Abbazia Santa Maria di Pulsano Domenica “di Lazzaro” III degli Scrutini V di Quaresima A
Gv 11,1-45; Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11
Antifona d’Ingresso Sal 42,1-2
Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa
contro gente senza pietà;
salvami dall’uomo ingiusto e malvagio,
perché tu sei il mio Dio e la mia difesa.
Nel Sal 42,l-2a, SI l’orante esprime il suo desiderio di Dio, e si sottopone volentieri al suo Giudizio misericordioso (v. 1a; 7,9; 21,1; 1 Sam 24,16), poiché sa che solo dal Signore può ricevere l’ascolto esaudiente. Non dai suoi nemici, che stando lontano dalla santità divina, nelle loro opere malefiche
possono solo perpetrare iniquità e dolo mortali contro il pio Orante (v. 1ab). L’appello al Signore è motivato. In tutto questo, trattandosi di salvezza, di scampo dai pericoli mortali prodotti dagli uomini, di sottoporsi al divino Giudizio salvifico, l’orante sa che per lui esiste la sola via che lo porti alla vita, il «Dio suo», il Dio dell’alleanza fedele che interviene sempre in favore dell’alleato minore. Egli è la «Forza sua», l’irresistibile Potenza del Signore Unico, che agisce sempre con Bontà (v. 2a; 30,4). Questa è la premessa per la resurrezione del fedele.
Canto all’Evangelo Cf Gv 11,25.26
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Io sono la risurrezione e la vita, dice il Signore,
chi crede in me non morirà in eterno.
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Tratto dall’Evangelo di oggi, nel testo ritrova il suo contesto naturale. Esso pone in risalto il tema principale, Cristo la Resurrezione e la Vita, che chiede la fede per donare la Vita eterna. Donerà la vita a Lazzaro sulla fede delle sue sorelle. Si tratta di parole solenni, divine, che creano l’ultima realtà salvifica, la resurrezione, il cui nucleo e caparra sta nell’Iniziazione cristiana.
In questa Domenica, la III degli scrutini dei catecumeni, si presenta dunque il 7° ed ultimo «segno» giovanneo prima della Resurrezione del Signore, Lazzaro resuscitato. Ricordiamo i sette segni o miracoli descritti nell’evangelo di Giovanni:
1) Cana: 2,1-12;
2) la guarigione del figlio dell’ufficiale regio: 4,46-54;
3) la guarigione del paralitico alla piscina di Betzaetà: 5,1-9
4) la moltiplicazione dei pani e dei pesci: 6,1-15;
5) il cammino sulle acque: 6,16-21;
6) la guarigione del cieco nato: 9,1-41;
7) la resurrezione di Lazzaro: 11,1-45
Si nota a colpo d’occhio che solo due sono in comune con i sinottici:
a) la moltiplicazione dei pani e dei pesci;
b) il cammino sulle acque.
Il richiamo che appare evidente è il fatto che la Resurrezione è il nucleo vero, esclusivo del N.T.
L’«Evangelo di Dio» è Evangelo della Resurrezione. Si comprende così il grande grido di Paolo: «Se Cristo non fosse stato resuscitato...» (1 Cor 15,14-17), che termina con la proclamazione più alta di tutta la scrittura:«Ma fu resuscitato!» (v. 20).
Da questo, tutti gli altri «segni », e gli stessi sacramenti della Chiesa, derivano e giungono a noi.
In tale contesto grandioso va osservato a fondo e compreso il fatto di Lazzaro.
In tutto il N.T. si narra di resurrezioni solo 3 volte:
a) la figlia di Giairo, il capo della sinagoga: Mc 5,21-24 e 35-43; Mt 9,18-19 e 23-26; Lc 8,40-42 e 49-56;
b) il figlio della vedova di Nain (solo Lc 7,11-17);
c) Lazzaro (solo Gv 11,1-45).
Il N.T. vede poi altre resurrezioni, una operata da Pietro (cf. At 9, 36-43), una da Paolo (At 20,7-12). È la promessa esplicita del Signore nel "discorso di missione" "...resuscitate i morti..." (Mt 10,8): anche qui i discepoli proseguono l’opera del Signore.
“In effetti, la resurrezione è la più completa teofania del Regno che viene, poiché recupera al Regno gli uomini che al Regno appartengono, e di cui la Morte — dietro cui sta "il Male", "il Maligno", "il Nemico", "l’Inferno", unica personificazione — tenta di fare la preda sua” (T. Federici).
