D. Mario MORRA SDB"Il dolore e la sofferenza umana alla luce della fede"

8 febbraio 2015 | 5a Domenica - T. Ordinario B | Omelia
La Liturgia della Parola di questa 5a Domenica del Tempo Ordinario ci invita a riflettere sul problema del dolore e della sofferenza umana alla luce della fede, e ci prepara così alla Giornata mondiale del Malato che celebreremo in settimana.
L'autore del libro di Giobbe, uomo molto realista, ci presenta la constatazione amara che la vita dell'uomo sulla terra è colma di illusioni e di dolore; constatazione ovvia, alla portata di tutti noi.

Ciò che però "scandalizza" l'autore, e fa problema, è il fatto che la sofferenza e la sventura abbiano ad abbattersi, il più delle volte, su una persona che non ha colpe; il fatto cioè che sia un innocente a soffrire.
Per questo Giobbe grida la sua ribellione, entra in discussione con Dio e chiede una spiegazione. Ma non potrà avere una spiegazione, perché i disegni di Dio superano l'uomo e rimangono a lui misteriosi perché sono più grandi di lui.
Anche la sofferenza del giusto e dell'innocente rientra in questi disegni provvidenziali di Dio.
La risposta al grande interrogativo di Giobbe: "Perché la sofferenza del giusto e dell'innocente?" arriverà in Gesù, il Figlio che Dio manda nel mondo.
Gesù si accosta a chi soffre, si fa solidale con i poveri, gli ammalati, gli esclusi; li libera spesso dalla loro condizione di sofferenza e di malattia, come attesta il Vangelo di Marco: "Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni".
Gesù però non elimina la sofferenza; la assume in sé e ne fa esperienza personale, diretta, fino in fondo. Anzi, proprio attraverso la sua sofferenza, Egli, innocente, senza la più piccola ombra di colpa, compie l'opera della redenzione dell'umanità, voluta dal Padre.
Con Lui la sofferenza diventa fonte e strumento di salvezza.
Certo Gesù avrebbe potuto eliminare ogni dolore dal mondo, e noi avremmo anche desiderato che ci avesse liberato dai mali fisici e morali, dalle tante tribolazioni della vita, e risparmiato anche dalla stessa morte. Ci avrebbe dato così il paradiso in terra.
Ma il piano di Dio è diverso. Il Padre non ha inviato il Figlio perché facesse di questa terra, e di questa nostra vita, un paradiso, ma per dirci che questa vita sfocia in un'altra, che la felicità vera è dell'altra vita, e che l'uomo è destinato a questa felicità vera e può conseguirla.
È questa la "lieta notizia" che Gesù ci porta, che cioè il Padre ci ama e ci vuole tutti salvi. Questa lieta notizia è più importante della liberazione dal male fisico o morale, durante la vita terrena; più importante è la liberazione dal peccato, con il dono della grazia che ci rende nuovamente figli di Dio; più importante è la liberazione dall'angoscia per una vita senza senso che finisce nel nulla, con la rivelazione consolante che Dio è un Padre che ci ama.
È questo il vangelo che Gesù sente di dover annunziare a tutti: "Andiamocene altrove - Egli dice - per i villaggi vicini, perché io predichi anche là, perché per questo sono venuto".
I miracoli che Gesù compie sono dei segni, manifestano cioè che con Lui la salvezza promessa è giunta, che è apparsa la bontà misericordiosa di Dio e che pertanto dobbiamo accogliere il suo messaggio.
La fede in Gesù non ci libera quindi dalla sofferenza in questa vita. Ma la nostra condizione di credenti, è diversa da quella di chi non crede.
"La certezza dell'immortalità futura e la speranza della risurrezione promessa - scrive san Giovanni Paolo II - proiettano una luce nuova sul mistero del soffrire e del morire, e infondono nel credente una forza straordinaria per affidarsi al disegno di Dio...
Significa riconoscere che la sofferenza, pur restando in se stessa un male e una prova, può diventare sorgente di bene. Lo diventa se viene vissuta per amore e con amore, nella partecipazione, per dono gratuito di Dio e per libera scelta personale, alla sofferenza stessa di Cristo crocifisso.
In tal modo chi vive la sua sofferenza nel Signore viene pienamente conformato a Lui e intimamente associato alla sua opera redentrice a favore della Chiesa e dell'umanità. È questa l'esperienza dell'apostolo Paolo, che anche ogni persona che soffre è chiamata a vivere: sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca alle tribolazioni di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa." (EV 67)
Non è certo facile entrare in questa visione di fede, quando si è toccati nel vivo della propria carne o del proprio spirito; soprattutto non è facile vivere la sofferenza come prova d'amore a Dio, come mezzo di purificazione e di configurazione a Cristo redentore.
È una grazia grande che Gesù ci insegna a chiedere con la preghiera. Egli stesso, ci riferisce il Vangelo, dopo essere stato in mezzo a tanti ammalati, "al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava".

Maria che ha accompagnato Gesù nella via dolorosa fino al calvario e che ai piedi della Croce ha vissuto nel suo cuore le sofferenze di Gesù che muore per la salvezza di tutti gli uomini, ci accompagni nell'ora del dolore e della sofferenza e ci aiuti ad essere anche noi uniti a Gesù redentore, per la salvezza nostra e del mondo.


D. Mario MORRA SDB

Commenti

Post più popolari