don Alberto Brignoli" Nell'attesa che Dio squarci i cieli e scenda"
I Domenica di Avvento (Anno B)
Vangelo: Mc 13,33-37
Quante volte ci capita di invocare l'intervento forte di Dio sulla storia e sulle vicende dell'umanità...
Di fronte a guerre e scontri di piazza tra civili, nei quali a pagare il prezzo più caro sono sempre i più deboli, ci viene certamente da invocare la
mano del Signore, perché risistemi le cose anche con le maniere forti: tant'è, peggio di così le persone colpite da anni di conflitti e di guerre non possono certo stare.
Quando accadono calamità naturali che poi si scopre potevano essere evitate, o quantomeno limitate nei danni, ti viene spontaneo chiedere a Dio di rivolgere il suo sguardo sulle persone che soffrono a causa di queste tragedie e di fare loro giustizia, e di farla pagare a chi ha sulla coscienza morte e distruzione per la sua imprudenza e per la sfrontatezza delle sue scelte politiche.
Se a tutto ciò si aggiunge poi questo periodo di mercati finanziari che paiono seduti su un'altalena; di borse nazionali, continentali e mondiali che salgono e scendono come il termometro nel corso di un'influenza; di giochi speculativi che come sempre provocano i maggiori danni agli onesti lavoratori che non sanno nemmeno cosa significhi evadere il fisco o rubare perché sono altri che lo fanno alle loro spalle... allora il grido del profeta Isaia rivolto a Dio nella prima delle letture di questo tempo di Avvento diviene anche il nostro accorato ed attualissimo grido: "Se tu, Signore, squarciassi i cieli e scendessi!".
Da più parti, infatti, invochiamo dall'alto interventi risolutivi di situazioni che noi o altri in varie parti del mondo ci troviamo a vivere: e questo perché le vie d'uscita sono talmente avulse dal nostro vivere quotidiano che inevitabilmente ci portano ad affidare a qualcuno di forte il compito di rimettere a posto le cose. Questo avvenne pure per la storia d'Israele, riletta dal profeta Isaia in forma così particolare e dai toni volutamente drammatici. Israele s'interroga spesso sul venire meno delle "grazie divine di un tempo": e se la maggior parte degli Israeliti non riusciva a trovare altra spiegazione se non l'allontanamento dello sguardo di Dio dalle vicende del suo popolo, i profeti di turno erano da Dio stessi mandati a ricordare al popolo le proprie infedeltà, e quindi la necessità che il popolo tornasse a Dio con tutto il cuore, onde evitare tragedie e sciagure peggiori.
Ma noi, oggi, non ci sentiamo responsabili delle situazioni che stiamo vivendo. A noi pare che davvero Dio "ci ha nascosto il suo volto e ci ha messi in balìa delle nostre iniquità", senza alcun motivo. Ognuno di noi ha delle colpe, senza dubbio: ma non è certo il volto misericordioso del Padre annunziatoci da Gesù Cristo che osa venire a parlarci di castighi meritati da Dio per le nostre condotte malvagie.
Come dobbiamo allora interpretare l'apparente silenzio di Dio sulle vicende umane? Come fare in modo che questo grido disperato di "squarciare i cieli e scendere" possa essere da noi vissuto non come un'espressione di rabbia nei confronti dell'abbandono di Dio, ma come la forte richiesta di un desiderio di speranza?
La natura stessa del Tempo di Avvento che oggi iniziamo e ancor di più la piccola parabola che il Vangelo di Marco ci propone possono essere motivo di rinascita della virtù della speranza, che non può mai venire meno, soprattutto in momenti di particolare crisi come quello che stiamo vivendo.
L'Avvento è per sua natura un tempo di attesa e quindi di speranza. Aver vissuto per alcuni anni l'Avvento in America Latina mi facilita di molto la comprensione della dimensione di speranza dell'Avvento, dal momento che per dire "sperare" ed "aspettare" la lingua spagnola usa la medesima espressione. Aspettare, attendere, significa vivere nella speranza che l'evento che si sta aspettando si possa compiere il più presto possibile. Attendere una persona che viene a farci visita da molto lontano e dopo molto tempo significa anche sperare che il suo viaggio vada bene, che avvenga senza problemi; attendere la nascita di un figlio è insieme sperare che nasca sano e in un ambiente sereno; aspettare il proprio turno per ottenere un documento o per avere un appuntamento significa pure sperare che ciò avvenga in fretta, senza troppe lungaggini, e via dicendo.
