fr. Massimo Rossi "In disparte, in luoghi desertici"
Commento su Marco 1,40-45
VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/02/2015)
40)Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo
severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
...E così Gesù è costretto a vivere come vivevano i lebbrosi, in disparte, in luoghi desertici, senza poter neppure entrare in città. La solitudine è il prezzo dell'originalità, del carisma, della fama. Fedele al suo mandato di incarnarsi nella storia, il Verbo di Dio deve suo malgrado porre una distanza tra sé e il consesso umano. Sì, la distanza la porrà lui, di sua spontanea volontà, dopo la risurrezione, quando affiderà ai sacramenti la sua presenza reale tra noi... Ma, durante la vita pubblica, il desiderio del Signore altro non era che quello di poterci parlare, toccare, guarire, entrando nelle case degli amici, dei peccatori, accettando financo le dispute a doppio taglio con i farisei e i dottori della legge...
Certo i motivi che impediscono a Gesù di camminare tra la gente sono del tutto diversi da quelli di un lebbroso; ma, ripeto, le conseguenze son le stesse. Pochi anni dopo, il Figlio di Dio sarebbe stato trattato addirittura peggio di un lebbroso; condannato a morire fuori da Gerusalemme, là dove finivano i peggiori condannati, sul Calvario, il luogo del cranio.
15 secoli più tardi, mentre in tutta Europa infuriava la peste nera, che avrebbe ridotto del 70% l'intera popolazione del continente, il pittore Grünewald, dipingeva il Crocifisso della famosa pala dell'altare di Isenheim, un Crocifisso con il corpo sfigurato, un Crocifisso appestato...
Colui che, malato di peste, avesse guardato quel Cristo dalla carne coperta di piaghe, avrebbe provato il conforto della vicinanza di Dio. Si rinnovava la stessa scena del serpente innalzato da Mosè nel deserto (cfr. Mn 21,4-9), simbolo del Cristo innalzato che ci attira tutti a sé e ci salva..
Il principio teologico che ispirò il maestro della pittura fiamminga era proprio quello dell'incarnazione: il Messia si è fatto uno di noi, sofferente tra i sofferenti; solidale in tutto tranne che nel peccato, certo, tuttavia accusato dai contemporanei del peccato più infame, la bestemmia, perché aveva osato dire: "Sono figlio di Dio." (cfr. Mt 26).
Sentite il dialogo tra Oscar, il bambino protagonista dell'omonimo romanzo di E. E. Schmitt, e la sua badante Rose, quando costei lo accompagna in chiesa e lui vede il crocifisso per la prima volta; rivolto a Dio, il bambino dice: "E' stato un colpo quando ho visto la tua statua, insomma, quando ho visto in che stato eri, quasi nudo, magro magro sulla tua croce, con delle ferite dappertutto, il cranio sanguinante sotto le spine e la testa che non stava nemmeno più sul collo. Se io fossi Dio, come te, non mi sarei lasciato ridurre in quel modo. - e rivolto alla sua accompagnatrice - Nonna Rose, sia seria: lei che era lottatrice di catch, lei che è stata una grande campionessa, non si fiderà di quell'essere! Perché, Oscar? - rispose lei - Daresti più credito a Dio se vedessi un culturista con i muscoli gonfi, la pelle unta d'olio, i capelli corti e il minislip che ne fa risaltare la virilità? Rifletti, Oscar: A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente, o a un Dio che soffre? A quello che soffre, ovviamente - rispose Oscar - Ma se fossi lui, se fossi Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei evitato di soffrire. Nessuno può evitare di soffrire - concluse mamma Rose - ne tu, ne io, e neppure Dio." (p.54).
Tornando alla scena del Vangelo di oggi, stupisce la violenza apparentemente gratuita, con la quale il Signore, caccia via il lebbroso guarito: evidentemente presagiva le possibili conseguenze di una simile inopportuna reclame... ciò che puntualmente si verificò. Questa improvvisa reazione del Maestro di Nazareth, dopo la compassione che aveva mostrato pochi istanti prima, mi sembra veramente fuori luogo...
Il repentino cambio di umore potrebbe essere dovuto, paradossalmente, al tentativo di proteggere il lebbroso dal linciaggio: secondo il libro del Levitico, un lebbroso lo si doveva riconoscere da lontano: era obbligato a portare vesti stracciate, il capo coperto, velato fino al labbro superiore... Se qualcuno avesse visto un individuo così conciato, che si aggirava furtivamente per le strade della sua città, vi immaginate la reazione? Dunque Gesù allontana immediatamente l'ex-malato, onde evitare che un fatto gioioso si trasformi in tragedia.
