Card. JEAN-MARIE LUSTIGER MEDITAZIONE" la Chiesa, tempio e corpo di Cristo"

II Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 18 gennaio 2015
Questa domenica, la parola di Dio ci fa percepire le armonie della nostra salvezza: la Chiesa,
tempio e corpo di Cristo; Cristo stesso dimora di Dio; noi stessi, esseri creati ad immagine e
somiglianza di Dio, templi dello Spirito nel nostro corpo mortale. Da questo triplice mistero della
dimora di Dio fra gli uomini nella Chiesa, in Cristo, nel nostro corpo, riceviamo una luce su una

questione decisiva per la nostra epoca, la cui attualità non vi sfuggirà:
Che cos'è, in fondo, l'uomo?
Che cos'è un uomo nella sua condizione corporale?
Oggi che il nostro grande sapere e potere sulla genetica umana ci fanno brancolare nel buio,
come ciechi, perché non sappiamo più che cosa, in questo ammasso di carne che l'uomo
manipola e domina, sia umano e che cosa non lo sia. Oggi che i progressi dell'intelligenza umana
nella comprensione della sua condizione pongono interrogativi inquietanti. Oggi che la luce
divina sulla condizione umana è indispensabile per salvare ciò che deve essere salvato della
dignità dell'uomo e della sua esistenza.
La Chiesa, Cristo, l'uomo e il suo corpo si richiamano l'un l'altro. Ne sono convinto: il modo in
cui oggi trattiamo la Chiesa è il segno del modo in cui oggi trattiamo Cristo; e il modo in cui
trattiamo Cristo è la prova della maniera in cui trattiamo noi stessi.
L'ultima frase che ho letto dal Vangelo, la dichiarazione di Gesù a Simone, figlio di Giovanni, mi
spinge a partire da questa considerazione. Gesù, fin da questo primo incontro, si associa nel suo
compito, nella sua missione, i suoi compagni e li sceglie senza indugio. Cambia il nome di
Simone e gli impone il nome aramaico "Cefa", Pietro. In quel momento Gesù riceve dal Padre
suo la "pietra" di fondazione del tempio spirituale, della dimora di Dio promessa al compimento
dei tempi. Idea e immagine costanti nell'Antico Testamento e nel messaggio di Gesù. Si tratta
di un tempio vivente, fatto di "pietre vive", perché siamo noi a costituirlo. La sua unità, pienezza
e coesione, è realizzata dallo Spirito Santo che ci ha scelti e che non solo ci dà la coesione di un
edificio, l'entità di un corpo unito, ma fa di noi tutti il tempio vivente e santo di Dio.
La Chiesa è questa costruzione fondata sugli apostoli, le dodici colonne della Chiesa, come
dicono le Scritture (Gal 2,9) ed è il luogo in cui dimora la gloria di Dio.
Ormai, nessun edificio umano avrà la stessa grandezza, la stessa pienezza, la stessa storia della
nuova dimora edificata dallo Spirito Santo. Perché i templi, anche il Tempio santo di
Gerusalemme, dove risiede la gloria di Dio al di sopra dei cherubini, secondo la visione del
profeta Isaia, questi templi costruiti dalla mano dell'uomo sono, per definizione, templi finiti la
cui perfezione stessa è riflesso dell'intelligenza umana, che non può concepire le cose se non a
sua misura. Questo edificio in cui ci troviamo, e che ha una sua bellezza affascinante, la riceve
in parte dal fatto che la nostra intelligenza, spinta al di là dei nostri sguardi, trova
intuitivamente, proprio in questo spazio limitato, la sicurezza di uno spazio che abbiamo
costruito noi, e che noi possiamo delimitare in quanto non fissato per sempre, anche se i limiti
stimolano indefinitivamente la nostra sensibilità e se, ad ogni passo, ad ogni sguardo,
intravediamo sempre nuovi aspetti.
Ora, caratteristica peculiare del tempio che Dio costruisce con quelle pietre viventi che sono le
nostre vite, è il fatto che nessuno può farne il progetto se non Dio stesso; nessuno può dargli
coesione se non lo Spirito che vi dimora. La sua costruzione sarà terminata solo al termine della
storia; poiché si aggiungono sempre nuove pietre. Al punto che questo edificio è paragonato a
un corpo in crescita; al punto che, corpo costituito da uomini che fanno parte di questa
creazione, esso ottiene la sua perfezione dall'amore infinito di Dio che lo abita e lo costruisce.
Non ha nessun'altra misura se non il progetto dell'amore infinito. Al punto che lo splendore del
tempio spirituale, "non costruito dalla mano dell'uomo", che è la Chiesa, ci sfugge, mentre di
un edificio di pietra percepiamo la bellezza con i nostri occhi, le nostre mani, i nostri sensi.
