fr. Massimo Rossi" Commento su Giovanni 1,1-18"

II Domenica dopo Natale (04/01/2015)
Vangelo: Gv 1,1-18 
Ancora una volta abbiamo ascoltato il Prologo del Vangelo di Giovanni: avrete certamente notato le affinità con la pagina del Siracide, nonostante la distanza di duecento anni che separa i due testi... La Sapienza cantata nel libro di Ben Sirach (figlio di Sirach) dice di se stessa: "Nella tenda santa davanti a Lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion...".
Questa Sapienza è, in verità, la sapienza del Verbo incarnato!
La sapienza ha dunque issato la tenda tra noi, che costituiamo il nuovo popolo eletto: la tenda è segno di
fragilità, un aspetto non sempre e non solo positivo, specie nei nostri Paesi occidentali, che ci tengono a difendere la loro immagine di forza, di sicurezza, di benessere; così facendo esercitiamo sui Paesi del Terzo e Quarto Mondo una seduzione e un'attrattiva irresistibili...
Peccato che oggi, il nostro Occidente prometta, ma non mantenga le promesse! È una storia ormai vecchia: siamo in grave crisi da quasi dieci anni, ma questo non ci scoraggia dall'ostentare un'opulenza che non possiamo più permetterci; salvo poi lamentarci dei milioni di profughi che approdano alle nostre coste.
Ma torniamo al simbolo della tenda: una tenda è fragile, sì, ma possiede il pregio di poter essere montata facilmente e ancor più facilmente essere smontata. La tenda si sposta con te, dovunque tu vada, e hai sempre un riparo. Comodo, no?
Quando Davide ebbe consolidato la sua monarchia, chiamò il profeta Natan e gli confidò di voler edificare un Tempio al Signore; Dio rispose a Davide per bocca del profeta: "Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall'Egitto, fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda (...). Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro?" (2Sam 7,1-7).
La pagina del Siracide si conclude affermando che la Sapienza ha messo radici in mezzo al popolo di Dio, dunque la sua presenza è stabile, ferma, profonda, appunto come un albero saldamente ancorato alla terra grazie alle sue radici.
C'è un'apparente contraddizione tra il simbolo della tenda e quello delle radici: in verità, ad un esame più attento, non v'è alcuna contraddizione, anzi, le due immagini si completano e si rafforzano a vicenda: una convinzione ben fondata in noi, nella nostra mente, nel nostro cuore, possiamo dire, ce la portiamo dietro, è sempre con noi, cammina con noi, non c'è pericolo che ce ne dimentichiamo. Dovunque saremo, la nostra convinzione resterà lì, radicata come un albero secolare... In effetti, la fede - è questa la convinzione alla quale alludo - ha venti secoli di vita e di storia, può vantare radici molto, molto profonde e solide. Ma anche (la fede) è una cosa semplice, non nel senso di elementare, o banale... la fede partecipa della stessa semplicità di Dio, che è l'Essere più semplice in assoluto...
Dunque la fede è anche semplice, semplice e fragile, come una tenda. Qualcuno potrebbe concludere che le chiese non sono poi così importanti; basta avere la fede nel cuore. E poi, Dio ha dichiarato a Davide di non volere un tempio... Gesù stesso, alla domanda della donna Cananea se fosse meglio adorare Dio nel tempio di Gerusalemme, o altrove, rispose: "Né a Gerusalemme, né altrove..." (cfr. Gv 4). Al tempo stesso, mentre dichiara chiuso il vecchio culto, con i suoi luoghi di culto e i suoi gesti di culto, Gesù inaugura un nuovo culto ‘in spirito e verità': e questo nuovo culto possiede luoghi di culto suoi propri - le chiese - e gesti di culto tipici - i sacramenti -.
Non possiamo evitare di compiere gesti di culto, riconosciuti da tutti i credenti nel loro valore e nella loro inconfondibile e indiscutibile unicità. Aldilà di ogni sacrosanta definizione dogmatica, di ogni affermazione di principio, questo consenso comune lo si può efficacemente esprimere in un modo solo, partecipando attivamente alla liturgia, la quale attua il mistero del dono di Cristo. Sia chiaro per tutti: questo dono, il corpo e il sangue del Signore, si riceve solo ed esclusivamente nell'Eucaristia!
Celebrare con convinzione, con passione, ogni domenica l'Eucaristia è il modo migliore per accogliere il Verbo incarnato; e, accogliendolo, diventare Figli di Dio, figli generati non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio!
Ogni volta che spezziamo insieme il pane della Parola e del Corpo del Signore, Cristo ci rivela la presenza di Dio. E in quel gesto noi lo riconosciamo morto e risorto, presente in mezzo a noi!
Il Verbo si è fatto carne per dare a noi la Sua carne da mangiare. Questo è il fine dell'Incarnazione; questo è il senso primo e ultimo del sacramento dell'altare. Non è soltanto una ciliegina sulla torta, un optional del quale si possa anche fare a meno, perché c'è qualcos'altro di più importante ed essenziale. Certo, la carità è essenziale per vivere la nostra fede. Ma, affinché la fede possa nutrire e sostenere la carità, la fede stessa va nutrita! L'Eucaristia è un cibo che non può essere surrogato da alcun altro cibo: mangiando Cristo, noi vivremo per Lui e diventeremo Lui.
Creati ad immagine e somiglianza di Dio, noi portiamo a compimento la nostra somiglianza con Dio partecipando al sacramento dell'Eucaristia e vivendo con coerenza il sacramento al quale abbiamo partecipato.

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