MASSIMO CAUTERO Commento su Marco 1,14-20"Andare alla sequela di Gesù"

 Commento su Marco 1,14-20
III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 
Una cosa su cui spesso mi interrogo è quale sia il comune denominatore dei cristiani, ovviamente inteso come quella cosa che rende possibile ad un battezzato sentirsi e professarsi per quello che è e, ovviamente, quella cosa senza la quale il cristiano non potrebbe sentirsi o professarsi tale. Ovviamente, possiamo prendere in considerazione molte cose che
risponderebbero più o meno alla mia domanda, ma le letture di questa domenica riescono ad aprirmi uno spiraglio preciso su un fatto importante in questo senso.
Prima di tutto vorrei porre l'accento su quel minimo comun denominatore, a cui ho appena accennato, che mi sembra proprio di trovare nella "sequela". Cosa sarebbe di ogni cristiano se questi non trovasse il suo nesso naturale con Gesù proprio nella Sua sequela! Non penso sia possibile, né teorizzabile, nemmeno una confessione cristiana che non ponga la sequela di Gesù come nesso logico alla Professione di Fede Trinitaria. Questi primi versetti dell'inizio del Vangelo di Marco sono perentori in questo, quello che è uno dei più vividi ed importanti ricordi di San Pietro, la sua chiamata, diventa per il credente una "conditio sine qua non": solo se sei disposto a seguire Gesù sei un apostolo, un discepolo, un cristiano. Importante diventa anche la condizione in cui la scelta viene effettuata, rappresentata da quella "Galilea" che apre e chiude la parabola terrena di Gesù nel vangelo di Marco, qui all'inizio della predicazione e come luogo dell'incontro con il Risorto, che possiamo tranquillamente tradurre come "quotidianità", ossia quel vivere umano di ogni giorno che diventa il luogo dello straordinario incontro con Dio, la Galilea è infatti per Gesù il luogo del quotidiano, dell'ordinario vitale che straordinariamente, solo come Dio sa indicare, diventa il luogo/tempo migliore. Recuperare la quotidianità come tempo e luogo abituali e naturali della nostra fede penso sia una delle vere urgenze del nostro tempo, una bella sfida all'estremo soggettivismo e dualismo a cui troppe volte noi cristiani siamo invitati a "cedere" di fronte alle tentazioni di questo mondo.
Il quotidiano di ogni cristiano oltre che il luogo naturale dove incontrare e vivere Dio, deve anche essere il terreno dove mettersi alla sequela di Gesù, ricordando, specialmente a chi può essere spaventato dalla cosa - come lo fu Giona che doveva parlare ai niniviti -, che è Gesù che ci apre la strada e non il contrario, che è lui la Parola che converte e salva e che noi rimaniamo dei grandi miracoli di misericordia, solo se diciamo il nostro semplice "si" alla sua sequela, qui dove siamo, nella vita che viviamo, nelle relazioni che intrecciamo. Troppe volte e per troppo tempo la frase "andare alla sequela di Gesù" ha significato solo "rispondere ad una speciale vocazione di consacrazione", con un conseguente nesso logico sbagliato "io non devo fare né il prete e né la suora e Gesù lo seguo la domenica" (nella migliore delle ipotesi!), vanificando così la sequela ed il tempo compiuto come salvezza, quotidianità di tutti i battezzati.
Sul finire di questa riflessione voglio fermarmi su un'altra domanda che potrebbe nascere spontanea da chi ha capito che Gesù si deve seguire ma che ancora fa un poco di fatica: "perché seguirLo?". Domanda che spero tutti i cristiani di questo mondo si siano fatti nella loro vita, perché senza di essa diviene inutile ogni discorso di fede. Gesù, nel vangelo di Marco, ci consegna le parole "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo", parole che ci dovrebbero motivare per la sua sequela ma su cui forse ci dobbiamo un attimo approfondire: Qual è la lieta novella a cui devo credere e convertirmi? Dove la convenienza? cosa è il Regno di Dio?
Per rispondere non dobbiamo dimenticare che l'intento dei vangeli non è quello di essere dei meri racconti storici cronologicamente giustificabili, né di essere un insieme di parole a supporto di una teoria religiosa, essi sono il vero racconto del più grande evento divino-umano cioè la passione, morte e Resurrezione di Gesù (la lieta novella!) con una lunga introduzione, scritta anch'essa alla luce della Resurrezione. Il Regno di Dio diviene così intellegibile come la Resurrezione stessa a cui tutti i cristiani appartengono, e dovrebbero voler appartenere con tutto il cuore, la compiutezza del tempo non può così essere che l'"essere relativi alla Resurrezione", cosa talmente importante che San Paolo, nella lettura di oggi, arriva a dirci, in succo, "ignorate tutto quello che state vivendo, anche di buono, in nome e causa di un'urgenza più grande" (l'urgenza evangelica) di accogliere il regno di Dio (la Resurrezione), di viverlo come realtà più importante della nostra vita, di usare della nostra libertà per convertirci ad esso, di lasciarci affascinare e coinvolgere da questo progetto in profondità, sicuri e certi che tutto il nostro povero umano che c'è in noi sarà trasformato in divino, fatto di fronte al quale non c'è più niente che ci possa spaventare, nemmeno la morte! L'urgenza quindi non sta nella "fretta" perché il tempo "fugge" o si "sciupa" ma perché, alla sequela del Risorto, il tempo è compiuto e non esiste altro tempo migliore di questo, e non esiste altro modo di vivere questa compiutezza.
Tutti gli altri "modi di vivere" fuori dalla sequela, possono spingerci pericolosamente fuori dal compiuto, dalla vita eterna, dalla Resurrezione.
Ecco perché devo seguire Gesù!

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