JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Gv 3,14-21
15 marzo 2015 | 4a Domenica - T. Quaresima B | Lectio Divina
Il vangelo di oggi è parte di quel dialogo che Gesù ebbe con Nicodemo, un personaggio religioso di una certa rilevanza che aveva mostrato curiosità di conoscere personalmente Gesù (Gv 7,50; 19,39) e che l'ha incontrato una notte. Con un linguaggio tipicamente giovanneo, Gesù spiega a questo ebreo dotto e ben
intenzionato (Gv 12,42), il motivo e la portata della sua prossima morte: nessuno meglio di chi l'ha sofferta può spiegarla. In bocca a Gesù l'evangelista espone la fede comunitaria professata, di fronte, ai giudei: il Figlio è colui che viene da Dio verso noi, l'efficacia del suo amore è mostrata nella sua morte; l'amore di Dio è incondizionato, senza limiti. Contare su quest'amore di Dio al mondo non esime l'uomo dalla sua responsabilità, ma la incrementa e la fa memoria. Il mondo non può smettere di essere amato da Dio, ma può rifiutarsi di ricevere il suo amore o di sentirsi amato nella forma con la quale Dio lo amò. Non possiamo salvarci senza l'amore di Dio, non possiamo vivere non sentendoci amati. Lì si radica la dannazione. Nonostante l'amore di Dio e l'invio del Figlio per la salvezza, la perdizione è, più che possibilità aperta, realtà presente.
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo:
14"Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'Uomo, 15 affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, affinché non perisca nessuno di quanti credono in lui, ma abbiano la vita eterna. 17Perché Dio non mandò il suo Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo si salvi per mezzo di lui.
18Chi crede in lui, non sarà condannato; ma chi non crede, è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
19E il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce, perché le loro opere erano cattive.
20Perché chiunque opera il male detesta la luce, e non viene alla luce, perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece, chi fa la verità si avvicina alla luce, affinché si veda che le sue opere sono fatte secondo Dio.
1. LEGGERE:
Capire quello che dice il testo e come lo dice
L'incontro di Gesù con Nicodemo (Gv 3,1-21), maestro in Israele, permette al narratore di presentare il primo discorso di Gesù nel vangelo, in realtà un monologo a partire da Gv 3,11, dove appena si può distinguere la dichiarazione di Gesù dal commento dell'evangelista. Benché sia stato colui che ha cercato Gesù e ha aperto la conversazione (Gv 3,1.4.9), Nicodemo è, più che un interlocutore, è il suo pretesto; in realtà, presto sarà dimenticato (a partire da Gv 3,9): vi è l'impressione di assistere ad un dialogo tra comunità (cristiana e giudea) che ad un colloquio tra due individui.
Creata la scena (Gv 3,1-2a), il dialogo con Nicodemo è incentrato intorno alla nuova nascita (Gv 3,2b-10), in concreto, intorno alle condizioni per vedere il regno (3,2b-3), entrare in lui (3,4-8). Il doppio frainteso di Nicodemo (Gv 3,4.9: come è possibile..?) ha preparato la manifestazione di Gesù come rivelatore del Padre (Gv 3,11-21). Introdotto il discorso con la solenne affermazione di Gesù (Gv 3,11a) che parla di sé in terza persona a partire da Gv 3,13, si mette in rilievo la necessità di accogliere la testimonianza di Gesù e di credergli per avere la vita eterna (3,12-15), una vita che è iniziativa di Dio e che ha dato al mondo (3,16-21).
Credere (Gv 3,12.15.16.18) è il termine che percorre la prima parte del monologo di Gesù; quello di luce (Gv 3,19.20.21) domina la seconda. Nella prima (Gv 3,12-18) appare la contrapposizione alto/basso per esprimere la natura divina della rivelazione: essere elevato (Gv 3,14) facilita la vita eterna (Gv 3,15.16). La vita eterna porta con sé il protagonismo di Dio che ama, consegna ed invia (Gv 3,16-17), tre attuazioni che hanno la donazione del figlio come dimostrazione e garanzia; il figlio consegnato/inviato (Gv 3,16.17.18) è l'unigenito di Dio (Gv 3,16.18) ed il mondo il suo destino (Gv 3,16.17.19). Nella seconda parte (3,19-21) con un nuovo vocabolario ed una dichiarazione programmatica (Gv 3,19a: questo è il giudizio) appare una tematica più decisiva: binomio come giudizio e fede (Gv 3,18), luce e tenebre (Gv 3,19), operare male ed operare la verità (Gv 3,19-20), espongono la reazione disuguale degli uomini all'opera di Dio. Credere è accettare l'amore di Dio fattosi realtà nella consegna del suo Figlio; non accettarlo è condannarsi: si condanna, dunque, chi non si sa amato. O meglio, non riconoscere l'amore di Dio è già sufficiente per la condanna.