Ora, la Resurrezione del Signore è il centro dell’Evangelo. Quella di Lazzaro ne è la conseguenza, ma prolettica, anticipata, poiché la Resurrezione, operata dallo Spirito, ottiene l’intera Grazia dello Spirito- il quale spira dove vuole (cf. Gv 3,8), anche già nell’A.T.
I personaggi sulla scena costituiscono un elemento letterario importante per determinare la composizione di questo brano drammatico (Gesù con i discepoli, Gesù con Marta e poi con Maria, compaiono i giudei, la resurrezione di Lazzaro).
Ecco una possibile struttura letteraria e tematica di Gv 11,1-54
A. La resurrezione di Lazzaro
I. La malattia di Lazzaro (11,1-6):
1. La notizia della malattia e la reazione di Gesù:
a) situazione e presentazione dei protagonisti, 11,1-2;
b) informazione sulla malattia di Lazzaro e dichiarazione programmatica di Gesù, 11,3-4;
c) rapporto di Gesù con la famiglia di Lazzaro e la sua assenza da Betania, 11,56.
II. La morte di Lazzaro (11,7-16):
2. Il dialogo di Gesù con i discepoli (11,7-16):
a) invito di Gesù ad andare in Giudea e reazione dei discepoli, 11,7-8;
b) le ore del giorno e il cammino nella luce, 11,9-10;
c) annuncio della morte di Lazzaro e reazione di Tommaso, 11,11-16.
3. L’arrivo di Gesù nei pressi di Betania e l’incontro con Marta (11,17-27):
a) arrivo di Gesù e reazione delle due sorelle di Betania, 11,17-20;
b) lamento di Marta e promessa di Gesù, 11,21-24;
c) autopresentazione di Gesù e professione di fede di Marta, 11,25-27.
4. L’incontro di Gesù con Maria e i giudei (11,28-37):
a) chiamata di Maria e reazione dei giudei, 11,28-31;
b) incontro e lamento di Maria con Gesù, 11,32;
c) sconvolgimento di Gesù e diverse reazioni dei giudei, 11,33-37.
III. La risurrezione di Lazzaro (11,38-44):
5. L’arrivo di Gesù al sepolcro e la risurrezione di Lazzaro (11,38-44):
a) ordine di Gesù di togliere la pietra e dialogo con Marta, 11,38-4la;
b) preghiera di Gesù al Padre, 1 l,41b-42;
c) chiamata di Lazzaro e ordine di liberarlo, 11,43-44.
B. La condanna a morte di Gesù (Gv 11,45-54)
1. La duplice reazione dei giudei, 11,45-46;
2. La convocazione e decisione del sinedrio, 11,47-53;
3. Il ritiro di Gesù nella città di Efraim, 11,54.57
La presenza di Gesù dall’inizio alla fine dà unità all’episodio, mentre, la varietà degli attori nelle diverse scene conferisce vivacità all’azione drammatica.
I luoghi dove si svolgono i fatti narrati sono utili anch’essi per delimitare i diversi brani che compongono la pericope in esame. La grande inclusione tematica dei vv. 4 e 40, insinua la luce nella quale interpretare il miracolo della resurrezione di Lazzaro; esso è un segno che manifesta la gloria di Dio.
Tutta la pericope sembra racchiusa dal riferimento di questo segno alla gloria di Dio.
Gv 11,4 Gv 11,40
Questa malattia non è per la morte, Se credi,
ma per la gloria di Dio. vedrai la gloria di Dio.
Con questo prodigio Gesù rivela di essere la Resurrezione e la Vita, non solo proclamando questa verità (v. 25), ma richiamando dai morti l’amico che giaceva nella tomba già da quattro giorni.
Per quanto riguarda il “tempo” in cui è collocato questo segno, si è nell’intervallo tra la festa della Dedicazione (cf Gv 10,22) e la Pasqua giudaica. Ricordiamo che proprio in occasione della festa della Dedicazione Gesù si è presentato come il “buon pastore” che dà la vita per le pecore e non permette che esse siano rapite dalla sua mano, perché gli sono state affidate dal Padre (cf Gv 10,29). Il segno che compirà ora non fa che evidenziare come nessun nemico possa strappare i suoi dalla sua mano, neppure la morte. Nella risurrezione di Lazzaro si mostra la fedeltà del Padre manifestata in Gesù.