Sono supposizioni, come tali, del tutto opinabili e, secondo alcuni esegeti, superflue e pure indebite: è necessario lasciare le cose così come stanno; mica è sempre tutta chiara la Parola di Dio! Quando S. Agostino si imbatteva in un versetto della S. Scrittura, del quale coglieva il controsenso, ma non il senso, concludeva "Non est mendacium, sed mysterium", letteralmente, non si tratta di errore, ma di un mistero. Con questa conclusione, il Vescovo di Ippona ci ricorda che la ragione umana non ha il diritto, e neppure la capacità di sciogliere tutti gli enigmi che talora si celano dietro le parole ispirate della Bibbia... Dobbiamo aprire la mente al mistero e fuggire la tentazione di credere che l'intelletto possa invadere un regno - la Rivelazione - che non le appartiene, ma, al quale apparteniamo noi!
Anche se il Vangelo non lo afferma esplicitamente, leggendo tra le righe, avverto un filo di polemica, nell'ordine dato da Gesù al lebbroso di recarsi a pagare l'imposta prescritta dalla legge di Mosé... voi non trovate?
Ai tempi di Gesù, di lebbra non si guariva; immaginate un lebbroso, probabilmente conosciuto dalla comunità, che, tutto a un tratto, guarisce e si presenta al tempio a versare la tassa per la recuperata salute, una sorta di ticket sanitario ante litteram; questo costituiva, costituisce la chiara testimonianza di (aver ricevuto) un miracolo; immagino che costui avrà dovuto dare delle spiegazioni al sacerdote, e dunque (immagino) abbia descritto di aver incontrato Gesù, etc., etc... Se ricordate, l'episodio del cieco nato, raccontato nel Vangelo di Giovanni (9,1-41), affronta la questione della dura reazione dei sacerdoti alla notizia che un giovane, cieco dalla nascita, aveva recuperato la vista per l'imposizione delle mani di Gesù...
In un modo, o nell'altro, la cosa si sarebbe risaputa. E così avvenne.
Ironia della sorte, a venti secoli di distanza, la realtà si è volta nel suo esatto contrario: se in quel tempo, il Figlio di Dio doveva imporre il silenzio sulla sua missione di Messia, oggi il Figlio di Dio dormirebbe tranquillo, come fra due guanciali: il suo messaggio è ben nascosto nel cuore dei cristiani, e non c'è pericolo di una fuga di notizie, di uno scoop sui miracoli della fede...
Nessuno chiede più di Dio, nessuno parla più di Lui, e quelli che lo fanno, lo fanno spesso a sproposito, o in modo controproducente... Del resto, potremmo obbiettare, di miracoli non ne fa più, Dio... e se non compie miracoli, che Dio è? cui prodest, a che giova parlarne?
VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/02/2015)
40)Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo
severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
...E così Gesù è costretto a vivere come vivevano i lebbrosi, in disparte, in luoghi desertici, senza poter neppure entrare in città. La solitudine è il prezzo dell'originalità, del carisma, della fama. Fedele al suo mandato di incarnarsi nella storia, il Verbo di Dio deve suo malgrado porre una distanza tra sé e il consesso umano. Sì, la distanza la porrà lui, di sua spontanea volontà, dopo la risurrezione, quando affiderà ai sacramenti la sua presenza reale tra noi... Ma, durante la vita pubblica, il desiderio del Signore altro non era che quello di poterci parlare, toccare, guarire, entrando nelle case degli amici, dei peccatori, accettando financo le dispute a doppio taglio con i farisei e i dottori della legge...
Certo i motivi che impediscono a Gesù di camminare tra la gente sono del tutto diversi da quelli di un lebbroso; ma, ripeto, le conseguenze son le stesse. Pochi anni dopo, il Figlio di Dio sarebbe stato trattato addirittura peggio di un lebbroso; condannato a morire fuori da Gerusalemme, là dove finivano i peggiori condannati, sul Calvario, il luogo del cranio.
15 secoli più tardi, mentre in tutta Europa infuriava la peste nera, che avrebbe ridotto del 70% l'intera popolazione del continente, il pittore Grünewald, dipingeva il Crocifisso della famosa pala dell'altare di Isenheim, un Crocifisso con il corpo sfigurato, un Crocifisso appestato...
Colui che, malato di peste, avesse guardato quel Cristo dalla carne coperta di piaghe, avrebbe provato il conforto della vicinanza di Dio. Si rinnovava la stessa scena del serpente innalzato da Mosè nel deserto (cfr. Mn 21,4-9), simbolo del Cristo innalzato che ci attira tutti a sé e ci salva..
Il principio teologico che ispirò il maestro della pittura fiamminga era proprio quello dell'incarnazione: il Messia si è fatto uno di noi, sofferente tra i sofferenti; solidale in tutto tranne che nel peccato, certo, tuttavia accusato dai contemporanei del peccato più infame, la bestemmia, perché aveva osato dire: "Sono figlio di Dio." (cfr. Mt 26).