Ma l'attesa tipica del Tempo di Avvento non è certo un'attesa paziente e inoperosa. Aspettare che Dio "squarci i cieli e scenda" a risolvere le nostre situazioni non significa stare con le braccia conserte in attesa di una soluzione il più possibile rispondente alle nostre - manco a dirlo - attese.
È un'attesa come quella che il Vangelo ci invita a vivere, ovvero un'attesa "vigilante"; quell'attesa creata da un padrone che assentandosi per molto tempo lascia diversi incarichi ai propri dipendenti, i quali, nell'attesa del suo ritorno, si danno da fare per assolvere nel migliore dei modi a questi compiti. È la versione di Marco della parabola dei talenti o delle mine: poiché il ritorno del padrone non è per nulla scontato e per nulla programmabile, tanto più è necessario che l'attesa non sia inoperosa e accidiosa, ma piena di stimoli a fare il bene, e a farlo nel migliore dei modi.
Aspettare allora che qualcuno venga a risolvere le difficoltà che stiamo vivendo in questo determinato periodo storico senza preoccuparci di fare la nostra sia pur modesta parte, non risponde certo a uno spirito cristiano di affrontare la vita e le difficoltà che essa ci pone di fronte ogni giorno e nelle diverse epoche storiche.
Di certo, non abbiamo la bacchetta magica per trasformare in un solo colpo la realtà così come vorremo che fosse: ma da veri credenti in Cristo, nessuno di noi può esimersi dal compito di trasformare la società nella quale viviamo, con i suoi problemi ma anche con le sue opportunità, attraverso un'operosa attesa di tempi migliori, la cui realizzazione rimane sempre nelle mani di un Dio nel quale continuamente dobbiamo riporre le nostre speranze e quelle dell'umanità intera.
Vangelo: Mc 13,33-37
Quante volte ci capita di invocare l'intervento forte di Dio sulla storia e sulle vicende dell'umanità...
Di fronte a guerre e scontri di piazza tra civili, nei quali a pagare il prezzo più caro sono sempre i più deboli, ci viene certamente da invocare la
mano del Signore, perché risistemi le cose anche con le maniere forti: tant'è, peggio di così le persone colpite da anni di conflitti e di guerre non possono certo stare.
Quando accadono calamità naturali che poi si scopre potevano essere evitate, o quantomeno limitate nei danni, ti viene spontaneo chiedere a Dio di rivolgere il suo sguardo sulle persone che soffrono a causa di queste tragedie e di fare loro giustizia, e di farla pagare a chi ha sulla coscienza morte e distruzione per la sua imprudenza e per la sfrontatezza delle sue scelte politiche.
Se a tutto ciò si aggiunge poi questo periodo di mercati finanziari che paiono seduti su un'altalena; di borse nazionali, continentali e mondiali che salgono e scendono come il termometro nel corso di un'influenza; di giochi speculativi che come sempre provocano i maggiori danni agli onesti lavoratori che non sanno nemmeno cosa significhi evadere il fisco o rubare perché sono altri che lo fanno alle loro spalle... allora il grido del profeta Isaia rivolto a Dio nella prima delle letture di questo tempo di Avvento diviene anche il nostro accorato ed attualissimo grido: "Se tu, Signore, squarciassi i cieli e scendessi!".
Da più parti, infatti, invochiamo dall'alto interventi risolutivi di situazioni che noi o altri in varie parti del mondo ci troviamo a vivere: e questo perché le vie d'uscita sono talmente avulse dal nostro vivere quotidiano che inevitabilmente ci portano ad affidare a qualcuno di forte il compito di rimettere a posto le cose. Questo avvenne pure per la storia d'Israele, riletta dal profeta Isaia in forma così particolare e dai toni volutamente drammatici. Israele s'interroga spesso sul venire meno delle "grazie divine di un tempo": e se la maggior parte degli Israeliti non riusciva a trovare altra spiegazione se non l'allontanamento dello sguardo di Dio dalle vicende del suo popolo, i profeti di turno erano da Dio stessi mandati a ricordare al popolo le proprie infedeltà, e quindi la necessità che il popolo tornasse a Dio con tutto il cuore, onde evitare tragedie e sciagure peggiori.