Esaminiamo il brano
vv. 1-2 Il brano inizia con un frase di sapore biblico (v. 1) che troviamo frequentemente nell’A.T.1
Lazzaro di Betania, Maria e Marta: il rimando obbligatorio è all’unico luogo dove conosciamo le due sorelle (Lc 10,38-42), dove tuttavia Marta appare come capofamiglia, e non si menziona Lazzaro.
«Betania»: si trova a meridione di Gerusalemme, distante circa 15 stadi cioè 3 Km. (v. 18); diverse sono le spiegazioni di questo nome: bèt hînî = casa dei datteri; bèt ‘ànjjà = casa di Anania; il senso di «casa dell’amicizia» è una pura invenzione di pii autori, in riferimento all’amicizia e ospitalità offerta a Gesù da Lazzaro, che vi abitava.
Lazzaro noto solo al quarto evangelista è ricordato anche nei brani immediatamente seguenti (Gv 12,ls. 17.); sicuramente benestante (potè offrire una cena al maestro, Gv 12,lss) e stimato (vedi i giudei venuti per il suo funerale), non può essere identificato con il personaggio della parabola di Lc 16,19-31.
Il nome «Lazzaro», forma greca dell`Ebr. Eleazaro (‘el ‘àzàr = Dio aiuta), era abbastanza comune ai tempi del N.T.
«Maria»: ebr. mirjam, aramaico màrjam: di origine incerta; la forma ebr. deriva o dall’egiziano mr’ (essere amato) o da ra’a (= vedere = la veggente); la forma aramaica deriva forse da mara’ (= signora) e significherebbe la signora. «Marta»: dalll’ebr. marta = signora.
La figura di Maria primeggia fra le tre, anzitutto è nominata prima di Marta, Lazzaro è detto "suo fratello", lo stesso evangelista ci rimanda all’episodio dove è protagonista (12,1-11).
v. 3 «Quello che tu ami» (nella vecchia CEI tradotto con il tuo amico): i messi utilizzano il verbo «philéó», che indica «l’amore d’amicizia» o «amore di dilezione». (vedi anche Gv 11,36).
Gesù risponde al V. 5 con un verbo più pregnante «agapàò» che nel N.T. viene usato sovente per indicare l’amore di Dio per gli uomini.
È ancora con questo stesso amore che siamo chiamati a corrispondere (cfr Gv 21,15ss).
v. 4 Qui comincia il comportamento ambiguo di Gesù; ai messi risponde in modo incomprensibile per loro.
L’affermazione solenne di Gesù, simile alla risposta sulla causa della malattia del cieco nato è la chiave teologica ed esegetica del segno.
«ma per la gloria di Dio» non significa semplicemente «perché sia glorificato il Signore», ma per rivelare la potenza salvifica di Dio nel Figlio, affinché egli sia glorificato.
La gloria del figlio è infatti la gloria del Padre (cf Gv 5,23; 17,1.4-5).
vv. 5-6 Pur manifestando il suo amore per i tre fratelli (lo comprese anche la folla, v. 36) non si precipita al capezzale di Lazzaro morente, ma "si trattenne" due giorni nel luogo dove si trovava.
Il comportamento ha dell’incredibile, ma rivela un motivo superiore; del resto così aveva agito per la festa delle Capanne (7,6.8).
Era necessario, come si sa, per il seguito degli eventi.
vv. 7-10 Deciso ora a partire convoca i discepoli, che stupiti gli ricordano timorosi il pericolo cui va incontro. I capi infatti per ben due volte avevano minacciato di lapidarlo (cf Gv 8,59; 10,31 e 39). Gesù coglie l’occasione per ribadire diversi concetti: quello del "giorno" e quello del "sonno", metafore usate per indicare rispettivamente la vita e la morte. La breve parabola del giorno è analoga a quella che Gesù pronuncia prima della guarigione del cieco nato: Gesù paragona la sua vita terrena ad una giornata di 12 ore (si richiama il computo delle ore nella Palestina al tempo di Gesù).