2. MEDITARE:
APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Nel dialogo con Nicodemo, un ebreo ben intenzionato, Gesù spiega il senso della sua morte e la natura della vita che darà. La necessità della sua fine rimane allusa sotto l'immagine del serpente la cui esaltazione salvò dalla morte il popolo nel deserto. Ma la morte non è l'obiettivo di Gesù, bensì il mezzo con il quale Dio manifesta, oltre ogni dubbio, l'amore che ha per gli uomini. Orbene, a poco servirebbe tanto amore di Dio, e simile consegna da parte di Gesù, se non trova accoglienza cordiale, fede vera: l'efficacia della salvezza dipende dall'accettazione di chi deve essere salvato. Ma non sta al suo arbitrio: è tempo di decisioni trascendenti. Non basta a Nicodemo essersi avvicinato a Gesù, in piena notte, dovrà accettarlo totalmente, alla luce del giorno: chi non si vede alla luce di Cristo, non può alimentare altro che tenebre; si gioca la salvezza chi non l'accetta quando gli viene data.
E' interessante notare che Gesù svelò le sue ragioni a chi mostrò interesse nel conoscerli ed a chi lo cercò, benché fosse di nascosto e lo trovasse nella notte, a chi andò a domandarglieli, perché desiderava conoscerli. Gesù non svelò il suo segreto a chi non gli interessava, a gente che non gli domanda niente a chi poco si disturba per sapere più di lui. Dovremmo trovare noi oggi le ragioni per andare verso Gesù, benché sia in gran segreto, come fece Nicodemo, per conoscerlo, sentirlo e vederlo più da vicino, per chiedergli delle sue ragioni, dei suoi sentimenti, dei suoi progetti, della sua vita e la sua morte. Così gli daremmo l'occasione di darci fiducia e di diventare nostro amico, che ci facesse partecipe dei suoi piani e ci consegnasse la sua vita.
Se tanti tra di noi ci sentiamo confusi rispetto a Gesù, se non riusciamo a capirlo come prima, se rimaniamo attoniti per il suo comportamento e la sua dottrina a volte, è precisamente perché per molto tempo ci sembrava di conoscerlo tanto bene da non dovere domandargli niente. Gesù ha smesso di essere interessante per molti oggi e, perciò, molti stanno smettendo in realtà di essere credenti: prima di perdere la fede in Cristo, hanno perso l'interesse per lui. Qualcosa di questo tipo può succedere anche a noi. Disinteressarsi di Gesù è il primo passo per perderlo di vista.
Che non ci rendiamo conto, non ci allontana il pericolo. Per non perderlo per sempre, non perdiamo l'interesse per la sua persona: ritorniamo a Gesù, direttamente, per domandargli quanto ancora ignoriamo o non riusciamo a capire. È necessario che, per non perdere la fede né perderlo, recuperiamo l'interesse per la sua persona e per le sue cose; dobbiamo sentire di nuovo la necessità, come Nicodemo, di conoscerlo meglio, di sapere le sue ragioni e capire le sue idee; scopriremmo un Gesù tutto per noi, un uomo che sta pensando di dare la vita per noi, un Dio che ci ama fino alla rinuncia del suo proprio Figlio: per non interessarci di Gesù, non scopriamo un Dio tanto meraviglioso! Non potremmo pagare maggiore prezzo per il nostro disinteresse; e così, camminiamo per le strade della vita delusi di Dio, perché non lo conosciamo abbastanza. Solo per non domandare!