Ma noi, oggi, non ci sentiamo responsabili delle situazioni che stiamo vivendo. A noi pare che davvero Dio "ci ha nascosto il suo volto e ci ha messi in balìa delle nostre iniquità", senza alcun motivo. Ognuno di noi ha delle colpe, senza dubbio: ma non è certo il volto misericordioso del Padre annunziatoci da Gesù Cristo che osa venire a parlarci di castighi meritati da Dio per le nostre condotte malvagie.
Come dobbiamo allora interpretare l'apparente silenzio di Dio sulle vicende umane? Come fare in modo che questo grido disperato di "squarciare i cieli e scendere" possa essere da noi vissuto non come un'espressione di rabbia nei confronti dell'abbandono di Dio, ma come la forte richiesta di un desiderio di speranza?
La natura stessa del Tempo di Avvento che oggi iniziamo e ancor di più la piccola parabola che il Vangelo di Marco ci propone possono essere motivo di rinascita della virtù della speranza, che non può mai venire meno, soprattutto in momenti di particolare crisi come quello che stiamo vivendo.
L'Avvento è per sua natura un tempo di attesa e quindi di speranza. Aver vissuto per alcuni anni l'Avvento in America Latina mi facilita di molto la comprensione della dimensione di speranza dell'Avvento, dal momento che per dire "sperare" ed "aspettare" la lingua spagnola usa la medesima espressione. Aspettare, attendere, significa vivere nella speranza che l'evento che si sta aspettando si possa compiere il più presto possibile. Attendere una persona che viene a farci visita da molto lontano e dopo molto tempo significa anche sperare che il suo viaggio vada bene, che avvenga senza problemi; attendere la nascita di un figlio è insieme sperare che nasca sano e in un ambiente sereno; aspettare il proprio turno per ottenere un documento o per avere un appuntamento significa pure sperare che ciò avvenga in fretta, senza troppe lungaggini, e via dicendo.
Ma l'attesa tipica del Tempo di Avvento non è certo un'attesa paziente e inoperosa. Aspettare che Dio "squarci i cieli e scenda" a risolvere le nostre situazioni non significa stare con le braccia conserte in attesa di una soluzione il più possibile rispondente alle nostre - manco a dirlo - attese.
È un'attesa come quella che il Vangelo ci invita a vivere, ovvero un'attesa "vigilante"; quell'attesa creata da un padrone che assentandosi per molto tempo lascia diversi incarichi ai propri dipendenti, i quali, nell'attesa del suo ritorno, si danno da fare per assolvere nel migliore dei modi a questi compiti. È la versione di Marco della parabola dei talenti o delle mine: poiché il ritorno del padrone non è per nulla scontato e per nulla programmabile, tanto più è necessario che l'attesa non sia inoperosa e accidiosa, ma piena di stimoli a fare il bene, e a farlo nel migliore dei modi.
Aspettare allora che qualcuno venga a risolvere le difficoltà che stiamo vivendo in questo determinato periodo storico senza preoccuparci di fare la nostra sia pur modesta parte, non risponde certo a uno spirito cristiano di affrontare la vita e le difficoltà che essa ci pone di fronte ogni giorno e nelle diverse epoche storiche.
Di certo, non abbiamo la bacchetta magica per trasformare in un solo colpo la realtà così come vorremo che fosse: ma da veri credenti in Cristo, nessuno di noi può esimersi dal compito di trasformare la società nella quale viviamo, con i suoi problemi ma anche con le sue opportunità, attraverso un'operosa attesa di tempi migliori, la cui realizzazione rimane sempre nelle mani di un Dio nel quale continuamente dobbiamo riporre le nostre speranze e quelle dell'umanità intera.
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