II detto del v. 10 è facilmente interpretabile se consideriamo Cristo la Luce vera: l’occhio da solo non può vedere; chi si ostina nelle tenebre dell’incredulità inciampa perché la fede non è in lui (cf Mt 6,22-23).
vv. 11-13 I discepoli non comprendono la metafora del "sonno" perciò l’evangelista spiega che Gesù parlava del sonno della morte. Abbiamo qui un ennesimo esempio di equivocità voluta, con la quale è insinuata una verità molto importante nell’economia del racconto: per il Figlio di Dio la morte è un semplice sonno. Il cristo con una parola può svegliare da questo stato e ridonare la vita. Gesù tralascia di spiegare l’equivoco dei discepoli sul sonno-morte poiché saranno essi stessi testimoni dell’evidenza.
vv. 14-16 Gesù ci ripensa e torna sull’argomento senza enigmi annunciando che Lazzaro è proprio morto e che la sua felicità non è per la morte ma per la fede dei discepoli che seguirà alla resurrezione.
Le reazioni dei discepoli sono sempre impetuose; Tommaso intuisce che si tratta di qualcosa di grave, tuttavia si lancia con generosità ed esorta i confratelli, proprio lui che dubiterà della resurrezione del Signore stesso.
Ma intanto lì è un generoso; come Pietro (13,37).
vv. 17-20 Gesù giunge a Betania dopo che Lazzaro è ormai morto da ben quattro giorni. L’osservazione del tempo trascorso, dal momento della morte riveste grande importanza nell’economia del segno: la speranza della resurrezione «al terzo giorno», come annunciava la profezia (cf Os 6,1-2), è svanita per sempre. Secondo la mentalità giudaica, nel quarto giorno dalla morte l’anima aveva abbandonato definitivamente il cadavere, mentre si riteneva che nei primi tre giorni aleggiasse attorno al corpo esanime. Nessuno poteva quindi dubitare della morte vera di Lazzaro; il suo cadavere infatti iniziava già a decomporsi (v. 39).
La narrazione adesso si concentra sui due incontri di Gesù con Marta e poi con Maria; Marta è attiva come al solito, Maria sta seduta in casa (è la conferma di Lc 10,38-42).
Da ricordare tuttavia che il costume voleva che le donne tenessero compagnia agli ospiti, in casa, sedendo per terra in segno di lutto; il lamento funebre si svolgeva all’aperto, nel cortile, non dentro casa, dove invece si osservava un completo silenzio.
vv. 21-24 Marta alla presenza di Gesù sfoga il suo dolore; quasi lo aggredisce, sia pure con rispetto; lo chiama infatti Signore e riconosce con fede incrollabile la potenza del Maestro, anche se non osa chiedere il miracolo.
Gesù la rassicura, ma la risposta della donna evidenzia l’equivoco giocato dal futuro «risusciterà»: Gesù lo intende come un evento di prossima realizzazione, mentre Marta lo riferisce all’ultimo giorno della storia (coerentemente con quanto dicevano le scritture: cf il già citato Os 6,1-2; Ez 37,1-14 la 1a lett.; Dn 12,2-3).
vv. 25-27 Comprendendo l’errore della donna Gesù proclama esplicitamente: «Io sono la Resurrezione e la Vita...». L’«Io sono» è la formula della divinità, che rimanda ad Es 3,14. Gesù sollecita la fede, sapendo che Marta risponderà positivamente. È la risposta, puntuale e pronta, è completa: ho creduto e continuo a credere che «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, il Veniente nel mondo».
vv. 28-34 Segue l’incontro con Maria, l’altra sorella e con la folla dei giudei.
Ancora un equivoco da modo a Gesù di annunziare la salvezza a molta più gente.
Marta ha svolto l’ambasciata in gran segreto, perciò i giudei presenti in casa non capirono la ragione vera dell’allontanamento di Maria. Essi pensarono che andasse al sepolcro per piangere sulla tomba del fratello, perciò la seguirono.
Maria come il cieco illuminato, come Giàiro (Mc 5,22), il lebbroso samaritano (Lc 17,16), cade ai piedi di Gesù per adorarlo, perché riconosce in lui una persona divina.
vv. 35-37 Giovanni annota la reazione di Gesù che vede Maria e gli amici nel pianto: «fremè nello Spirito e fu sconvolto»: Il verbo usato per «fremette» il gr embrimáomai esprime ordinariamente indignazione ed ira (vedi anche v. 33 cf Mc 14,5 la donna dei profumi di betania; nelle guarigioni di Mc 1,43 e Mt 9,30); ma contro chi?