Basterebbe, invece, che sentissimo un po' di affetto per il nostro Dio che gli concedessimo più tempo e lasciassimo altre cose e persone e ci preoccupassimo più di Lui. Sarebbe sufficiente pensare meno a noi, smettere di ascoltare solo i nostri desideri e necessità e concedergli il nostro tempo e la nostra parola: ciò basterebbe per diventare amico di Dio e rimanere sorpresi per l'amore - tanto! - che ha per noi. Come a Nicodemo quella notte, Gesù ci direbbe che la sua morte è necessaria affinché noi abbiamo la vita assicurata: 'il Figlio deve essere elevato, nella croce, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.' Sicuro che se gli permettiamo che ci parli, cuore a cuore, ci lasceremmo convincere.
Per farsi capire, Gesù allude a quello che succedette ad Israele nel deserto, quando molti uomini stettero sul punto di morte per il morso dei serpenti; li salvò dalla morte temuta il vedere un serpente elevato in un palo. Di uguale maniera, la sua morte è il mezzo che ci offre per liberarci dalla nostra morte. Ma bisogna essere disposti ad elevare il nostro sguardo verso di lui ed a mantenere fissi in lui i nostri occhi ed il nostro cuore. Gesù è stato elevato sulla croce perché ci sforziamo a mantenere elevati gli occhi ed il cuore della nostra realtà moribonda, superiori alle nostre angosce ed ai nostri problemi, senza che ci lasciamo soffocare dal nostro male e da quello che regna intorno a noi. Chissà se non sarà perché guardiamo più al nostro mondo che a Gesù in croce, perché ci fissiamo più nei nostri mali che nel male che soffrì per noi, che non riusciamo a vedere il mondo ed i nostri mali con occhi sereni e con cuore sereno! Non sarà che, per non fissarci su Cristo e questi Crocifisso, le nostre croci ci risultano tanto pesanti ed inaccettabili, e indietreggiamo per non caricarceli? Dimenticandoci di guardare Cristo Crocifisso, perdiamo di vista la ragione per rimanere sicuri di vincere un giorno il male che facciamo e quello che soffriamo.
Dimenticarsi di Cristo crocifisso ci ostacola nel sentirci amati da Dio: 'Dio ha tanto il mondo che consegnò il suo Figlio unigenito, affinché non perisca nessuno di quanti credono in lui.. Quello che non crede, è già condannato' ce lo ha rivelato Gesù, il Figlio di Dio, perché noi non lo avremmo potuto immaginare! Egli deve saperlo, perché pagò con la sua vita: Dio ci ha preferiti a suo Figlio. Questa confessione merita fiducia, perché l'ha fatta il Figlio meno apprezzato, il non preferito, colui che è morto per noi. In Lui si mostrò sovrano l'amore che Dio ha per noi. Un Dio così, non merita maggiore attenzione, qualcosa di più del nostro tempo, molto più delle nostre stesse vite? Potremo continuare servendolo solo a voce, con la stessa distanza di sempre, con lo stesso disinteresse, come se si trattasse di un estraneo, come se non avesse fatto ancora niente per noi e niente dovessimo fare per ringraziarlo?
Certamente, è la nostra abituale indifferenza, i nostri silenzi ripetuti, il nostro disinteresse fatto norma di vita, che fa più meraviglioso il nostro Dio e più sorprendente l'amore che ha per noi. Se almeno la consegna del Figlio suo ci facesse meno egoisti, più sensibili per la sua morte e più riconoscenti per la nostra salvezza!.., Ma, sfortunatamente, alla maggioranza di noi il suo amore lascia indifferenti: in realtà, costatare come ci vanno le cose, o come ci sembrano che vanno, non possiamo credere che Dio ci abbia tanto amati! Precisamente perché è un amore tanto grande da non sentirci degni di lui, un amore tanto misterioso per non riuscire a comprenderlo, un amore tanto divino da non potere sperimentarlo umanamente, i credenti in Gesù non crediamo nell'amore che Dio ci ha mostrato: ci manca la fede che è accettazione dell'amore che Dio ha per noi. Questo, e non altri mali, è la causa della nostra dannazione. Lo disse Gesù a chi glielo domandò: 'Chi non crede, è già condannato.' Liberiamoci di quella condanna eterna, credendo di cuore all'amore di Dio: basterebbe guardare con più frequenza Cristo elevato sulla croce per noi.
