Don PAOLO ZAMENGO SDB"La tentazione della croce"

   Gv 3, 14-21 15 marzo 2015 | 4a Domenica - Tempo di Quaresima B | Omelia
Dopo la domenica delle tentazioni del deserto, dopo quella delle tentazioni del monte Tabor, dopo aver meditato sulle tentazioni del tempio, oggi siamo chiamati a fermarci davanti alla croce e a interrogarci sui sentimenti che la croce
suscita nel nostro cuore. Non neghiamolo, anche la croce è una tentazione: infatti, vogliamo fuggire la croce, rifiutarla e, magari, maledirla.

Un uomo continuava a lottare con Dio e diceva: "Perché la croce?" Dio gli rispose con un sogno. Gli mostrò la vita degli uomini sulla terra, una interminabile processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente. Anche quell’uomo era in fila e avanzava lentamente. Notò che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva fatica. "Sarebbe sufficiente accorciarla un po' ", si disse, e con un taglio deciso accorciò la sua croce.  Poi ripartì e si accorse di camminare più speditamente e senza tanta fatica. Così giunse a quella che sembrava la mèta. Era un burrone: una larga e profonda spaccatura nel terreno oltre la quale però appariva la terra della felicità eterna.  Una visione incantevole dall'altra parte. Ma non c'erano ponti per attraversare.  Eppure gli altri uomini passavano con facilità perché ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l'appoggiava sui bordi del burrone e ci passava sopra.  Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passarono tutti, ma non lui, perché aveva accorciato la sua croce e, ora, era troppo corta per arrivare dall'altra parte.

Gesù non ha accorciato la sua croce né dalla croce è sceso. Eppure sembrava che proprio questo gli fosse chiesto come segno e prova della sua divinità.

Nicodemo non dice una parola: ascolta. Lui, che era andato di notte, forse per paura, scopre che la notte è più chiara del giorno quando parla Gesù. Allora da quella parola si lascia riscaldare. È bello sapersi amati.  Gesù gli parla della croce perché è il modo divino di amare.

E mentre Gesù parla, Nicodemo risente come un’eco le volte che Gesù, per amore, ha ridato la vita: “Alzati e cammina; va’ e fa’ anche tu lo stesso; prendi il tuo lettuccio e cammina; tua figlia non è morta ma dorme; lo dico a te, alzati; oggi vengo a casa tua; seguimi; io non ti condanno; lo voglio: sii guarito; bisogna far festa; la tua fede ti ha salvato; oggi sarai con me in paradiso”.

Che cosa vorremmo sentirci dire, oggi, da Gesù? Questo: “Dio Padre ti ha tanto amato  da dare per te il Figlio perché se credi in lui non andrai perduto, ma vivrai. Dio, non ha mandato il Figlio per condannarti ma perché tu sia salvato. Chi fa il male odia la luce ma chi fa la verità viene verso la luce, e le sue opere sono fatte in Dio”.

Non possiamo ignorare la tremenda responsabilità che ogni uomo si assume quando decide di tagliarsi fuori dall’amore che gli viene offerto. È possibile però. Anche se questa luce non umilia e non ferisce, anche se questa luce è colma di benevolenza e di compassione. L’amore è un’offerta che raggiunge la nostra libertà e noi possiamo dire anche di no. Ma quando aderiamo a Cristo e al suo amore noi accettiamo di vivere nella luce.
Vivere nella luce significa decidere di abbandonare le cose che avvelenano il quotidiano. Significa rifiutare ogni desiderio di dominio e di essere il più grande. Significa mostrare un volto povero quando il potere è la sola cosa che conta agli occhi degli uomini. Significa mettere il Regno di Dio al centro della nostra vita.
           Vivere nella luce significa accettare di andare controcorrente nel nome del Vangelo. Significa ancora e sempre levare lo sguardo al cielo quando non è più di moda dare un posto a Dio.


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