È l’incredulità dei giudei (Mc 8,12) o la poca fede di Maria, oppure la realtà della morte a toglierli la serenità?
Gesù non è un essere impassibile: dinanzi alla tragedia della morte è sconvolto (cf Gv 12,27; nel Getsemani Mc 14,33 annota «cominciò a sentirsi oppresso dallo spavento e dall’abbattimento»); l’ostinazione nell’incredulità lo irrita (cf Mc 3,5).
La partecipazione al dolore delle sorelle e degli amici, ed allo stesso dramma di Lazzaro, travolge per intero il Signore. Il pianto del Signore suscita reazioni contrastanti: alcuni giudei si accorgono dell’amore (con philéó) di Gesù per Lazzaro, altri sarcasticamente rilevano che il guaritore del cieco nato avrebbe dovuto far sì che Lazzaro non morisse.
Interessa a questo punto annotare le 3 volte in cui Gesù è turbato, e piange (vv. 33.35.38). È l’unica narrazione evangelica del pianto del Signore.
“Ma così Giovanni vuole insegnare ai fedeli che la Vita immortale, la Resurrezione irresistibile e vittoriosa, il Creatore della vita, la Santità immacolata contro cui il dente impuro e maledetto della Morte nulla può, Egli davanti alla morte freme, è sconvolto, piange, ha paura. Un Dio ariano e monofisita sarebbe solo impassibile, immutabile, inattingibile. E questo il Signore nostro e Dio nostro, lo è. Ma è anche incarnato, e la sua Persona divina ormai sussiste tutta e per intero anche nella sua Umanità, la quale sussiste tutta e per intero nella sua propria Divinità, senza confusione, senza mutazione, senza divisióne, senza separazione". Questo Dio vero Uomo vero si trova adesso di fronte alla Morte, all’”ultimo Nemico” che deve essere distrutto (cf. 1 Cor 15,26), ma a costo di una Battaglia dove il Dio incarnato si presenta nella sua disarmante innocenza, offrendosi, la Santità, alla stretta mortale dell’Orrore impuro, contaminante. La letteratura dell’antico Oriente ripete il tratto dell’eroe invincibile, che di fronte al nemico, pur sapendo di vincere perché quello è vulnerabile, trema e vorrebbe ritirarsi. Anche se non esiste derivazione diretta, il terrore della Morte è narrato dai Sinottici nella scena del Getsemani, ed è alluso da Giovanni nell’incontro del Signore con i Greci (cf. Gv 12,27)”
Il N.T., ispirato dallo Spirito Santo, non nasconde il terrore, lo sconvolgimento, il pianto del Signore. Egli che ha detto molte volte al sofferente: "Non piangere", e al terrorizzato "Non avere paura". Anche fuori degli Evangeli restano i forti echi di questo, che sottolineano il realismo storico dell’Umanità del Signore nostro, "in tutto tentato come noi, in tutto simile a noi — escluso il peccato" (cf. Ebr 4,15).
Dalle sue indicibili Sofferenze "imparò", ossia fece la perfetta esperienza di quello che significa l’obbedienza devota totale al Padre, nell’esercizio perfetto del Sacerdozio, la cui pienezza terrena si consuma nell’ "obbedienza" alla Croce (cf. 1’ "inno dei Filippesi", Fil 2,6-11).
Il tremare davanti alla morte non deve essere rimosso, sarebbe menzogna, e poi sarebbe impossibile vista anche la presenza nella preghiera liturgica2. Là, dove non tremò Adamo davanti all’operazione che gli avrebbe procurato amara morte, tremò l’Adamo Nuovo davanti all’operazione eguale e contraria, che a Lui ed a noi avrebbe procurata la Delizia della Vita divina. Così si esprime un grande Padre orientale, "l’arpa dello Spirito Santo", S. Efrem il Siro:
“Se Adamo morì a causa del peccato (Gen 3,22-23), si doveva che Colui che si caricò del peccato (Is 52,13 - 53,12; Gv 1,29.36) assumesse anche la morte (Fil 2,6-11; Rom 8,3; Gal 3,13; 2 Cor 5,21). Sta scritto: ‘Nel giorno che mangerai, tu morirai’ (Gen 2,17). Ma il giorno che mangiò non morì. Solo, come caparra della sua morte, fu spogliato della sua Gloria (Gen 3,7), espulso dal Paradiso (Gen 3,23-24). E ogni giorno egli pensava alla morte — così anche noi, mangiando la Vita che sta in Cristo (Rom 8,9): il Corpo di lui (1 Cor 11,26) invece dei frutti dell’Albero (Gen 2,16-17), l’Altare di lui invece del giardino dell’Eden (1 Cor 9,13, 10,20-22; Ebr 13,10), e fummo lavati dalla maledizione (Gal 3,13; 1 Cor 6,9-11) dal suo Sangue giusto (Ap 1,6; 7,14; Ebr 9,14; 1 Gv 1,7; cf. Mt 23,35). E noi nella speranza della resurrezione (Rom 8,23-25; At 23,6), attendiamo la Vita futura (1 Tim 4,8), e già adesso nella Vita nuova (Rom 6,4) noi procediamo (Col 3,3-4), poiché quelle Realtà sono Caparra per noi (2 Cor 1,2; 5,5; Efes 1,14) (Ephrem de Nisibe, Commentaire de L’Evangile concordant ou Diatessaron 21,25, in SChr 121, Paris 1966, p. 388 – Trad. Prof. T. Federici).