JUAN J. BARTOLOME sdb
Il vangelo di oggi è parte di quel dialogo che Gesù ebbe con Nicodemo, un personaggio religioso di una certa rilevanza che aveva mostrato curiosità di conoscere personalmente Gesù (Gv 7,50; 19,39) e che l'ha incontrato una notte. Con un linguaggio tipicamente giovanneo, Gesù spiega a questo ebreo dotto e ben
intenzionato (Gv 12,42), il motivo e la portata della sua prossima morte: nessuno meglio di chi l'ha sofferta può spiegarla. In bocca a Gesù l'evangelista espone la fede comunitaria professata, di fronte, ai giudei: il Figlio è colui che viene da Dio verso noi, l'efficacia del suo amore è mostrata nella sua morte; l'amore di Dio è incondizionato, senza limiti. Contare su quest'amore di Dio al mondo non esime l'uomo dalla sua responsabilità, ma la incrementa e la fa memoria. Il mondo non può smettere di essere amato da Dio, ma può rifiutarsi di ricevere il suo amore o di sentirsi amato nella forma con la quale Dio lo amò. Non possiamo salvarci senza l'amore di Dio, non possiamo vivere non sentendoci amati. Lì si radica la dannazione. Nonostante l'amore di Dio e l'invio del Figlio per la salvezza, la perdizione è, più che possibilità aperta, realtà presente.
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo:
14"Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'Uomo, 15 affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, affinché non perisca nessuno di quanti credono in lui, ma abbiano la vita eterna. 17Perché Dio non mandò il suo Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo si salvi per mezzo di lui.
18Chi crede in lui, non sarà condannato; ma chi non crede, è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
19E il giudizio è questo: la luce venne nel mondo, ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce, perché le loro opere erano cattive.
20Perché chiunque opera il male detesta la luce, e non viene alla luce, perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece, chi fa la verità si avvicina alla luce, affinché si veda che le sue opere sono fatte secondo Dio.
1. LEGGERE:
Capire quello che dice il testo e come lo dice
L'incontro di Gesù con Nicodemo (Gv 3,1-21), maestro in Israele, permette al narratore di presentare il primo discorso di Gesù nel vangelo, in realtà un monologo a partire da Gv 3,11, dove appena si può distinguere la dichiarazione di Gesù dal commento dell'evangelista. Benché sia stato colui che ha cercato Gesù e ha aperto la conversazione (Gv 3,1.4.9), Nicodemo è, più che un interlocutore, è il suo pretesto; in realtà, presto sarà dimenticato (a partire da Gv 3,9): vi è l'impressione di assistere ad un dialogo tra comunità (cristiana e giudea) che ad un colloquio tra due individui.
Creata la scena (Gv 3,1-2a), il dialogo con Nicodemo è incentrato intorno alla nuova nascita (Gv 3,2b-10), in concreto, intorno alle condizioni per vedere il regno (3,2b-3), entrare in lui (3,4-8). Il doppio frainteso di Nicodemo (Gv 3,4.9: come è possibile..?) ha preparato la manifestazione di Gesù come rivelatore del Padre (Gv 3,11-21). Introdotto il discorso con la solenne affermazione di Gesù (Gv 3,11a) che parla di sé in terza persona a partire da Gv 3,13, si mette in rilievo la necessità di accogliere la testimonianza di Gesù e di credergli per avere la vita eterna (3,12-15), una vita che è iniziativa di Dio e che ha dato al mondo (3,16-21).
Credere (Gv 3,12.15.16.18) è il termine che percorre la prima parte del monologo di Gesù; quello di luce (Gv 3,19.20.21) domina la seconda. Nella prima (Gv 3,12-18) appare la contrapposizione alto/basso per esprimere la natura divina della rivelazione: essere elevato (Gv 3,14) facilita la vita eterna (Gv 3,15.16). La vita eterna porta con sé il protagonismo di Dio che ama, consegna ed invia (Gv 3,16-17), tre attuazioni che hanno la donazione del figlio come dimostrazione e garanzia; il figlio consegnato/inviato (Gv 3,16.17.18) è l'unigenito di Dio (Gv 3,16.18) ed il mondo il suo destino (Gv 3,16.17.19). Nella seconda parte (3,19-21) con un nuovo vocabolario ed una dichiarazione programmatica (Gv 3,19a: questo è il giudizio) appare una tematica più decisiva: binomio come giudizio e fede (Gv 3,18), luce e tenebre (Gv 3,19), operare male ed operare la verità (Gv 3,19-20), espongono la reazione disuguale degli uomini all'opera di Dio. Credere è accettare l'amore di Dio fattosi realtà nella consegna del suo Figlio; non accettarlo è condannarsi: si condanna, dunque, chi non si sa amato. O meglio, non riconoscere l'amore di Dio è già sufficiente per la condanna.