Sentite il dialogo tra Oscar, il bambino protagonista dell'omonimo romanzo di E. E. Schmitt, e la sua badante Rose, quando costei lo accompagna in chiesa e lui vede il crocifisso per la prima volta; rivolto a Dio, il bambino dice: "E' stato un colpo quando ho visto la tua statua, insomma, quando ho visto in che stato eri, quasi nudo, magro magro sulla tua croce, con delle ferite dappertutto, il cranio sanguinante sotto le spine e la testa che non stava nemmeno più sul collo. Se io fossi Dio, come te, non mi sarei lasciato ridurre in quel modo. - e rivolto alla sua accompagnatrice - Nonna Rose, sia seria: lei che era lottatrice di catch, lei che è stata una grande campionessa, non si fiderà di quell'essere! Perché, Oscar? - rispose lei - Daresti più credito a Dio se vedessi un culturista con i muscoli gonfi, la pelle unta d'olio, i capelli corti e il minislip che ne fa risaltare la virilità? Rifletti, Oscar: A chi ti senti più vicino? A un Dio che non prova niente, o a un Dio che soffre? A quello che soffre, ovviamente - rispose Oscar - Ma se fossi lui, se fossi Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei evitato di soffrire. Nessuno può evitare di soffrire - concluse mamma Rose - ne tu, ne io, e neppure Dio." (p.54).
Tornando alla scena del Vangelo di oggi, stupisce la violenza apparentemente gratuita, con la quale il Signore, caccia via il lebbroso guarito: evidentemente presagiva le possibili conseguenze di una simile inopportuna reclame... ciò che puntualmente si verificò. Questa improvvisa reazione del Maestro di Nazareth, dopo la compassione che aveva mostrato pochi istanti prima, mi sembra veramente fuori luogo...
Il repentino cambio di umore potrebbe essere dovuto, paradossalmente, al tentativo di proteggere il lebbroso dal linciaggio: secondo il libro del Levitico, un lebbroso lo si doveva riconoscere da lontano: era obbligato a portare vesti stracciate, il capo coperto, velato fino al labbro superiore... Se qualcuno avesse visto un individuo così conciato, che si aggirava furtivamente per le strade della sua città, vi immaginate la reazione? Dunque Gesù allontana immediatamente l'ex-malato, onde evitare che un fatto gioioso si trasformi in tragedia.
Sono supposizioni, come tali, del tutto opinabili e, secondo alcuni esegeti, superflue e pure indebite: è necessario lasciare le cose così come stanno; mica è sempre tutta chiara la Parola di Dio! Quando S. Agostino si imbatteva in un versetto della S. Scrittura, del quale coglieva il controsenso, ma non il senso, concludeva "Non est mendacium, sed mysterium", letteralmente, non si tratta di errore, ma di un mistero. Con questa conclusione, il Vescovo di Ippona ci ricorda che la ragione umana non ha il diritto, e neppure la capacità di sciogliere tutti gli enigmi che talora si celano dietro le parole ispirate della Bibbia... Dobbiamo aprire la mente al mistero e fuggire la tentazione di credere che l'intelletto possa invadere un regno - la Rivelazione - che non le appartiene, ma, al quale apparteniamo noi!
Anche se il Vangelo non lo afferma esplicitamente, leggendo tra le righe, avverto un filo di polemica, nell'ordine dato da Gesù al lebbroso di recarsi a pagare l'imposta prescritta dalla legge di Mosé... voi non trovate?
Ai tempi di Gesù, di lebbra non si guariva; immaginate un lebbroso, probabilmente conosciuto dalla comunità, che, tutto a un tratto, guarisce e si presenta al tempio a versare la tassa per la recuperata salute, una sorta di ticket sanitario ante litteram; questo costituiva, costituisce la chiara testimonianza di (aver ricevuto) un miracolo; immagino che costui avrà dovuto dare delle spiegazioni al sacerdote, e dunque (immagino) abbia descritto di aver incontrato Gesù, etc., etc... Se ricordate, l'episodio del cieco nato, raccontato nel Vangelo di Giovanni (9,1-41), affronta la questione della dura reazione dei sacerdoti alla notizia che un giovane, cieco dalla nascita, aveva recuperato la vista per l'imposizione delle mani di Gesù...
In un modo, o nell'altro, la cosa si sarebbe risaputa. E così avvenne.
Ironia della sorte, a venti secoli di distanza, la realtà si è volta nel suo esatto contrario: se in quel tempo, il Figlio di Dio doveva imporre il silenzio sulla sua missione di Messia, oggi il Figlio di Dio dormirebbe tranquillo, come fra due guanciali: il suo messaggio è ben nascosto nel cuore dei cristiani, e non c'è pericolo di una fuga di notizie, di uno scoop sui miracoli della fede...
Nessuno chiede più di Dio, nessuno parla più di Lui, e quelli che lo fanno, lo fanno spesso a sproposito, o in modo controproducente... Del resto, potremmo obbiettare, di miracoli non ne fa più, Dio... e se non compie miracoli, che Dio è? cui prodest, a che giova parlarne?
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