don Alberto Brignoli " Re nell'Amore"

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re Vangelo: Mt 25,31-46 
Chi di noi non si è mai posto domande simili a queste: "Quando avverrà, e che cosa avverrà, alla fine del mondo? Come terminerà tutto? Ci sarà davvero un'altra creazione? Come sarà il Giudizio Universale, su che cosa Dio ci giudicherà? In base a cosa peserà sulla bilancia le nostre buone o cattive opere? E chi, alla fine, si salverà?"

C'è pure che, in modi tra loro molto diversi, abbozza risposte a queste domande: c'è chi è convinto di poter addirittura fissare una data che si approssimi alla conclusione di questo ordine cosmico (e poi, quando si avvicina, la sposta sempre di un po', perché vede che non la azzecca...); chi, guardando solo alle cose brutte che accadono, invita se stesso e gli altri a cambiare stile di vita in maniera drastica perché ormai tutto sta per terminare; chi si disinteressa totalmente di temi apocalittici e, anzi, cerca di fare tutto ciò che più gli piace e che più sta alla portata (e anche oltre) delle proprie possibilità, in barba pure alla situazione austera che stiamo vivendo, tant'è, si vive una volta sola; chi invece si prende gioco di tutti questi discorsi perché secondo lui con la morte finisce tutto, per cui non c'è affatto da preoccuparsi per un giudizio finale che sembra anzi alquanto improbabile se non addirittura ridicolo; o per contro ci può essere pure chi attende con ansia questo momento finale e lo invoca come soluzione giusta e vendicativa di tutte le cattiverie che nella vita ha dovuto sopportare e per le quali il Signore, giusto giudice, gli renderà giustizia alla fine dei tempi.
Forse il Vangelo di oggi ci da una mano, non tanto nel pensare come sarà quel giorno e che cosa avverrà alla fine dei tempi, quanto nel comprendere che ciò che conta di più è di essere molto realisti e concreti, di vivere bene qui e oggi fino in fondo la vita di ogni giorno, senza fantasticare troppo, anche perché la situazione sociale ed economica nella quale ci troviamo non ci da assolutamente il lusso di farlo: e questo ci permetterà di non avere paura di nessun tipo di giudizio universale o di alcuna realtà finale, perché se avremo vissuto la vita con dignità non avremo nulla da temere.
Cos'è, nella logica del Vangelo, una vita vissuta "con dignità"? Stando a ciò che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi, ossia ciò su cui saremo giudicati alla fine dei tempi, vivere con dignità significa costruire il Regno di Dio, rendendo visibile, con i fatti concreti, il volto di quel Re di cui siamo chiamati a essere sudditi fedeli: significa, in definitiva, far trasparire dai nostri gesti concreti che il Regno di Dio è un Regno di Amore, perché Dio è Re nell'Amore.
Il brano - parabola del Giudizio Finale sembra essere una sintesi di ciò che Matteo sviluppa lungo tutto il suo Vangelo quando parla del Regno di Dio e di ciò che l'uomo deve fare per essere da Dio riconosciuto come parte integrante del suo Regno.
Chi, secondo il Vangelo di Matteo che ci ha accompagnato lungo tutto questo anno liturgico, sarà riconosciuto da Cristo come suo discepolo e potrà quindi entrare nel Regno del Padre? Chi fa la volontà di Dio, e non avanza pretese nei suoi confronti in base a privilegi che gli vengano dalla fede (cfr Mt 7,21); chi userà misericordia agli altri, certo che Dio farà altrettanto con lui (cfr Mt 5,7); chi perdonerà sempre, allo stesso modo in cui Dio, da sempre, perdona a tutti (cfr Mt 6,14); chi non avrà paura a dichiararsi per lui, e a testimoniare a tutti la sua fede (cfr Mt 10,22); chi non si lascerà turbare inutilmente da segnali apocalittici e da discorsi inquietanti sulla fine del mondo, ma sarà perseverante nelle opere di bene (cfr Mt 24,13 e Mt 25,14-30, la parabola dei talenti che immediatamente precede questo brano).
Tra l'altro, questi atteggiamenti fanno parte del bagaglio e del modo consueto di comportarsi delle persone più umili e più semplici, che mentre fanno la volontà del Padre e lo servono nei fratelli più poveri, nemmeno si interrogano su ciò che stanno facendo e sul perché lo facciano, ma lo vivono come una cosa naturale perché poveri di spirito e umili di cuore: "Ma quando mai, Signore, abbiamo fatto tutte queste cose?"
Pare invece che nel Regno di Dio non ci sia posto per chi costruisce troppe teorie sulla carità, per chi si interroga se sia giusto o meno fare del bene, per chi, al momento di essere misericordioso, avanza delle pretese di chiarezza che non sempre nella vita ci sono ("Prima di aiutare una persona, voglio vederci chiaro..."), o per chi è talmente pieno di sé che addirittura arriva al punto di accusare Dio di non essersi fatto riconoscere in maniera evidente nel momento in cui gli veniva incontro: "Ma quando mai, Signore, noi ci siamo rifiutati di fare tutte queste cose per te? Dov'eri, in quel momento? Chi sapeva mai che eri tu, che ci chiedevi questo? Figurati se ti avremmo detto di no!".
"Difficilmente Dio giudica e condanna - era solita ripetere Madre Teresa di Calcutta - ma se un giorno dovesse farlo, ci giudicherà sulla carità, sulla nostra capacità di riconoscerlo presente nei nostri fratelli più piccoli".
Ogni tanto penso a questa cosa, e provo una certa angoscia quando, rifiutando con teorie e motivazioni più o meno legittime un gesto di carità a qualcuno, penso che un giorno Dio, che magari avrà il viso di questo "qualcuno", possa dirmi: "Ero io, quel mendicante che ti chiedeva un po' di soldi per mangiare e per bere, e tu non mi hai dato nulla perché mi dicevi che mi sarei drogato o ubriacato; ero io, quel contadino boliviano che ti chiedeva di essere ospitato in parrocchia per una notte con la famiglia, e tu mi hai detto che non avevi posto solo perché non volevi che lasciassi sporco in giro; ero io, quello zingaro che ti chiedeva vestiti vecchi per coprirsi, e tu mi hai detto che dovevo andare alla Caritas; ero io, quello straniero che ti vendeva fazzoletti alla stazione dei treni e tu, nella tua impeccabile tenuta sacerdotale da ufficio, non li hai voluti comprare perché ne avevi già troppi nei cassetti; ero io, il vicino di casa di quell'ammalato in ospedale che non sei venuto a visitare perché prima dovevano avvisarti i parenti; ero io, in carcere magari anche per giusti motivi e tu mi hai mandato a dire "dovevi pensarci prima, ora ti arrangi..."
E se poi Dio mi dicesse: "Adesso tu, che ritieni di avere più diritto degli altri ad entrarvi per aver consacrato tutta la tua vita a me, stai fuori dal mio Regno"?
E se nel frattempo, intento a discutere con Dio sulla questione, mi toccasse vedere i più umili tra i miei fratelli passarmi avanti perché hanno vissuta una carità senza troppe fantasie?
Che Dio mi risparmi questo dramma...

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