p. Alberto Maggi OSM"DIO HA MANDATO IL FIGLIO PERCHE’ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI"

IV DOMENICA DI QUARESIMA – 15 marzo 2015
Gv 3,14-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui
non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo

per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non
è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome
dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre
che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e
non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene
verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Nel dialogo con il fariseo Nicodemo, capo dei Giudei, Gesù si rifà ad un episodio conosciuto della storia
di Israele contenuto nel Libro dei Numeri.
Al capitolo 3, versetto 14 l’evangelista scrive: “«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto»”; i serpenti
erano stati inviati da Dio per castigare il popolo secondo lo schema classico di “castigosalvezza/perdono”.
In Gesù invece c’è soltanto salvezza.
“«Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo»”, Gesù si riferisce alla sua futura morte in croce e
parla del Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha la pienezza della condizione divina.
“«Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»” - credere nel Figlio dell’uomo significa aspirare alla
pienezza umana che risplende in questo figlio dell’uomo.
Per la prima volta appare in questo vangelo un tema molto caro all’evangelista, cioè quello della vita
eterna. La vita eterna non è, come insegnavano i farisei, un premio futuro per la buona condotta tenuta
nel presente, ma una qualità di vita già nel presente. E si chiama “eterna” non tanto per la durata senza
fine, ma per la qualità indistruttibile.
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E questa vita eterna non si avrà in futuro, ma si ha già. Chiunque da adesione a Gesù, quindi aspira alla
pienezza umana che risplende in Gesù.
“«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»”, il Dio di Gesù non è un Dio che
chiede, ma un Dio che offre, che arriva addirittura a offrire se stesso. “«Perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna»”.
La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, cioè un codice esterno
all’uomo, ma dando adesione al Figlio dell’uomo. E Gesù appare qui come il dono dell’amore di Dio per
l’umanità. Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicare. E Gesù è la massima espressione di
questa manifestazione e comunicazione di Dio. “«Dio infatti non ha mai mandato il Figlio nel mondo per
condannare»”, anche se il verbo qui non è condannare, ma “«giudicare il mondo»”.
Di nuovo qui Gesù sta parlando con un fariseo, demolisce le attese di un messia giudice del popolo.
Quindi il Figlio non è venuto per giudicare il mondo, “«ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»”.
Dio è amore e in lui non c’è né giudizio né condanna, ma c’è soltanto offerta di vita.
“«Chi crede in lui non è giudicato»”, chi crede in lui non va incontro a nessun giudizio, “«ma chi non
crede è già stato giudicato»”. E’ l’uomo che si giudica. E vediamo perché … “«Perché non ha creduto nel
nome dell’unigenito Figlio di Dio»”. E’ l’uomo che si giudica rifiutando l’amore che Dio gli offre; colui che
agisce contro la vita rimane nella morte.
E infatti Gesù continua, “«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo»”, la luce è immagine della
vita, “«ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie»”. Chi
opprime gli uomini non accetterà mai un messaggio che lo porterà poi a servire. Ma quello che è
importante è che qui Gesù si riferisce – e sta parlando a un fariseo, all’osservante della legge, della
dottrina – alle opere, non al credo o all’ortodossia.
Non è la dottrina che separa da Dio, ma la condotta. Per questo Dio non offre dottrine, ma pienezza di
vita. “«Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano
riprovate»”. Gesù si rifà a quella che è l’esperienza comune. Il delinquente, chi agisce male, non ama i
riflettori, non ama la luce, ma si rintana nelle tenebre. Ebbene di fronte a un’offerta di pienezza di luce,
chi fa il male si rintana ancora di più nelle tenebre e ne rimane intrappolato.
“«Chi invece fa la verità…»”. In contrapposizione a fare il male, Gesù parla di “fare la verità”. La verità
non va creduta, diventando una dottrina, ma va fatta. Ecco perché Gesù in questo vangelo non dirà che
lui ha la verità, ma che lui è la verità. Chi ha la verità, in base a questa verità, a questa dottrina, si sente
in grado di giudicare, condannare e dividersi dagli altri, a differenza di chi è nella verità. Cosa significa
invece “essere nella verità?”
Se è in contrapposizione con il “fare il male”, essere nella verità significa “fare il bene”, inserirsi nel
dinamismo creatore di Dio che ama la sua creatura e vuole che il bene della sua creatura, il bene
dell’uomo, sia il valore più importante nell’esistenza dei suoi figli. Quindi “«chi fa la verità»”, significa
colui che ha messo il bene dell’uomo come valore principale della sua esistenza, “«viene verso la luce»”,
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più si ama e più la persona diventa luminosa perché risplende la stessa luce di Dio. “«Perché appaia
chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio»”.
Le sue opere sono fatte in Dio perché Dio è colui che fa il bene dell’uomo. Quindi invita a fare la verità, a
inserirsi nel suo stesso dinamismo creatore che mette il bene dell’uomo come valore assoluto. Chi ha la
verità si divide dagli altri; chi è nella verità si unisce e comunica vita a tutti quanti.

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