Paolo Curtaz "Discepolato" 2a Domenica - T. Ordinario B

18 gennaio 2015 - Vangelo: Gv 1,35-42
Inizio anno faticoso, con eventi che incupiscono l’anima a causa di chi, in una folle interpretazione della religione, uccide pensando di fare un favore a un dio che non esiste.
Abbiamo bisogno di luce, di quella del battesimo, di quella dell’epifania.
Di tanta luce.
E oggi, all’inizio del tempo “ordinario”, che di “ordinario” ha ben poco!, la liturgia ci propone una straordinaria riflessione
sul senso della vita, sull’opportunità che abbiamo d diventare finalmente discepoli del Signore.
Lo sono già! Obietterà, non senza ragione, qualcuno di voi.
È vero, altrimenti non saremmo qui a meditare.
Ma ci vuole tutta una vita per diventare discepoli, senza mai arrendersi, senza mai illudersi di avere capto. Senza commettere lo sbaglio di credere di possedere Dio. E di ergersi a suoi difensori con un mitra in mano.
Nel tempio
Samuele è figlio di una donna sterile, Anna, come spesso accade nella Bibbia. Nella gioia di avere un figlio inatteso, la madre decide di affidarlo alle cure di Eli, il sacerdote. Samuele diventerà un profeta straordinario, colui che consacrerà i primi re di Israele.
Sta nel tempio, Samuele, assiste alle liturgie, ha un’ottima guida spirituale. Ma ancora non conosce Dio. Possiamo frequentare il tempio senza “conoscere” Dio là dove la conoscenza, nella Scrittura, indica un approccio intimo e totalizzante.
Incontro che avviene nel cuore della notte. Solo se sappiamo ritagliare degli spazi di quiete e di silenzio possiamo “conoscere” Dio. E quanto mancano questi spazi alle nostre vite, alle nostre città!
Ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a capire: Eli, come il Battista, come Paolo, è una buona guida che indirizza a Dio, non a se stesso. Così Samuele incontra Dio.
Giovanni e Andrea
Non nel tempio ma nel deserto Giovanni e Andrea incontrano Dio.
Hanno seguito il carisma del Battista, hanno lasciato tutto per seguirlo, anche la loro pelle è stata riarsa dal sole e dal vento del deserto di Giuda. Ora il loro maestro sa che è finito il suo tempo.
È fermo, statico, mentre Gesù passa.
È finito il suo tempo, e lo sa. E indica Gesù, mischiato fra i penitenti. È lui, ora, che devono seguire.
Lo chiama agnello di Dio, come l’agnello immolato la notte di Pasqua, come l’agnello immolato al posto del popolo il giorno di Yom kippur, come l’agnello sacrificato al posto di Isacco, come l’agnello mansueto del profeta Isaia.
Forse il Battista vede nel Nazareno l’ombra della sofferenza e la determinazione del dono di sé.
Certamente la vede l’evangelista che riporta l’incontro.
Che bello avere un maestro che indica il Maestro, che si fa da parte, che conduce al vero pastore.
Che volete?
È la prima parola che Gesù pronuncia nel vangelo di Giovanni: che volete?
Non cerca discepoli, non li blandisce o si congratula con loro per la scelta fatta. Chiede ragione della loro scelta. Dio non vuole discepoli a rimorchio, cristiani sbadati, cattolici per abitudine. Chiede consapevolezza. Il nostro è un Dio che chiede di seguirlo, ma da adulti.
La fede non è mai un comodo rifugio che ci protegge dal mondo cattivo, il tappeto sotto cui nascondere le nostre miserie.
Dio vuole uomini veri e liberi.
Sono spiazzati, Giovanni e Giacomo. Troppo forte e diretta la domanda per non inquietare.
Cosa cercano? Non lo sanno ancora.
Chiedono aiuto, chiedono lumi, un qualche appiglio, un punto di riferimento.
Dove abiti?
Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare! Quanti “se” e “ma” mettiamo prima di dire il nostro “sì” definitivo al Signore.!
E lui che, allora come oggi, ci risponde: venite a vedere.
Non chiedere, fidati, muoviti, fa’ diventare questa ricerca un’esperienza, investi.
Cocciuto
Più freddo e asettico, nel testo di Giovanni, l’incontro con Simone.
Lui tace, non dice nulla, nessun entusiasmo, solo una grande passività: viene condotto.
E Gesù se ne accorge, vede in lui una durezza, un’ostinazione, è duro come la pietra.
Ma su quella pietra appoggerà la fede. Da un evidente difetto saprà trarne un grande vantaggio per i fratelli. Così accade a chi diventa discepolo.
Andare a vedere
La fede non è “fare”, “sapere” ma “conoscere”.
Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l’esperienza della sequela.
Ed essi andarono, videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere.
L’annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: erano circa le quattro del pomeriggio.
Quel giorno, quell’istante, è così importante per lui che segna l’inizio di una vita nuova.
Sono passati forse sessant’anni da quell’evento e il discepolo ricorda l’ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l’inizio di una nuova Creazione.
A questo siamo chiamati: a fare esperienza di Dio.
Un tempo poco ordinario, per la verità.

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