fr. Massimo Rossi "Commento su Giovanni 1,35-42"

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/01/2015)
Vangelo: Gv 1,35-42 
Siamo di nuovo nel Tempo Ordinario, lo saremo per un mese appena, fino al 18 febbraio, mercoledì delle ceneri, quando inizierà un altro tempo forte, il tempo di Quaresima-Pasqua: che facciamo in questi 30 giorni? intendo, a livello di
fede, di vita accordata sulla fede... Aspettando i giorni del digiuno, dell'astinenza, della preghiera e dell'elemosina - i pilastri della Quaresima - che cosa possiamo inventare per sentirci più cristiani?
Beh, tanto per cominciare, possiamo ricordarci a vicenda che l'identità cristiana non dipende tanto da quello che si fa, ma da come si fa, dalle motivazioni profonde per le quali parliamo e operiamo. Porre la questione del senso di ciò che si dice e di ciò che si fa è un ottimo punto di partenza; scopriremo con sorpresa quante parole sprecate e quanti gesti inutili, superflui o, peggio, contraddittori, rispetto al credo cristiano!
E ora, le letture.
La pagina del Primo libro di Samuele, pagina molto conosciuta, racconta la vocazione di Samuele: Anna, madre di Samuele era sterile: la sua disperata implorazione di avere un figlio venne ascoltata da Dio; in cambio, Anna promise a Dio che gli avrebbe consacrato quel figlio, cosa che fece appena Samuele fu svezzato. In seguito Dio stesso lo chiamò - abbiamo appena ascoltato - e lo istituì profeta. Samuele ricevette da Dio il mandato di ungere prima Saul e poi Davide re di Israele, dando così inizio alla monarchia. Samuele costituisce dunque una delle figure più importanti della storia di Israele. La vicenda della sua vocazione ci insegna che, quando Dio si mette in testa una cosa, quella è, a costo di aspettare tutta la vita... Dio c'ha la pazienza di un santo.
La conseguenza è che nessuno di noi può far finta di niente; certo, possiamo mettere a tacere la chiamata di Dio, siamo liberi di seppellire la Sua voce sotto altre voci; oggi è forse più facile smarrire la voce di Dio, nella confusione dei messaggi che ci provengono dai settori più disparati della società, Chiesa compresa, una vera e propria Babele! Anche a questo si allude nel racconto della prima lettura; da parte di Dio, ripeto, non c'è da preoccuparsi... Dio sa aspettare e non si stanca di chiamare, con buona pace di sant'Agostino, il quale temeva che Dio gli passasse accanto e proseguisse oltre, senza che lui, Agostino, se ne accorgesse - "Timeo Deum transeuntem".
Il problema non è di Dio, il problema è tutto nostro! Siamo noi che non possiamo sopportare di restare sordi troppo a lungo alla chiamata di Dio! Prima o poi dovremo accettare la sfida e fronteggiare al crisi di decidere se ascoltare la Parola che Dio rivolge a noi personalmente, oppure assecondare altre parole, seguendo altri maestri....
Anche il Vangelo affronta la delicata questione della vocazione, e la affronta in termini ancor più complessi: i due uomini che seguono Gesù erano discepoli di Giovanni Battista: in un certo senso erano già a servizio del Regno di Dio. Ai giorni nostri la questione è ugualmente delicata: nella Chiesa ci sono tanti posti, non tutti uguali, e tanti modi, non tutti alternativi, nel senso che l'uno vale l'altro, per servire Dio. È necessario trovare quello giusto per ciascuno. Pensate a S.Teresa di Caluctta: prima di diventare Madre Teresa, bussò alla porta di diverse congregazioni di suore... nessuna andava bene per lei... finché (Teresa) decise di fondarne una nuova, fatta su misura per lei e per tutte coloro che avrebbero condiviso il suo ideale contemplativo-attivo.
L'essenziale è rimanere dentro al Chiesa e lavorare per l'unità della Chiesa. La prova, potremmo dire, che un gruppo, un movimento è a pieno titolo cristiano è data dal fatto che opera a favore dell'unità (della Chiesa) e non crea, né fomenta separazioni; tutela la pace e non suscita confusioni nella mente e nel cuore dei fedeli.
Non si tratta di omologazione - tutti uguali, vestiti uguale, con la stessa voce, con le stesse idee, con gli stessi atteggiamenti... -; la diversità è una ricchezza, prima che motivo di incomprensione e di separazione. Questo lo si dica, senza ambiguità, né mezzi termini, non solo in ambito religioso...
La settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che inizia proprio oggi, è una nuova occasione per pregare, ma anche per riflettere sulle distanze, soprattutto sulle divisioni che ancora oggi impediscono alla Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, e smentiscono la fede nel Cristo morto e risorto per tutti in remissione dei peccati! Già san Paolo si trovò alle prese con i sintomi di divisione; colui che concepì l'ecclesiologia di comunione (cfr. 1Cor 12), riscoperta e rilanciata venti secoli dopo dal Concilio, scrive ai cristiani di Corinto e li rimprovera di essere faziosi, e di rivendicare paternità diverse da quella di Cristo. Cito testualmente: "Mi è stato segnalato a vostro riguardo, fratelli, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo». Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?" (1,11-13).
La pagina odierna del Vangelo sottolinea che Giovanni precursore, il quale aveva anche lui dei discepoli - pare addirittura che la sua comunità (gli Joanniti, cfr. At 19) sia sopravvissuta alla sua morte e, anzi, si sia estesa anche fuori dei confini della Galilea, ove lui operava -, (Giovanni) ha il coraggio di ritirarsi in buon ordine, riconoscendo che la sua missione era compiuta con l'arrivo di Gesù; e dunque, i suoi discepoli avrebbero dovuto seguire Lui, Gesù, e non più colui che li aveva generati alla fede.
Interessante è la risposta che il Signore dà alla domanda dei due discepoli, "Dove abiti?": "Venite e vedrete!"; intanto la domanda di Gesù rivolta ai due, "Che cosa cercate?" è più che una richiesta di tipo personale, "Cercate qualcuno?": Il maestro di Nazareth è apparso nel mondo per offrire una nuova e diversa proposta di vita. Più che legare a sé le persone, al Cristo preme che le persone si convertano all'Amore infinito di Dio (lo Spirito Santo). "Le parole che vi dico non le dico da me stesso; ma il Padre che è in me compie le sue opere; (...) Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me (...). Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore." (Gv 14 e16). Certo, la proposta cristiana - lo dice anche il nome - non può prescindere dalla persona di Cristo. Tuttavia il Signore vuole convincere i suoi che l'essenziale della fede non è il legame fisico con Gesù, ma possedere lo Spirito Santo. Diventare tempio dello Spirito è la grande sfida della fede, ce lo insegna san Paolo nella lettura che abbiamo ascoltato: un tempio non può rimanere nascosto. Glorificare Dio nel nostro corpo e con il nostro corpo è l'unico modo che abbiamo per manifestare la santità del tempio di Dio che siamo noi!

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