2. MEDITARE:
APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Nel dialogo con Nicodemo, un ebreo ben intenzionato, Gesù spiega il senso della sua morte e la natura della vita che darà. La necessità della sua fine rimane allusa sotto l'immagine del serpente la cui esaltazione salvò dalla morte il popolo nel deserto. Ma la morte non è l'obiettivo di Gesù, bensì il mezzo con il quale Dio manifesta, oltre ogni dubbio, l'amore che ha per gli uomini. Orbene, a poco servirebbe tanto amore di Dio, e simile consegna da parte di Gesù, se non trova accoglienza cordiale, fede vera: l'efficacia della salvezza dipende dall'accettazione di chi deve essere salvato. Ma non sta al suo arbitrio: è tempo di decisioni trascendenti. Non basta a Nicodemo essersi avvicinato a Gesù, in piena notte, dovrà accettarlo totalmente, alla luce del giorno: chi non si vede alla luce di Cristo, non può alimentare altro che tenebre; si gioca la salvezza chi non l'accetta quando gli viene data.
E' interessante notare che Gesù svelò le sue ragioni a chi mostrò interesse nel conoscerli ed a chi lo cercò, benché fosse di nascosto e lo trovasse nella notte, a chi andò a domandarglieli, perché desiderava conoscerli. Gesù non svelò il suo segreto a chi non gli interessava, a gente che non gli domanda niente a chi poco si disturba per sapere più di lui. Dovremmo trovare noi oggi le ragioni per andare verso Gesù, benché sia in gran segreto, come fece Nicodemo, per conoscerlo, sentirlo e vederlo più da vicino, per chiedergli delle sue ragioni, dei suoi sentimenti, dei suoi progetti, della sua vita e la sua morte. Così gli daremmo l'occasione di darci fiducia e di diventare nostro amico, che ci facesse partecipe dei suoi piani e ci consegnasse la sua vita.
Se tanti tra di noi ci sentiamo confusi rispetto a Gesù, se non riusciamo a capirlo come prima, se rimaniamo attoniti per il suo comportamento e la sua dottrina a volte, è precisamente perché per molto tempo ci sembrava di conoscerlo tanto bene da non dovere domandargli niente. Gesù ha smesso di essere interessante per molti oggi e, perciò, molti stanno smettendo in realtà di essere credenti: prima di perdere la fede in Cristo, hanno perso l'interesse per lui. Qualcosa di questo tipo può succedere anche a noi. Disinteressarsi di Gesù è il primo passo per perderlo di vista.
Che non ci rendiamo conto, non ci allontana il pericolo. Per non perderlo per sempre, non perdiamo l'interesse per la sua persona: ritorniamo a Gesù, direttamente, per domandargli quanto ancora ignoriamo o non riusciamo a capire. È necessario che, per non perdere la fede né perderlo, recuperiamo l'interesse per la sua persona e per le sue cose; dobbiamo sentire di nuovo la necessità, come Nicodemo, di conoscerlo meglio, di sapere le sue ragioni e capire le sue idee; scopriremmo un Gesù tutto per noi, un uomo che sta pensando di dare la vita per noi, un Dio che ci ama fino alla rinuncia del suo proprio Figlio: per non interessarci di Gesù, non scopriamo un Dio tanto meraviglioso! Non potremmo pagare maggiore prezzo per il nostro disinteresse; e così, camminiamo per le strade della vita delusi di Dio, perché non lo conosciamo abbastanza. Solo per non domandare!
