don Alberto Brignoli "Gesù di Nazareth, la rovina del nostro orgoglio"

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (01/02/2015)
Vangelo: Mc 1,21-28
Finché nella vita va tutto bene, il nostro rapporto con Dio fila via liscio: anzi, addirittura fila via nell'oblio, perché non è infrequente che ci dimentichiamo di lui quando viviamo nella serenità e nella salute, nella felicità o nell'abbondanza. Quando poi però le cose si mettono male, oppure ci troviamo nella difficoltà, il pensiero va direttamente verso l'Alto...e nella migliore delle ipotesi, verso l'Alto salgono pure preghiere di richiesta e d'invocazione di aiuto, ma più spesso ci dirigiamo a
Dio con imprecazioni, se non addirittura con insulti e bestemmie, o con accuse infondate di averci procurato del male. E a volte, soprattutto quando siamo "dentro" le cose di Dio, ossia quando apparteniamo alla categoria di quelli che lo conoscono bene, il disagio nei suoi confronti si manifesta con la rabbia tipica di chi vede i propri progetti e le proprie teorie buttati all'aria proprio dalla presenza di Dio.
È molto frequente, infatti, tra noi cristiani impegnati, una sorta di atteggiamento di "padronanza" nei confronti delle cose di Dio. Ci sentiamo talmente familiari con le cose di Chiesa, con le cose di religione, con tutto ciò che riguarda Dio, da "impadronircene" gelosamente, quasi fossimo noi a determinare come debbano essere organizzate le cose in parrocchia, come debba essere annunciato il Vangelo in una determinata situazione, quali debbano essere gli ambiti di azione pastorale, quali siano le persone "degne" di entrare a far parte della Chiesa, e via discorrendo.
E quando poi capita che il Signore ci manifesta la sua volontà o le sue scelte in maniera differente da come l'abbiamo pensato, allora ce la prendiamo... Un Dio che ci scomoda ci dà fastidio, c'è poco da fare: vorremmo che lui venisse solamente a confermare e benedire quanto da noi pensato, scelto e programmato. Invece, il Dio di Gesù Cristo è uno che "insegna con autorità", che lascia "meravigliati" coloro che lo ascoltano, soprattutto perché non è come gli scribi: non è, cioè, uno che per dimostrare la propria potenza si basa sull'autorità, ma sull'autorevolezza. E questo, a chi pensa che la propria autorità gli dia il diritto di stringere Dio nelle proprie mani, dà tremendamente fastidio: e allora grida, protesta, se la prende con questo Dio scomodo e incomodante per chi detiene il potere.
Il grido "Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?" non è solamente il grido di un uomo posseduto dal demonio o, più semplicemente, di uno psicopatico turbato dalle sue parole: è la protesta - personificata - di uno spirito del male, del potere, dell'arroganza e della pretesa di dominare Dio che è molto più diffusa e presente nel cuore dei credenti di quanto possiamo immaginare.
"Che vuoi da noi?": è il nostro modo "clericale" di rivolgerci a Dio, quando lui si rivela scomodo e incomodante, diverso da come lo vorremmo, autorevole prima che autoritario, avverso a ogni forma di potere precostituito che annebbia le coscienze dei fedeli, quel potere che invece a noi fa comodo perché ci fa sentire al di sopra di tutto e di tutti, anche di Dio. Il quale, ovviamente, ci appare come colui che "viene a rovinarci", perché ci costringe ad uscire dalle nostre stagnanti situazioni di potere e di arrogante orgoglio religioso. Per di più, siamo talmente feroci che, forti delle nostre presunte conoscenze di Dio, gridiamo a tutti di sapere bene chi egli sia...
Per fortuna - la nostra, prima di tutto - Dio ci smaschera, ci obbliga a uscire allo scoperto, ci zittisce, e ci rimanda al nostro posto, dietro di lui, come umili discepoli che hanno tutto da imparare e nulla da insegnare, ma soprattutto nulla da pretendere. Anzitutto, nei confronti di un Dio che è più grande di noi: e poi, nei confronti dei fratelli che non sono nostri servi, ma al servizio dei quali siamo stati posti nel mondo.

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