che egli ci ha affidato ciò che di più prezioso ha: la sua Chiesa, il Vangelo, i poveri... prenderci cura di queste cose è il nostro imperativo categorico. Chi non lo fa', per quanto possa giustificarsi dicendo: "Non avrò fatto molto, però almeno non ho fatto niente di male", dovrà prendersi pure la responsabilità di rispondere di questa inedia, di questa accidia, a un Signore che è tanto più esigente con noi quanto più diciamo di sapere bene che egli è così.
Sì, perché questo servo fannullone è anche un po' stupido: rivela al suo signore di essere perfettamente cosciente di trovarsi di fronte a un uomo esigente. Proprio per questo... lascia stare di lavorare! Un modo di pensare così è assurdo, e il padrone non glielo manda certo a dire: sarebbe stato giustificato nella sua inattività se non avesse saputo che tipo era il suo datore di lavoro, per cui l'ignoranza avrebbe un po' attenuato la sua colpevolezza.
Ma quest'uomo (che sa bene chi è il padrone) rappresenta coloro che, come la maggior parte di noi, con Dio hanno una tale dimestichezza e familiarità da dare per scontato tutto, anche le inadempienze e i silenzi di fronte alla sua chiamata.
Tra noi assidui praticanti, che diciamo di conoscere bene Dio, quest'atteggiamento è molto diffuso. Ci sentiamo talmente "di casa" con Dio che lo trattiamo come vogliamo noi, ovvero con sufficienza, con minimalismo, dandogli l'indispensabile e nulla di più. Ci conformiamo con quelle due o tre cosette che salvano il senso del nostro essere cristiani, che ci permettano di non perdere quello che abbiamo, soprattutto di non perdere la faccia di fronte agli altri, e poi basta. Tant'è, il Signore verrà e sistemerà lui ogni cosa! E per di più, giustifichiamo le nostre decisioni dicendo a Dio che è lui che è troppo esigente, al punto da "voler mietere dove non ha seminato". Ovvero: noi non siamo nel torto. Semmai, è Dio che è ingiusto perché esige troppo...
Il Vangelo non è cosa da pigri o da falsi prudenti. Il Vangelo è qualcosa che trasforma profondamente la nostra esistenza, che ci obbliga a metterci in gioco, che ci spinge a rischiare, a tentare qualsiasi strada pur di creare e ricreare vita intorno a noi. Soprattutto in una situazione come quello di oggi dove la vita si è fatta veramente dura per moltissima gente.
In una situazione in cui più nessuno si sente al sicuro e nella quale anche l'uomo dalla fede più forte si sente tentato di gettare nelle mani di Dio la responsabilità di trovare delle soluzioni ("Tu raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura:... ecco qui ciò che è tuo"), Dio si fa presente facendo capire che non ha nessuna intenzione di sconvolgere le nostre esistenze o le leggi della natura "azzerando" la creazione e agendo al nostro posto, a prescindere dal nostro impegno. Anzi, ci spinge a diventare uomini nuovi, che non abbiano paura a trafficare i doni ricevuti, che prendano in mano le redini della storia e trovino per sé e per i loro fratelli soluzioni concrete ai problemi del quotidiano alla luce del Vangelo.
Certamente sbaglieremo. Chi non rischia nulla, non sbaglierà mai. Ma se accettare il rischio di poterci anche sbagliare è la conseguenza dell'avere accettato di rischiare la propria esistenza sui valori che il Vangelo ci offre, allora sarà il segno evidente che stiamo già costruendo quel Regno di Dio che lo stesso Signore non vuole realizzare a prescindere dalla nostra collaborazione.
La grave crisi, finanziaria ed economica prima ancora che politica, che il mondo e in particolare il nostro Paese sta attraversando non spinge nessuno ad affrontare nuovi investimenti. Coloro che possiedono qualcosa, quei pochi fortunati che sono riusciti a mettere da parte ancora qualche spicciolo, non sono così sprovveduti da tentare di accrescere i loro capitali giocando con la borsa o con degli inaffidabili titoli di stato, impauriti come siamo da vocaboli che sono sulla bocca di tutti (spread, bund, bond, btp..) ma dei quali sappiamo solo che devono "salire o scendere"
in base a "come vanno le cose".
Un atteggiamento saggio e prudente è quello di chi non rischia, e si preoccupa per lo meno di salvaguardare quello che ha, di tenerselo ben stretto. Un atteggiamento molto simile, potremmo dire, a quello del terzo servo della parabola di oggi, che non si fida affatto di investire il capitale che il suo padrone gli ha affidato e lo mette da parte, preoccupandosi quantomeno di restituire quello che gli era stato consegnato, né più né meno. Un uomo così, oggi, meriterebbe tutta la nostra lode per la capacità dimostrata di saper "salvare il salvabile": fossimo il Capo dello Stato, lo chiameremmo al Quirinale e gli affideremmo la formazione di un governo tecnico che faccia riacquistare fiducia al nostro Paese di fronte ai partner europei. Invece il suo padrone lo tratta molto duramente. Ancora una volta, sembra che i nostri schemi mentali e i modi di pensare di Dio non coincidano.
In realtà, il Signore oggi tratta così il servo apparentemente prudente e saggio (ma in realtà fannullone e infido) non certo per dirci come ci dobbiamo comportare o no nella critica situazione attuale. Abbiamo tutti una coscienza ben marcata, riguardo ai fattori economici, e per ognuno di noi la prudenza e la parsimonia sono imperativi categorici, soprattutto se si ha una famiglia sulle spalle.
