Luca Desserafino sdb"Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!"

15 febbraio 2015 | 6a Domenica - T. Ordinario B | Omelia
6a Domenica del Tempo Ordinario - B
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
In questa VI domenica del Tempo Ordinario, la liturgia ancora si sofferma sul tema della sofferenza, ma non una sofferenza in generale, bensì concreta, visibile, tangibile, come lo è la lebbra. La mentalità religiosa degli antichi legava l'anima al corpo in una unità maggiore di quanto non faccia la mentalità contemporanea. Ne risultava così, che ogni malattia fisica
doveva essere il riflesso e la conseguenza di una malattia morale.
Fra tutte le malattie, la lebbra era considerata dagli Ebrei quella che più rendeva impuro l'uomo, perché distruggendolo nella sua integrità e vitalità fisica, era per eccellenza segno del peccato e della sua gravità. Per questo, la lebbra non è mai considerata solo o principalmente da un punto di vista medico, ma riveste un carattere prevalentemente religioso.

Solo così si spiegano le misure severe e repellenti che sono riportate nella prima lettura. Non si tratta semplicemente di misure profilattiche: tale isolamento mirava a preservare "la santità del popolo di Dio". La lebbra, segno del peccato, poneva l'uomo al di fuori della comunità del popolo di Dio, ne faceva uno "scomunicato".

Per questo le guarigioni dalla lebbra, narrate dai vangeli - tenuto conto del contesto sociale presente nella prima lettura - diventano simbolo della liberazione dal peccato, segno e prova del potere di Gesù.

Il Vangelo di Marco è un racconto di miracolo e le sue sottolineature sono almeno tre.

* La prima è che il miracolo è legato alla fede: suppone la fede, suppone che l'uomo prenda coscienza della sua situazione (dalla quale non può uscire) e si affidi alla potenza di Gesù ("Lo supplicava in ginocchio e diceva: se vuoi, puoi guarirmi"). Così il miracolo diventa una lezione, la prova che la salvezza non è opera dell'uomo, ma dono di Dio.
* La seconda sottolineatura è che il miracolo non è mai fine a se stesso e non è mai esclusivamente a beneficio del miracolato: è un segno per tutti, una testimonianza, come nel nostro racconto in cui il lebbroso guarito è inviato ai sacerdoti per offrire loro la possibilità di conoscere il Signore ("Presentati al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro").
* Una terza sottolineatura è ancora più importante: si tratta della guarigione di un lebbroso. Il lebbroso è un impuro, colpito da Dio a causa di un'impurità: egli è un intoccabile e deve vivere al bando della società. È su questo sfondo che il racconto evangelico acquista un significato preciso: Gesù tocca un intoccabile.

Il Regno di Dio non tiene conto delle barriere del puro e dell'impuro: le supera. Non esiste uomo da accogliere e uomini da evitare, uomini vicini e uomini lontani, uomini con diritti e uomini senza diritti. Tutti sono amati da Dio e chiamati, e la prassi evangelica deve - appunto - essere il segno di questo amore divino che non fa differenze.

Un'ultima osservazione è sorprendente: Gesù si ritira in luoghi deserti per sfuggire alla folla, ma in realtà la folla lo trova e accorre a Lui da ogni parte. Gesù compie un miracolo che lo rivela Messia, ma stranamente non vuole che questo si sappia. Perché?

Perché c'è sempre il rischio (e il Vangelo di Marco ne è consapevole) di intendere male la messianità di Gesù, di strumentalizzare la sua persona e di stravolgerne le intenzioni. Non basta parlare di Cristo, bisogna parlarne bene.

A ciascuno di noi, come Suoi discepoli, è consegnato questo importante compito. Testimoniare nella nostra vita e con la nostra vita l'amore di Dio Padre che si rileva in quello del Figlio e che nello Spirito tutti ci comprende.

Luca Desserafino sdb

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