vv. 38-44 L’osservazione di Marta ottiene lo scopo di sottolineare la grandiosità del miracolo.
«Togliete»: l’imperativo aoristo positivo ordina di dare inizio a un’azione nuova.
«Gesù alzò gli occhi e disse»: è l’azione sacerdotale, cf anche Gv 17,1; Mc 7,34; Mt 14,19, e la preghiera intensa.
È un rendimento di grazie, forse strano perché elevato prima che avvenga il fatto; Gesù lo vede come già avvenuto!
È 1’«eucarestia» perché il Padre ascolta sempre il Figlio.
Il Figlio lo sa bene (Mt 26,53).
«gridò a gran voce » Gesù aveva preannunciato che i dormienti nel sepolcro avrebbero ascoltato la voce del Padre, che è il Figlio (cf Gv 5,28-29), adesso uno solo, poi tutti i dormienti.
La voce è così potente che «il morto» esce con ancora avvolte le mani e i piedi da bende e con il sudario sul volto.
«scioglietelo»: l’imperativo aoristo positivo ordina di dare inizio a un’azione nuova.
Il «segno» è compiuto, nulla è lasciato di ciò che naturalmente ci aspetteremmo: un saluto o una domanda al resuscitato. Tutto rimane immortalato nella solennità, come di solito accade negli evangeli, il racconto di questo prodigio arriva alla sua pratica conclusione senza cercare minimamente di soddisfare inutili curiosità su dettagli accidentali.
Resta solo il Segno che dà senso agli altri 7 «segni», la Resurrezione di Cristo.
v. 45 - «Molti dei Giudei…»: Il testo liturgico si ferma all'immagine di molti che si lasciano interpellare da questo gesto e cominciano ad aprirsi alla fede in Gesù, il testo biblico prosegue indicando che altri, proprio per questo, decidono la morte di Gesù. Qual è la nostra posizione?
Antifona alla Comunione Gv 11,26
«Chiunque vive e crede in me,
non morirà in eterno », dice il Signore.
Dopo la Comunione
Dio onnipotente,
concedi a noi tuoi fedeli
di essere sempre inseriti
come membra vive nel Cristo,
poiché abbiamo comunicato
al suo corpo e al suo sangue.
Per Cristo nostro Signore.
Nell’antifona alla comunione (Gv 11,26) e nella preghiera del dopo comunione si ricorda che noi, i fedeli, abbiamo ricevuto la vita e la fede nel Signore. Noi siamo strappati via dalla morte eterna. Non muoiamo più. Abbiamo ricevuto «oggi qui» la Parola della Vita e della Resurrezione. Abbiamo “celebrato” «oggi qui» alla Mensa della Resurrezione e della Vita. Facciamo parte come membra vive della Chiesa Madre, la Comunità della Vita e della Resurrezione. Così lo Spirito Santo ci pone in comunione con Cristo Risorto, «la Resurrezione e la Vita». Comunione fedele, efficace. Inizio della divinizzazione eterna, il vero statuto costitutivo dei discepoli del Signore.
I Colletta
Vieni in nostro aiuto,
Padre misericordioso,
perché possiamo vivere e agire sempre
in quella carità,
che spinse il tuo Figlio
a dare la vita per noi.
Egli è Dio...
lunedì 16 marzo 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano
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