Oggi, come in altre occasioni, il Signore ci vuole solamente mettere in guardia da un atteggiamento che noi manifestiamo nei suoi confronti molto più diffusamente di ciò che pensiamo, ovvero quello di vivere la vita di fede senza mettersi in gioco, badando al risparmio, mettendo tutto sul piano minimalista dell'assolvimento dei precetti, e nulla di più. Quell'atteggiamento che ci porta a dire al Signore: "Mi chiedi il precetto di una messa domenicale per essere cristiano? Eccola qui: piuttosto che niente...".
Insomma: con Dio non si gioca al ribasso, c'è poco da fare. È talmente grande il compito che come credenti ci ha affidato nel battesimo, che è assolutamente ingiustificabile l'atteggiamento di chi si conforma con una fede fatta di "conservazione sottovuoto" del dono che ci è stato affidato, quello di vivere da veri figli di Dio.
Matteo con ogni probabilità scrive questa parabola per una comunità che, più di tanto, non si stava dando da fare per ravvivare in sé il dono della fede. Era una comunità che, composta per lo più da gente proveniente dal giudaismo, si sentiva appagata con i precetti della Legge di Mosè, e pur riconoscendo in Gesù il Messia promesso, non si spingeva a vivere la vita nuova con quell'entusiasmo di chi sa di avere incontrato il senso della propria esistenza. Una comunità un po' apatica, in definitiva: ci mancava poi che cominciassero a quel tempo a circolare voci per cui il ritorno di Gesù nella gloria alla fine dei tempi sembrava fosse cosa imminente, per rendere ancor più inutile un impegno forte a costruire il Regno di Dio. Tant'è, il Signore tornerà presto, per cui non ha nemmeno senso iniziare qualcosa di serio, visto che tutto sarà compiuto a breve.
Ma nessuno sa quando tornerà il Signore: ecco ciò che Matteo vuole dire alla sua comunità. Ciò che si sa, è che egli ci ha affidato ciò che di più prezioso ha: la sua Chiesa, il Vangelo, i poveri... prenderci cura di queste cose è il nostro imperativo categorico. Chi non lo fa', per quanto possa giustificarsi dicendo: "Non avrò fatto molto, però almeno non ho fatto niente di male", dovrà prendersi pure la responsabilità di rispondere di questa inedia, di questa accidia, a un Signore che è tanto più esigente con noi quanto più diciamo di sapere bene che egli è così.
Sì, perché questo servo fannullone è anche un po' stupido: rivela al suo signore di essere perfettamente cosciente di trovarsi di fronte a un uomo esigente. Proprio per questo... lascia stare di lavorare! Un modo di pensare così è assurdo, e il padrone non glielo manda certo a dire: sarebbe stato giustificato nella sua inattività se non avesse saputo che tipo era il suo datore di lavoro, per cui l'ignoranza avrebbe un po' attenuato la sua colpevolezza.
Ma quest'uomo (che sa bene chi è il padrone) rappresenta coloro che, come la maggior parte di noi, con Dio hanno una tale dimestichezza e familiarità da dare per scontato tutto, anche le inadempienze e i silenzi di fronte alla sua chiamata.
Tra noi assidui praticanti, che diciamo di conoscere bene Dio, quest'atteggiamento è molto diffuso. Ci sentiamo talmente "di casa" con Dio che lo trattiamo come vogliamo noi, ovvero con sufficienza, con minimalismo, dandogli l'indispensabile e nulla di più. Ci conformiamo con quelle due o tre cosette che salvano il senso del nostro essere cristiani, che ci permettano di non perdere quello che abbiamo, soprattutto di non perdere la faccia di fronte agli altri, e poi basta. Tant'è, il Signore verrà e sistemerà lui ogni cosa! E per di più, giustifichiamo le nostre decisioni dicendo a Dio che è lui che è troppo esigente, al punto da "voler mietere dove non ha seminato". Ovvero: noi non siamo nel torto. Semmai, è Dio che è ingiusto perché esige troppo...
Il Vangelo non è cosa da pigri o da falsi prudenti. Il Vangelo è qualcosa che trasforma profondamente la nostra esistenza, che ci obbliga a metterci in gioco, che ci spinge a rischiare, a tentare qualsiasi strada pur di creare e ricreare vita intorno a noi. Soprattutto in una situazione come quello di oggi dove la vita si è fatta veramente dura per moltissima gente.
In una situazione in cui più nessuno si sente al sicuro e nella quale anche l'uomo dalla fede più forte si sente tentato di gettare nelle mani di Dio la responsabilità di trovare delle soluzioni ("Tu raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura:... ecco qui ciò che è tuo"), Dio si fa presente facendo capire che non ha nessuna intenzione di sconvolgere le nostre esistenze o le leggi della natura "azzerando" la creazione e agendo al nostro posto, a prescindere dal nostro impegno. Anzi, ci spinge a diventare uomini nuovi, che non abbiano paura a trafficare i doni ricevuti, che prendano in mano le redini della storia e trovino per sé e per i loro fratelli soluzioni concrete ai problemi del quotidiano alla luce del Vangelo.
Certamente sbaglieremo. Chi non rischia nulla, non sbaglierà mai. Ma se accettare il rischio di poterci anche sbagliare è la conseguenza dell'avere accettato di rischiare la propria esistenza sui valori che il Vangelo ci offre, allora sarà il segno evidente che stiamo già costruendo quel Regno di Dio che lo stesso Signore non vuole realizzare a prescindere dalla nostra collaborazione.
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