Infatti questo tempio comprende non solo gli uomini che sono oggi sulla terra, ma anche,
altrettanto vivi e presenti, tutti quelli che, innumerevoli e sconosciuti, sono stati presi dalla
morte e vivono con Cristo.
Altrettanto presenti e, anzi, per il peso della loro vita e del loro amore, ancora più presenti degli
esseri che oggi affollano questo suolo e parlano con una voce umana. Esso comprende infine,
nella speranza, la folla immensa degli uomini e delle donne che Dio ama e che, al di là di quello
che possiamo saperne, egli chiama e riunisce per costituire questo tempio spirituale che è la
Chiesa, vera e propria dimora di Dio.
Così, a partire da questo episodio narrato dal Vangelo di san Giovanni, i discepoli vengono ad
abitare con Cristo, nella casa di Cristo, la cui dimora è il tempio di Dio, la casa di suo Padre.
Ora, la maniera stessa in cui noi, cristiani, consideriamo il tempio spirituale che Cristo riceve e
che Dio costruisce con le pietre viventi, che siamo noi, per costruire la Chiesa, ci permette di
essere testimoni di una realtà ancora più concreta: il tempio che è il "corpo di Gesù". Perché,
secondo un'altra immagine usata da Cristo, noi costituiamo il suo corpo.
San Giovanni ce lo fa capire quando ci riferisce, prima della passione, questa sfida enigmatica
di Gesù davanti al tempio di Gerusalemme: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere" (Gv 2,19). Proposito provocatorio e assurdo alle orecchie dei suoi uditori,
incomprensibile - almeno nell'immediato - per i discepoli; dice infatti l'evangelista: "Ma egli
parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si
ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù". Egli
parlava dunque del suo proprio corpo che, per amore nei nostri confronti, si immerge nella
nostra morte per darci la vita.
In che modo adoriamo e amiamo questo corpo infinitamente santo del Verbo di Dio che si è fatto
carne, nel grembo della Vergine Maria, unigenito Figlio di Dio fatto uomo, figlio di Adamo che
noi riconosciamo come nostro fratello: mistero stesso della presenza, nella nostra umanità, del
Dio inconoscibile e infinito rivelato nel suo Figlio? Corpo di Cristo offertosi per noi, nostro cibo
nel sacramento eucaristico, sangue versato per riscattarci - a quale prezzo - dai nostri peccati,
sorgente di risurrezione e di vita divina in noi. Corpo di Cristo nostro fratello, figlio di Abramo;
corpo di Cristo, Verbo eterno, Figlio di Dio, da cui noi siamo resi divini e in cui noi possiamo
diventare figli di Dio. Vita divina presente nell'umanità che sottrae la condizione umana non solo
alla sua debolezza mortale, ma anche alla sua perdita e che le dà la comunione con Dio, vita
eterna.
Sì, come noi trattiamo la Chiesa, trattiamo Cristo: prova infallibile della verità della nostra fede
in Cristo. Chi disprezza questo corpo che noi costituiamo come dimora divina di Dio e dello
Spirito - la Chiesa corpo di Cristo che ne è il capo - non può dire di credere realmente che il
corpo di Gesù, nato dalla Vergine Maria, sia il corpo del Figlio di Dio. La prova della fede in
Cristo, Dio e uomo, è la nostra fede nella presenza divina dello Spirito in questo corpo di Cristo
che noi formiamo.
Forse pensate che siamo ancora all'interno di quello stretto cerchio in cui la fede è una luce che
illumina soltanto la logica dell'amore con il quale il credente si appresta a seguire, capire e
conoscere Cristo. Forse pensate che questa meditazione, in fondo, non ha senso se non per il
discepolo di Gesù e non ha nessun'altra validità. Ora, in questi due misteri (corpo di Gesù nato
dalla Vergine Maria e corpo ecclesiale di Cristo) è racchiusa la salvezza dell'uomo.
Quale salvezza? Da che cosa abbiamo bisogno di essere salvati? Da molte cose, ahimé! Ma
vengo al punto preciso su cui vorrei che terminassimo la nostra meditazione.
Noi dobbiamo essere salvati dalla nostra propria distruzione. Dobbiamo essere salvati dal rifiuto,
al quale siamo quasi fatalmente spinti, di considerare la divina grandezza dell'uomo in generale
e di ogni uomo in particolare. In effetti, quando la ragione umana, che è riflesso dell'intelligenza
divina e dono di Dio, non si percepisce più come ricevuta da Dio e si appunta, in modo sovrano
ed efficace, sulla nostra condizione storico-corporale per cercare di sapere che cos'è un essere
umano, all'improvviso non sa più cosa dire.