Basterebbe, invece, che sentissimo un po' di affetto per il nostro Dio che gli concedessimo più tempo e lasciassimo altre cose e persone e ci preoccupassimo più di Lui. Sarebbe sufficiente pensare meno a noi, smettere di ascoltare solo i nostri desideri e necessità e concedergli il nostro tempo e la nostra parola: ciò basterebbe per diventare amico di Dio e rimanere sorpresi per l'amore - tanto! - che ha per noi. Come a Nicodemo quella notte, Gesù ci direbbe che la sua morte è necessaria affinché noi abbiamo la vita assicurata: 'il Figlio deve essere elevato, nella croce, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.' Sicuro che se gli permettiamo che ci parli, cuore a cuore, ci lasceremmo convincere.
Per farsi capire, Gesù allude a quello che succedette ad Israele nel deserto, quando molti uomini stettero sul punto di morte per il morso dei serpenti; li salvò dalla morte temuta il vedere un serpente elevato in un palo. Di uguale maniera, la sua morte è il mezzo che ci offre per liberarci dalla nostra morte. Ma bisogna essere disposti ad elevare il nostro sguardo verso di lui ed a mantenere fissi in lui i nostri occhi ed il nostro cuore. Gesù è stato elevato sulla croce perché ci sforziamo a mantenere elevati gli occhi ed il cuore della nostra realtà moribonda, superiori alle nostre angosce ed ai nostri problemi, senza che ci lasciamo soffocare dal nostro male e da quello che regna intorno a noi. Chissà se non sarà perché guardiamo più al nostro mondo che a Gesù in croce, perché ci fissiamo più nei nostri mali che nel male che soffrì per noi, che non riusciamo a vedere il mondo ed i nostri mali con occhi sereni e con cuore sereno! Non sarà che, per non fissarci su Cristo e questi Crocifisso, le nostre croci ci risultano tanto pesanti ed inaccettabili, e indietreggiamo per non caricarceli? Dimenticandoci di guardare Cristo Crocifisso, perdiamo di vista la ragione per rimanere sicuri di vincere un giorno il male che facciamo e quello che soffriamo.
Dimenticarsi di Cristo crocifisso ci ostacola nel sentirci amati da Dio: 'Dio ha tanto il mondo che consegnò il suo Figlio unigenito, affinché non perisca nessuno di quanti credono in lui.. Quello che non crede, è già condannato' ce lo ha rivelato Gesù, il Figlio di Dio, perché noi non lo avremmo potuto immaginare! Egli deve saperlo, perché pagò con la sua vita: Dio ci ha preferiti a suo Figlio. Questa confessione merita fiducia, perché l'ha fatta il Figlio meno apprezzato, il non preferito, colui che è morto per noi. In Lui si mostrò sovrano l'amore che Dio ha per noi. Un Dio così, non merita maggiore attenzione, qualcosa di più del nostro tempo, molto più delle nostre stesse vite? Potremo continuare servendolo solo a voce, con la stessa distanza di sempre, con lo stesso disinteresse, come se si trattasse di un estraneo, come se non avesse fatto ancora niente per noi e niente dovessimo fare per ringraziarlo?
Certamente, è la nostra abituale indifferenza, i nostri silenzi ripetuti, il nostro disinteresse fatto norma di vita, che fa più meraviglioso il nostro Dio e più sorprendente l'amore che ha per noi. Se almeno la consegna del Figlio suo ci facesse meno egoisti, più sensibili per la sua morte e più riconoscenti per la nostra salvezza!.., Ma, sfortunatamente, alla maggioranza di noi il suo amore lascia indifferenti: in realtà, costatare come ci vanno le cose, o come ci sembrano che vanno, non possiamo credere che Dio ci abbia tanto amati! Precisamente perché è un amore tanto grande da non sentirci degni di lui, un amore tanto misterioso per non riuscire a comprenderlo, un amore tanto divino da non potere sperimentarlo umanamente, i credenti in Gesù non crediamo nell'amore che Dio ci ha mostrato: ci manca la fede che è accettazione dell'amore che Dio ha per noi. Questo, e non altri mali, è la causa della nostra dannazione. Lo disse Gesù a chi glielo domandò: 'Chi non crede, è già condannato.' Liberiamoci di quella condanna eterna, credendo di cuore all'amore di Dio: basterebbe guardare con più frequenza Cristo elevato sulla croce per noi.
JUAN J. BARTOLOME sdb
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