p. Fabrizio Cristarella Orestano"DAVVERO CI FIDIAMO DI DIO?"
Domenica delle Palme (B) – Tra l’Osanna e il Crucifige!
26 marzo 2015 | Anno 2014/15, Mc cap. 14, Omelie Anno B, Vangelo di Marco
Monastero di Ruviano
Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mc 14, 1-15, 47
Entriamo nella Grande Settimana, e vi entriamo accompagnando il Signore nel suo ingresso a
Gerusalemme. E’ un ingresso solenne, enfatizzato dall’agitare palme e rami d’olivo in segno di onore: la palma segno di vittoria, l’olivo segno di pace e di letizia.
«L’olio fa brillare il volto dell’uomo», dice infatti il salmista (cfr Sal 104, 15); e con questi rami tra le mani accogliamo il Signore che viene, mite e mansueto, cavalcando un asino che era la cavalcatura dei re in tempo di pace! Accogliamo, dunque, un re di pace, e Gli diciamo che ci fidiamo della sua vittoria, che la sua venuta ci riempie di gioia.
Alle porte della Settimana Santa diciamo così al Signore: che desideriamo che entri a celebrare la sua Pasqua nelle nostre vite, nelle nostre storie, nelle nostre comunità; gli diciamo che ci facciamo terreno per la sua venuta, per la sua croce e per la sua vittoria.
Gli gridiamo osanna, un’espressione di gioia e di giubilo che, alla lettera, significa “aiuta!”: ci fidiamo, cioè, di Colui che è in alto (questo il senso di “osanna negli altissimi”!), e che solo può dare il suo aiuto.
Ma davvero ci fidiamo?
La verità è che ogni giorno c’è il rischio che l’”osanna” si trasformi in “crucifige!”, come ascoltiamo nel racconto della Passione: le nostre vite di credenti sono così spesso in tensione tra “osanna” e “crucifige!”…
Prima di entrare in questa Santa Settimana pasquale è bene gridare il nostro “osanna!” per accogliere il Veniente, per accogliere il Figlio amato che va incontro alla Passione. E’ bene dirgli “osanna!”, fidando del suo aiuto ad essere uomini nuovi; ma è sempre vero che dobbiamo sapere di essere povere creature a rischio di tradimento e di rinnegamento, creature che non si devono mai sentire al sicuro rispetto al Giuda o al Pietro che le abita.
La Passione secondo Marco, che oggi si proclama in tutta la Chiesa – tranne nel rito ambrosiano, dove si legge invece il passo giovanneo dell’Unzione di Betania – narra di una progressione di abbandoni… Gesù è sempre più solo: dalla fuga ignominiosa dei discepoli nell’orto di Getsemani, fino al lacerante grido di dolore dinanzi all’abbandono di Dio! E in questa solitudine, Marco ci presenta la croce, perché noi possiamo contemplarla, perché noi possiamo fissarla, perché noi possiamo lasciarci prendere in quella dinamica di dono, di offerta, e di abbassamento che Paolo ha cantato nel celebre inno della sua Lettera ai cristiani di Filippi: Gesù spogliò, svuotò se stesso in un abbassamento scandaloso ed inimmaginabile per qualsiasi via religiosa!
Ci abbiamo mai pensato che la Passione, al di là della sacralità che le abbiamo dato in questi venti secoli di cristianesimo, è il racconto più anti-religioso che si possa immaginare?
Il racconto di una sofferenza: Passione, infatti, significa “sofferenza” ma lo dimentichiamo; l’abbiamo fatta diventare la designazione di un genere letterario, liturgico, musicale, narrativo… E’ il racconto di una sofferenza senza limiti di un Uomo che si confessa, nella fede, essere il Figlio Eterno di Dio, a Lui consostanziale e venuto nella nostra carne. A questo Figlio crocefisso dobbiamo volgere lo sguardo!
La Domenica delle Palme, con la sua doppia “natura” riassumibile in “osanna” e “crucifige!”, ci invita ad entrare nella celebrazione della Pasqua proprio con lo sguardo fisso in Gesù, perché possiamo essere coscienti di quale sia la nostra meta: il dono di sè, incomprensibile per il mondo, e misurato sulla misura di Cristo. Quella Croce che oggi la Chiesa mostra, nel “santo” racconto della Passione, è incredibilmente il senso di tutto, il senso della storia!
Chi svuota la croce (cfr 1Cor 1, 17), chi la “scavalca”, non potrà mai capire l’uomo nuovo; non riuscirà mai a lasciare che Dio faccia in lui una cosa nuova, che Dio pianti al cuore della sua esistenza la Croce, che salva perché contiene tutto l’amore che il mondo non conosce ma che solo può salvare il mondo.