Chi è un essere umano? L'embrione è un essere umano? Il vecchio o il malato che non è più
padrone dei suoi gesti è un essere umano? Il nemico è un essere umano? L'uomo diverso da noi,
di cui abbiamo paura e che definiamo selvaggio, è un essere umano? Chi è definito "deviante"
è un essere umano? Chi è detto pazzo è un essere umano? Chi è disprezzato da tutti perché
creduto perverso, e forse lo è, è un essere umano? Chi deciderà che cos'è l'uomo? Chi deciderà
chi è un uomo?
Perché rispettare di più questo fragile ammasso di cellule piuttosto che un altro qualsiasi
ammasso di cellule provenienti da un altro qualsiasi essere vivente? Quali argomentazioni
portare a favore? Come dare delle leggi su ciò? Come comprendere, pur essendo così sapienti
e avendo tanto potere, quale rispetto sia dovuto all'uomo e chi meriti questo rispetto
incondizionato?
Io non pretendo di entrare qui in un ambito in cui i ricercatori, i giuristi, gli uomini di sapere
possono esercitare la loro sagacia. Io vi parlo come apostolo di Gesù Cristo, come testimone
della parola di Dio, incaricato della salvezza dell'uomo. Vedete da che cosa abbiamo bisogno di
essere salvati? Da questa falsa sapienza che potrebbe condurre l'uomo a non sapere più chi sia.
Ora, ecco il "più" che noi siamo: il tempio di Dio, ciascuno, nella nostra condizione corporale.
"Il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo", dice san Paolo (1Cor 6,19), facendo eco alle
parole di Gesù: "Se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio" (Gv 3,3), se non
rinasce cioè da Dio, dallo Spirito.
Noi siamo il tempio dello Spirito Santo come la Chiesa corpo di Cristo, come Cristo nato dalla
Vergine Maria, Figlio eterno di Dio. Ognuno di noi, il più disprezzato come il più famoso, il più
grande come il più debole, il più degno agli occhi degli uomini come il più indegno, il più diverso
da noi, comunque egli sia, in punto di morte o non ancora nato, insomma ogni essere che
appartenga alla condizione umana è infinitamente sacro, perché è la dimora di Dio fra gli uomini,
e deve essere trattato con il rispetto infinitamente sacro del nostro Creatore e Redentore. Ogni
essere che appartenga alla nostra specie è chiamato a essere ed è il tempio e la dimora di Dio.
Certo noi siamo peccatori, accecati fino all'omicidio, che è il primo peccato dei figli di Adamo.
Omicidio, cioè fratricidio, quando Caino uccide suo fratello Abele. Ma il mistero della redenzione
di Cristo che assume i nostri peccati e che, sulla croce, ci libera e ci strappa alla morte, è la
misura più piena della liberazione e della salvezza che Dio vuole operare in noi. In Cristo nostro
fratello, i fratelli nemici ricevono il comandamento di amarsi.
Voi capite, amici miei, l'importanza profetica, parola umana che pronuncia la parola di Dio,
l'importanza profetica, dico, di questo mistero del corpo ecclesiale, tempio di Dio, nel quale abita
Cristo, la cui carne è quella della divinità del Verbo eterno e che fa di noi i templi dello Spirito
Santo per ricordarci la nostra condizione divina. Noi dividiamo questa fede con i discepoli di
Cristo, che sanno chi è il Padre, chi è il Figlio, chi è lo Spirito, e che credono in un solo Dio.
Ma dal momento che, discepoli di Gesù, sappiamo che l'uomo, creato ad immagine e somiglianza
di Dio, è chiamato a essere il tempio dello Spirito Santo, noi sappiamo anche di dover difendere,
con le armi della ragione, della libertà e del rispetto, la dignità divina e assoluta di ogni uomo,
di ogni essere umano. Non come un'opinione privata, ma come una certezza che si basi sulla
nostra fede nell'amore del nostro Creatore e Padre. E per questo, noi dobbiamo "obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini" (At 5,29). Con la stessa fedeltà di Gesù che ha offerto in sacrificio la
sua vita per la nostra redenzione e per la nostra vita.
È dunque una parola piena di speranza che oggi la Chiesa ci fa ascoltare; piena di forza, di
bellezza, di rigore, per capire quale fatica, come quella del Redentore, sia quella dell'Agnello di
Dio che porta i peccati del mondo, come ci dice oggi il Vangelo che abbiamo ascoltato. Ma in
questa fatica e in questa pena, guardate quale gioia ci è data perché la testimoniamo al mondo!
Card. JEAN-MARIE LUSTIGER

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