Commento a cura di Giuseppe Di Stefano"CHI CONDANNERÀ?"

Commento su Marco 9,2-10
II Domenica di Quaresima (Anno B) (01/03/2015)
COMMENTO ALLE LETTURE
La difficoltà più grande di annunciare il perdono di Dio tra la nostra gente sta nel fatto che tanti
non credono che qualcuno mai li possa perdonare per ciò che hanno fatto.
Ciò che è più difficile, infatti, non è perdonare, ma credere in un Dio che al male del mondo ha risposto con il sacrificio del suo Figlio, il suo Unico e Amato Figlio, per noi.
Nella morte in croce del Figlio si compie, infatti, quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo, e questo per solo amore.
Dinanzi a un Dio così scandalosamente dalla nostra parte, «chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31b).
Eppure non ci è difficile immaginare quali pensieri e sentimenti stringevano come in una morsa il cuore di Abramo mentre preparava il «coltello per immolare suo figlio» (Gn 22, 10). Quale padre sano di mente sacrificherebbe la vita del suo unico figlio, fosse anche per obbedire al Signore?
La risposta a questo interrogativo la troviamo nel silenzio di un Dio che sembra essere stato come "ingoiato" dalle tenebre del Venerdì santo, in cui risuona con forza soltanto la supplica accorata di suo Figlio: «... perché mi hai abbandonato?».
È guardando a quel corpo inchiodato sulla croce, torturato, schiacciato, ucciso, a quel fianco squarciato che siamo certi di non sbagliarci su Dio. Perché sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci sbagliamo sulla storia, sul mondo, sull'uomo, su noi stessi, sul futuro, sui rapporti umani.
Nella persona di Isacco ci viene messo davanti un figlio - come ogni figlio - che è minacciato di essere sacrificato. Il suo non è il racconto di un sacrificio mancato, ma piuttosto il racconto di un sacrificio compiuto: il sacrificio del sacrificio!
Fermando la mano di Abramo prima che possa sacrificargli il figlio, Dio «sventa questa minaccia a vantaggio di tutti, per evitare che qualcuno, guardando un padre sacrificare il proprio figlio, si faccia l'idea che Dio sia abitato da quella violenza che, invece, spesso abita il nostro cuore ed anima i nostri gesti» (Michael Davide).
Colui che dalla nube indica Gesù come il Figlio amato da ascoltare (Mc 9, 7), non può essere un Dio che vuole i sacrifici, ma l'amore. Quello stesso Dio che, nel suo Unigenito, si rivelerà come colui che si sacrifica, per non aver accettato di sacrificare nessuno.
«Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
[...] Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rm 8, 31-35. 1).

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