Camminiamo con coraggio in questi giorni santissimi! E’ tempo di grazia!
p. Fabrizio Cristarella Orestano
26 marzo 2015 | Anno 2014/15, Mc cap. 14, Omelie Anno B, Vangelo di Marco
Monastero di Ruviano
Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mc 14, 1-15, 47
Entriamo nella Grande Settimana, e vi entriamo accompagnando il Signore nel suo ingresso a
Gerusalemme. E’ un ingresso solenne, enfatizzato dall’agitare palme e rami d’olivo in segno di onore: la palma segno di vittoria, l’olivo segno di pace e di letizia.
«L’olio fa brillare il volto dell’uomo», dice infatti il salmista (cfr Sal 104, 15); e con questi rami tra le mani accogliamo il Signore che viene, mite e mansueto, cavalcando un asino che era la cavalcatura dei re in tempo di pace! Accogliamo, dunque, un re di pace, e Gli diciamo che ci fidiamo della sua vittoria, che la sua venuta ci riempie di gioia.
Alle porte della Settimana Santa diciamo così al Signore: che desideriamo che entri a celebrare la sua Pasqua nelle nostre vite, nelle nostre storie, nelle nostre comunità; gli diciamo che ci facciamo terreno per la sua venuta, per la sua croce e per la sua vittoria.
Gli gridiamo osanna, un’espressione di gioia e di giubilo che, alla lettera, significa “aiuta!”: ci fidiamo, cioè, di Colui che è in alto (questo il senso di “osanna negli altissimi”!), e che solo può dare il suo aiuto.
Ma davvero ci fidiamo?
La verità è che ogni giorno c’è il rischio che l’”osanna” si trasformi in “crucifige!”, come ascoltiamo nel racconto della Passione: le nostre vite di credenti sono così spesso in tensione tra “osanna” e “crucifige!”…
Prima di entrare in questa Santa Settimana pasquale è bene gridare il nostro “osanna!” per accogliere il Veniente, per accogliere il Figlio amato che va incontro alla Passione. E’ bene dirgli “osanna!”, fidando del suo aiuto ad essere uomini nuovi; ma è sempre vero che dobbiamo sapere di essere povere creature a rischio di tradimento e di rinnegamento, creature che non si devono mai sentire al sicuro rispetto al Giuda o al Pietro che le abita.
La Passione secondo Marco, che oggi si proclama in tutta la Chiesa – tranne nel rito ambrosiano, dove si legge invece il passo giovanneo dell’Unzione di Betania – narra di una progressione di abbandoni… Gesù è sempre più solo: dalla fuga ignominiosa dei discepoli nell’orto di Getsemani, fino al lacerante grido di dolore dinanzi all’abbandono di Dio! E in questa solitudine, Marco ci presenta la croce, perché noi possiamo contemplarla, perché noi possiamo fissarla, perché noi possiamo lasciarci prendere in quella dinamica di dono, di offerta, e di abbassamento che Paolo ha cantato nel celebre inno della sua Lettera ai cristiani di Filippi: Gesù spogliò, svuotò se stesso in un abbassamento scandaloso ed inimmaginabile per qualsiasi via religiosa!
Ci abbiamo mai pensato che la Passione, al di là della sacralità che le abbiamo dato in questi venti secoli di cristianesimo, è il racconto più anti-religioso che si possa immaginare?
Il racconto di una sofferenza: Passione, infatti, significa “sofferenza” ma lo dimentichiamo; l’abbiamo fatta diventare la designazione di un genere letterario, liturgico, musicale, narrativo… E’ il racconto di una sofferenza senza limiti di un Uomo che si confessa, nella fede, essere il Figlio Eterno di Dio, a Lui consostanziale e venuto nella nostra carne. A questo Figlio crocefisso dobbiamo volgere lo sguardo!
La Domenica delle Palme, con la sua doppia “natura” riassumibile in “osanna” e “crucifige!”, ci invita ad entrare nella celebrazione della Pasqua proprio con lo sguardo fisso in Gesù, perché possiamo essere coscienti di quale sia la nostra meta: il dono di sè, incomprensibile per il mondo, e misurato sulla misura di Cristo. Quella Croce che oggi la Chiesa mostra, nel “santo” racconto della Passione, è incredibilmente il senso di tutto, il senso della storia!
Chi svuota la croce (cfr 1Cor 1, 17), chi la “scavalca”, non potrà mai capire l’uomo nuovo; non riuscirà mai a lasciare che Dio faccia in lui una cosa nuova, che Dio pianti al cuore della sua esistenza la Croce, che salva perché contiene tutto l’amore che il mondo non conosce ma che solo può salvare il mondo.
Camminiamo con coraggio in questi giorni santissimi! E’ tempo di grazia!
p. Fabrizio Cristarella Orestano
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